#QualeGiustizia. La nostra guida ai programmi elettorali: Potere al Popolo

viola-carofalo potere al popoloDopo le guide ai programmi elettorali di Movimento 5 stelle, Centrodestra, Partito Democratico, Più Europa e Liberi e Uguali, terminiamo oggi con Potere al Popolo, che dedica ai temi della giustizia penale uno spazio importante. 

Carcere 

Il programma propone innanzitutto una riforma del carcere, con un più ampio ricorso alle misure alternative e la definizione di percorsi di reinserimento più spinti per detenuti e condannati. Come abbiamo sottolineato nelle guide precedenti (in particolare in quella del PD) il carcere è la risposta sbagliata a una domanda di sicurezza talvolta creata da alcuni politici. Più in effetti è lungo il periodo trascorso dietro le sbarre e maggiore è il rischio di recidiva. Al contrario, quando si ricorre alle misure alternative i tassi recidiva diminuiscono notevolmente. Più carcere equivale insomma a più insicurezza, e non al suo contrario. 

Legalizzazione della cannabis

Una delle proposte programmatiche che avrebbe un forte impatto sulla popolazione detenuta è la legalizzazione della cannabis (cui si accompagna la depenalizzazione del consumo di altre droghe). Attualmente infatti, circa il 25% dei detenuti ha problemi di tossicodipendenza, mentre il 34,2% è in carcere per violazioni della normativa sulle droghe. Il carcere viene usato come risposta da un lato alla volontà di consumo di droghe leggere e dall'altro al problema della tossicodipendenza. 

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Abolizione dell'ergastolo 

Potere al Popolo propone poi di abolire l'ergastolo. In Italia esistono due tipi di ergastolo: quello ordinario e quello ostativo. Nel primo caso dopo molti anni un ergastolano può avere accesso ad alcuni benefici penitenziari (come permessi premio, permessi lavoro o anche la liberazione condizionale, dopo 26 anni). Può accedere, non accede automaticamente: deve fare richiesta ed essere autorizzato dal giudice. Nel caso dell'ergastolo ostativo invece non è possibile accedere ad alcun beneficio. Ciò è dovuto all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, che preclude l'accesso ai benefici a chi commette alcuni tipi di reato. In origine fu pensato per reati associativi come quelli mafiosi; poi, nel corso del tempo, si allargò ad altre categorie che poco avevano a che vedere con le associazioni (come la pedopornografia). Per richiedere la sospensione del 4-bis è necessario provare che non si appartiene più all'organizzazione (cosa non sempre semplice, dato che si è detenuti) e fornire agli inquirenti informazioni utili a perseguire le organizzazioni stesse. A volte però i detenuti non “collaborano”, o perché temono per l'incolumità propria o dei propri cari o perché non vogliono accedere alla libertà annullando quella di altre persone. Così restano in carcere senza speranze di reinserimento. Il carcere a vita è in contraddizione con la funzione rieducativa della pena prevista dall'articolo 27 della Costituzione. Molti ergastolani si sono laureati in carcere, hanno scritto libri e sono diventati famosi per le lotte per un carcere più umano, che dia più chances di reinserimento. L'abolizione dell'ergastolo sarebbe un passo verso una società che non si accontenta di punire chi ha commesso reati anche gravissimi mettendolo in carcere e buttando la chiave, ma che si prenda la responsabilità di lavorare con e su quella persona. 

41-Bis   

Nel programma troviamo poi l'abolizione del 41-bis, il cosiddetto carcere duro. Si tratta di un regime detentivo introdotto nel 1992, nel contesto emergenziale di lotta alla mafia. In virtù di quell'emergenza si previde la possibilità di sospendere in via eccezionale le cosiddette attività “trattamentali” volte al reinserimento del detenuto. Fu una norma pensata come temporanea ed emergenziale ma poi prorogata numerose volte fino al 2002, quando venne stabilmente inscritta nell'ordinamento. La sua eccezionalità era dovuta al forte inasprimento delle condizioni detentive, che a parere di molti comportava la violazione di molti diritti umani. Chi si trova in 41-bis può beneficiare di un solo colloquio al mese con i familiari, da effettuarsi attraverso un vetro divisorio e con telecamere e microfoni; può fare una telefonata (solo se non effettua i colloqui); può passare solo 2 ore all'aria aperta, con un massimo di 4 persone; i beni e gli oggetti che può ricevere dall'esterno sono fortemente limitati; non può scambiare o cuocere cibi né comunicare con detenuti che appartengono a diversi gruppi di socialità. A queste limitazioni nella pratica di tutti i giorni se ne aggiungono molte altre. Questo regime detentivo - che non distingue tra presunti innocenti e condannati - doveva servire a interrompere i canali di comunicazione tra i mafiosi e le organizzazioni, non come vendetta nei confronti di criminali efferati. Uno Stato forte non dovrebbe in effetti rinunciare mai, nemmeno con i peggiori criminali, alla garanzia e alla promozione dei diritti, che dovrebbero essere una delle sue ragion d'essere. Dovrebbe sì interrompere ogni comunicazione, e farlo in maniera ferrea, ma garantendo al contempo tutti i diritti umani. 

Numero identificativo per gli agenti 

Nel programma c'è poi l'introduzione dei numeri identificativi per gli agenti delle forze dell'ordine, con l'obiettivo di prevenire gli abusi di potere da parte degli appartenenti alle forze dell'ordine e perseguire quelli che hanno luogo. La proposta risponde a un problema più volte riscontrato, ovvero la difficoltà per gli inquirenti di identificare gli agenti che violano la legge sulla base delle registrazioni video.

Tortura   

E' proposta la modifica della legge sulla tortura, introdotta nel luglio del 2017 ma con una definizione del reato che si è distanziata parecchio da quella data dalla Convenzione internazionale contro la tortura. La legge attuale prevede che non si è in presenza di tortura laddove le condotte non siano reiterate e laddove il trauma psichico della vittima non sia verificabile. Inoltre il reato è stato definito come reato comune, di cui tutti possono essere imputati, mentre la Convezione prescriveva che si introducesse un reato specifico, che servisse a punire e prevenire quel particolare tipo di condotta criminosa attuato da alcuni componenti delle forze dell'ordine. 

Il Decreto Minniti sulla sicurezza

Nel programma troviamo poi l'abolizione delle norme “che danno più poteri ai sindaci” contenute nella legge n. 48 del 2017, meglio nota come legge Minniti. Dalla sua entrata in vigore, i primi cittadini (in accordo con i prefetti) hanno il potere di disporre i cosiddetti DASPO urbani, ordini d'allontanamento che possono colpire chi “ponga in essere condotte che limitano la libera accessibilità e fruizione” di stazioni, centri turistici, zone vicine alle scuole, università e altri spazi preliminarmente identificati. Le critiche mosse al provvedimento sono dovute all'approccio repressivo nei confronti di barboni, prostitute e altre figure considerate lesive del “decoro” urbano a cui si ispira la legge.

Riforma delle misure sanzionatorie e regole procedurali

Infine si propone la riforma dei fogli di via, delle sorveglianze speciali e di altre misure di polizia. Alcune di queste misure sono state introdotte proprio dalla legge Minniti, che tra le altre cose ha previsto la possibilità per un questore di vietare l'accesso a locali e zone della città a chi abbia una condanna (anche non definitiva) passata per reati connessi alle sostanze stupefacenti. Ciò vuol dire che un questore può interdire l'accesso a individui innocenti (almeno fino a prova contraria), che rischiano multe di decine di migliaia di euro se contravvengono a questo divieto.