Donne non solo numeri

Donne non solo numeri

1024 561 XV rapporto sulle condizioni di detenzione

Giulia Fabini

 

Donne, non solo numeri. Uno sguardo qualitativo sulla detenzione femminile

Cosa significa essere il 4% della popolazione detenuta, quanto è difficile affermare i propri diritti

“Poco si sa della quotidianità detentiva delle donne presenti nel sistema carcerario”

Quando si parla di detenzione femminile, è ricorrente un nodo centrale: la popolazione femminile è residuale rispetto a quella maschile e per questo sconta una mancanza di servizi e di risorse. Al 31 marzo del 2019 le detenute sono in effetti 2.656 su un totale di 60.611 detenuti, pari al 4,32 per cento della popolazione detenuta – una media che nel tempo è sempre rimasta costante, oscillando dal 1990 ad oggi tra il 4 e il 5 per cento della popolazione.

Sono tante le domande che ci si possono porre rispetto alla detenzione femminile, poche le risposte; anche se alcune ricerche iniziano a comparire, in particolare con riferimento ad ambiti territoriali regionali (vedi Regione Emilia-Romagna 2014; Giacobbe 2014, Zuffa e Ronconi 2014). Con il presente contributo, e come il titolo stesso rivela, ci proponiamo di contribuire alla conoscenza della condizione detentiva femminile delineata in queste e altre ricerche, cercando di sfruttare al meglio l’intenso lavoro del nostro osservatorio e provando così ad offrire uno sguardo qualitativo di come sia il carcere per la popolazione detenuta femminile, di quale sia la routine quotidiana nell’ambiente carcerario. In effetti, poco si sa della quotidianità detentiva delle donne presenti nel sistema carcerario: di quali spazi possono usufruire? Quali sono i vari circuiti del sistema carcerario femminile (protette, Comuni, Alta sicurezza, Congiunte di collaboratori di giustizia, ecc.) e dove si trovano? Quali attività, quale offerta formativa e a quanto e quale tipo di lavoro hanno accesso? Una delle domande più presenti quando si parla di detenzione femminile riguarda, poi, la situazione delle detenute madri in carcere: come stanno le madri detenute in carcere? Quante sono? Dove si trovano? Di quali servizi possono usufruire? In che maniera si preservano i diritti dei bambini detenuti insieme alle madri in carcere? Varrà la pena ricordare qui la novella del 2011 che, oltre ad introdurre la custodia cautelare in carcere per le madri con figli a seguito come ultima ratio e solo in casi di estrema gravità, istituisce gli Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri (ICAM), dove le detenute possono scontare la pena detentiva insieme ai figli fino al compimento del sesto anno di età, e le case-famiglia protette, dove – ferme restando alcune condizioni – la madre detenuta potrebbe continuare a scontare la propria pena con il figlio minore di 10 anni. Ma come sono effettivamente gli ICAM? Come vivono madri e figli al loro interno? E come sono fatte le sezioni nido sparse per tutto il territorio?
Noi qui vorremmo contribuire alla conoscenza delle diverse realtà carcerarie che costituiscono l’arcipelago della detenzione femminile. Grazie al lavoro delle osservatrici e degli osservatori cercheremo di dare conto della vita delle detenute in Italia, riportando lo sguardo qualitativo dell’osservatorio sulla detenzione.

“Il più grande istituto di pena femminile in Italia è la Casa Circondariale femminile “G. Stefanini” – Rebibbia, a Roma”

Gli istituti di pena femminili

Di istituti interamente femminili in Italia ce ne sono quattro: a Pozzuoli, a Roma “Rebibbia”, a Trani e a Venezia “Giudecca”. Empoli, una volta carcere femminile, ora è stato chiuso per essere forse riconvertito in Rems. Le carceri femminili accolgono un totale di 663 detenute. Le restanti sono sparse per le 43 sezioni femminili presenti nelle carceri maschili. Alcune di queste sezioni accolgono un numero esiguo di detenute (ad esempio, al 31/1/2019, secondo i dati del DAP, a Reggio Emilia sono 7 le detenute in AS, a Paliano addirittura 2), altre sezioni soffrono di sovraffollamento.

Gli spazi, i numeri e i circuiti

Il più grande istituto di pena femminile in Italia è la Casa Circondariale femminile “G. Stefanini” – Rebibbia, a Roma. L’istituto accoglie infatti 350 detenute (Ottobre 2017, salite a 369 a marzo 2019), per una capienza regolamentare pari a 268 unità, con un tasso di sovraffollamento pari al 130%. Collocato nello spazio urbano e dunque facilmente raggiungibile, l’istituto risale agli anni Settanta, è suddiviso in due edifici speculari, uno giudiziario, che ospita detenute giudicabili o definitive ma con pene brevi, e uno per la reclusione, che ospita lavoranti, detenute con fine pena lungo e dimittende, in ambienti separati. Gli edifici si sviluppano ognuno su tre piani, ognuno con accesso ad un’area passeggi, l’interno è con ballatoi a vista. Oltre a questi due edifici, all’interno delle mura di cinta ce ne sono altri due più piccoli: la “casetta delle Suore” che accoglie la sezione Nido e infermeria, la sezione massima sicurezza (AS2 e AS3), la sezione Zeta per congiunte di collaboratori di giustizia. Inoltre, da segnalare anche la sezione per la semilibertà – che consiste in un appartamento di 4 stanze con “entrata autonoma a fianco dell’ingresso principale” – e una nuova sezione art. 21 recentemente inaugurata. Le celle hanno diverse dimensioni a seconda della sezione, questo anche perché alcuni spazi sono stati ristrutturati ed altri no: al circondariale, le celle misurano circa 14 mq compreso il bagno senza doccia. Ci sono generalmente 4-5 detenute per cella, alloggiate in letti a castello a 2 piani. Al giudiziario, le celle misurano 5 mq al primo piano e sono ad uso singolo, mentre al secondo e terzo piano misurano 10 mq “con annesso grande vano bagno dotato di doccia, lavabo e bidet”. In tutte le celle visitate sono garantiti i 3 mq per detenuta.

L’istituto femminile di Pozzuoli è una casa circondariale. Ospita 157 detenute (agosto 2017), tutte in media sicurezza. La capienza regolamentare è di 109 unità. Poche straniere, 25 al momento della visita (la maggior parte di nazionalità nigeriana), 40 a marzo 2019. D’altro canto, anche la popolazione in generale è aumentata, raggiungendo al momento le 174 unità. Un sovraffollamento non da poco. L’edificio è “collocato al centro di Pozzuoli, dunque facilmente raggiungibile sia a piedi che con i mezzi pubblici”. La struttura è una di quelle ricavate da edifici antichi, come altre nel resto del Paese. È infatti stata costruita nel XV secolo, “nasce come convento, per essere in seguito adibito a OPG prima e a Casa Circondariale femminile” poi. Nonostante le condizioni appaiano precarie all’esterno, all’interno la struttura sembra avere una buona vivibilità, soprattutto grazie a dei lavori di ristrutturazione di diversi anni fa. Come descritto dal nostro osservatorio, “tutte le celle visitate sono dotate di grandi finestre, di un bagno, un televisore e un fornello”. Anche l’unica cella dell’isolamento presente in struttura non è eccessivamente piccola, è luminosa e fornita di televisore. La capienza da cella a cella varia molto, accogliendo un minimo di 4 e un massimo di 12 detenute. Salette per la socialità sono presenti in ogni piano, “si tratta di spazi ampi, luminosi, dotati di una televisione, di divanetti, poltrone e giochi ludici.” Anche gli spazi comuni esterni sono tenuti bene, con un’area verde adibita a orto. Tuttavia, l’area passeggio è dedicata solo al primo piano (dunque, non è ben chiaro dove le altre detenute facciano le 4 ore d’aria previste). Inoltre c’è un campo da pallavolo all’aperto ma non c’è una palestra (per supplire alla mancanza della quale, sono stati “avviati dei corsi di attività motoria in collaborazione con il CONI”). L’istituto è diviso in tre sezioni, una per piano, e al piano terra accoglie un’articolazione psichiatrica. Tutte le celle sono aperte almeno 8 ore al giorno – al terzo piano 12 ore –, le detenute possono spostarsi fuori dalle celle in autonomia e le ore d’aria previste sono 4 (anche se, come si diceva, c’è un’area passeggio solo per il primo piano…)

“A Trani, a 15 minuti a piedi dalla stazione dei treni, c’è una casa di reclusione di piccole dimensioni e piuttosto malmessa”

A Trani, a 15 minuti a piedi dalla stazione dei treni, c’è una casa di reclusione di piccole dimensioni e piuttosto malmessa. Le detenute presenti al momento della visita erano 34, al di sotto della capienza regolamentare di 42 unità; 9 di queste sono detenute straniere di diverse nazionalità. Ciò che emerge subito dal resoconto della visita è che questa struttura, un ex- “Monastero di Benedettini prima e di Domenicani poi”, costruito nel 1824 e aperto nel 1860, è inadatto ad essere utilizzato come struttura carceraria. Suddiviso su due piani, il secondo piano è non utilizzato, poiché il corridoio troppo stretto non permette l’apertura agevole dei blindati. Tutte le detenute si trovano quindi in un piano, suddivise su due sezioni penali, A e B. Diversi locali, imbruttiti da muffe e umidità (ad esempio le docce e la cappella), avrebbero bisogno di ristrutturazione. Vi è un’unica sala di socialità per le due sezioni, “una grande sala polivalente, adibita per lo più a refettorio e sala per la convivialità” e nella quale si svolgono anche attività ludico-ricreative. Le celle di circa 14 mq (“lordi”) ospitano 3 detenute. I letti a terra sono stati preferiti ai letti a castello, ma questo comporta una riduzione notevole dello spazio vitale per le detenute, tante da non riuscire a garantire i 3 metri quadrati per detenuta in questo istituto. Gli osservatori commentano, infatti, che “considerando anche l’arredo delle celle, le tre detenute hanno poca libertà e molta poca privacy all’interno della cella”. Si prova a supplire a questa mancanza tenendo le celle aperte per 12 ore al giorno, lasciando libere le detenute di muoversi in autonomia fuori dalla sezione, lasciando che abbiano la libertà di accedere al cortile tutti i giorni dalle 08.00 alle 20:00. Tuttavia, come sottolineano gli osservatori “non vi è presenza di zone verdi e/o piante, di una zona ombreggiata né tanto meno di una panchina o altro tipo di supporto per sedersi”, che “non consente l’utilizzo ottimale degli spazi esterni.” Inoltre, “i corsi sono esigui, la formazione professionale troppo ridotta, così come quella trattamentale. Tutto questo incide negativamente sul quotidiano delle donne detenute e sul loro benessere psicofisico.”

Il quarto degli istituti penitenziari femminili presenti in Italia è Venezia “Giudecca”, che accoglie anche uno dei cinque ICAM presenti in Italia. Venezia “Giudecca” è una casa di reclusione con una capienza regolamentare di 130 unità, ma erano 75 le detenute presenti al momento della visita, di cui 42 straniere: un numero percentualmente molto alto, ovvero il 56 per cento del totale. Anche questo, come Trani e Pozzuoli, è un edificio antico, addirittura costruito nel 1200 e aperto poi nel 1859. Al momento della visita un’intera area era chiusa per restauro. L’edificio “si struttura in due sezioni, una per detenute comuni e una per semilibere”. L’ICAM si trova in edificio separato. Questo istituto sembra soffrire a causa principalmente della propria posizione: i prezzi degli affitti e il costo della vita a Venezia, nonché i trasporti (“l’istituto è raggiungibile con la linea del vaporetto”) lo renderebbe un carcere “scomodo”; anzi, a detta della direttrice, “disagiato”. Da ciò deriverebbe la “grave carenza di personale dell’area educativa e amministrativa”, dovuta all’ “altissimo turnover delle operatrici e operatori” che, per richiesta di trasferimento in altra sede o per pensionamento spesso lasciano il posto senza essere sostituiti. Questa situazione è valida anche per l’ICAM. L’istituto ha spazi comuni ampi, sia all’interno (principalmente il teatro, lo spazio cinema e la sala cosmesi), sia all’esterno (Orto, ampi cortili interni, anche attrezzati per sport). La sala cosmesi non è da sottovalutare, poiché fornisce alle donne la possibilità della cura di sé, che passa anche dalla cura del proprio aspetto fisico. Anche le celle sono molto grandi, potendo ospitare fino a 6-8 donne. Tuttavia, la convivenza forzata di più persone nello stesso luogo non è esente da problemi: potrebbero scatenarsi litigi in seguito a “l’utilizzo in comune di oggetti” o anche per “gelosie relazionali”. A fronte di ciò, l’istituto tiene le celle sempre aperte, con le detenute che possono spostarsi in autonomia dalla sezione, contribuendo a determinare – anche grazie ai piccoli numeri – un “ambiente molto intimo e familiare”, comunque pieno di attività anche grazie ad associazioni e cooperative esterne.

“Da settembre 2017 inoltre dovrebbe essere partito un corso professionalizzante da pizzaiola”

Lavoro

Per quanto riguarda il lavoro, a Pozzuoli, su 157 detenute, 32 “lavorano all’interno del carcere (imbianchine, addette alle pulizie, alla cucina, alla distribuzione dei pasti, etc.); 7 sono in articolo 21; 5 lavorano in sartoria; 2 si occupano del giardinaggio; 1 detenuta si occupa della lavorazione del caffè.” Da settembre 2017 inoltre dovrebbe essere partito un corso professionalizzante da pizzaiola. A Rebibbia, sebbene il carcere sia ben più grande di quello di Pozzuoli, le lavoranti sono meno: 138. Al lavoro accedono solo le definitive, che sono 220 su un totale di 350. Oltre alle lavorazioni interne, le detenute sono assunte nella “lavanderia industriale, rinnovata potenziata di recente, nella sartoria alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, 4 o 5 persone sono assunte nella cooperativa sociale Ricuciamo, un laboratorio di sartoria, e altre in una pensione per cani”. Sono invece pochissime le detenute lavoranti all’esterno nel carcere di Trani, 2 per l’esattezza, “alle dipendenze dell’Officina Creativa, cooperativa nota con il marchio Made in Carcere” e alla quale è stata data in gestione una sala. Le detenute alle dipendenze dell’Amministrazione sono 25. A Venezia “Giudecca”, a fronte di una struttura antica e che presenta il disagio di celle troppo ampie, una posizione scomoda, e una grave carenza di personale, è alto il numero di lavoranti: 20 detenute sono alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e 26 alle dipendenze di datori di lavoro esterni. Sintomo di un buon legame tra il carcere e il territorio circostante.

“Spesso, nel ragionare intorno alla detenzione femminile, ci si chiede se sia preferibile scontare la pena detentiva in una sezione femminile in istituto maschile”

Istruzione e attività

Per quanto riguarda l’istruzione, sono 50 le detenute che, a Pozzuoli, seguono i due corsi previsti. A Trani, sono 8 le detenute ad essere iscritte all’unico corso presente, un corso di scuola secondaria di Primo grado. A Venezia, l’offerta formativa consta di corsi di alfabetizzazione, scuola media, corsi extra curricolari (inglese e informatica). La direzione riferisce cha la maggior parte delle ospiti vi partecipa, ma non specifica la cifra esatta. Sorprende però che corsi di scuola superiore non siano previsti nemmeno laddove un intero istituto è dedicato alla detenzione femminile. Non è male da questo punto di vista la situazione per chi capita a Rebibbia: qui infatti si può scegliere tra diversi percorsi di formazione scolastica, essendo attivi i percorsi Agrario, Arte, Tecnico. Evento più unico che raro nel circuito della detenzione femminile, dove molte volte, per l’esiguità dei numeri, non è nemmeno presente la possibilità di un’istruzione di grado superiore per le detenute.

Per quanto riguarda le attività culturali, formative e sportive, durante l’anno a Pozzuoli si erano svolti: un laboratorio di lettura e scrittura; un corso per la conoscenza della danza orientale; un corso di ricamo; un laboratorio di sartoria; un corso di danza terapia; un corso di zumba; un corso di musica; un corso di canto; un corso di fotografia; un corso di decoupage; un corso di attività motorie in collaborazione con il CONI; attività di giardinaggio; un laboratorio di manipolazione del legno; attività di counseling; attività di biblioteca. Similmente a Rebibbia dove, anche grazie all’alto numero di volontari, sono tanti i corsi offerti durante l’anno: “Teatro, pallavolo, fitness, maratona, scrittura, cinema, buddismo, musicoterapia, musica classica e coro, florivivaistica, progetto sostegno psicologico giovani adulte, Yoga, attività religiose, Shiatsu, sostegno territorialità (e altri vari)”. Invece, a Trani, la principale attività formativa prevista consisteva in “corsi di yoga e fitness promossi dal Coni e yoga della risata”. Da ottobre 2018 la Polisportiva Atletico Diritti ha iniziato il corso di calcio a 5 per le donne recluse nell’istituto romano. Ogni settimana sono circa venti le detenute di diverse nazionalità che si allenano a calcio a 5, sport che fa il suo ingresso per la prima volta in un carcere femminile.

Spesso, nel ragionare intorno alla detenzione femminile, ci si chiede se sia preferibile scontare la pena detentiva in una sezione femminile in istituto maschile – dove a causa dei numeri delle presenze vi sarebbero meno servizi – o in un istituto femminile – dove si rischia di trovarsi davvero lontane dagli affetti. Nel quadro degli istituti femminili in Italia offerto dal nostro osservatorio, ci sembra di poter affermare che non abbiamo trovato buone condizioni in tutti gli istituti femminili: strutture inadeguate e a volte fatiscenti, scarsità di lavoro e di corsi di istruzione, e addirittura mancanza di operatori nel carcere di Venezia. Non abbiamo tempo in questa sede per trattare anche le condizioni detentive in tutte le sezioni femminili in carceri maschili. Nella prossima sezione, ci concentreremo invece su quelle sezioni femminili che ospitano detenute madri e nei nuovi Istituti di custodia attenuata per detenute madri.

Madri detenute

Il report del garante nazionale delle persone detenute o private della libertà personale uscito a inizio 2019 ci fornisce alcuni dati quantitativi estremamente significativi, rivelandoci quanti e dove siano gli ICAM e dove siano le sezioni nido in istituti penitenziari. Sono cinque gli ICAM attualmente operativi in Italia – Lauro, Milano “F. Di Cataldo”, Senorbì (Cagliari), Torino “G. Lorusso L. Cutugno”, Venezia “Giudecca” – per un totale di 32 madri (di cui 17 straniere e 15 italiane) e 34 figli presenti. Le sezioni nido in istituti penitenziari sono 19 (solo 17 effettivamente funzionanti), con 13 madri detenute e 14 figli. Queste si trovano a: Agrigento “Pasquale Di Lorenzo”, Avellino “Antimo Graziano” Bellizzi, Bologna “Rocco D’Amato”, Cagliari “Ettore Scalas”, Castrovillari “Rosa Sisca”, Firenze Sollicciano, Foggia, Forlì, Genova “Pontedecimo”, Messina, Milano “Bollate”, Perugia “Capanne”, Pesaro, Reggio Calabria “Giuseppe Panzera”, Roma Rebibbia “Germana Stefanini”, Sassari “Giovanni Bacchiddu”, Teramo, Torino “G. Lorusso L. Cutugno”, Trento “Spini di Gardolo”. Il report ci dice anche qualcosa di come questi spazi sono fatti. Ad esempio, non tutte le sezioni nido sono sezioni, ma alcune sono semplici stanze; non tutte sono adeguate alle esigenze del bambino e della madre; non tutte sono provviste di una cucina separata per il bambino, un cortile per l’aria attrezzato per bambini, una ludoteca, sale per i colloqui a misura di bambino. Nelle prossime due sezioni proviamo a delineare un quadro più dettagliato degli ICAM e delle sezioni nido che abbiamo visitato.

“Gli ICAM di Milano (Canziani 2017) e di Venezia “Giudecca” ci appaiono come due esempi quasi agli antipodi”

Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri

Gli ICAM sono pensati come luoghi a misura di bambino: carceri colorate e accoglienti, in teoria fuori dalle mura del carcere, in cui le sbarre non siano visibili ai bambini e in cui gli agenti non portino la divisa. Dei cinque ICAM presenti in Italia, vorremmo riportare due esempi che mostrano la grande differenza che può venirsi a creare tra un progetto per come delineato sulla carta e per come può venire realizzato nella realtà. Gli ICAM di Milano (Canziani 2017) e di Venezia “Giudecca” ci appaiono come due esempi quasi agli antipodi, essendo il primo considerato un fiore all’occhiello del sistema penitenziario italiano ed avendo il secondo invece incontrato critiche di vario genere, fino alla richiesta di chiusura (Guantieri 2019).

Innanzitutto la collocazione: l’ICAM di Venezia, sebbene in edificio separato, si trova comunque dentro al carcere “Giudecca”, mentre quello di Milano è un vecchio palazzo “nel cuore di Milano tra belle case e giardini rigogliosi”. Il che è già una bella differenza, visto che i bambini che escono ed entrano dall’istituto, ad esempio per andare all’asilo, in un caso non devono varcare le mura del carcere e nell’altro sì. L’idea dell’ICAM è proprio quella di rendere invisibili le “sbarre” almeno ai bambini, e questo passaggio iniziale rende chiaramente le cose più complicate. A Milano, le sbarre sono in plexiglass, le pareti all’interno colorate con colori vivaci. Le stanze, sempre aperte, sono ampie e luminose. Tuttavia, a ricordare che siamo in un “carcere”, “nella prima stanza si viene controllati con il metal detector”, e “alle pareti ci sono i monitor della sorveglianza” a controllare il perimetro e i corridoi interni.

Di Venezia “Giudecca” abbiamo già detto della carenza di personale. Questo vale anche per l’ICAM e nello specifico per l’area educativa. Uno dei due educatori presenti in istituto è infatti ancora in formazione. La carenza di organico si riflette ovviamente nella carenza dei servizi offerti: non è prevista alcuna attività strutturata per i figli delle detenute: “i bambini quando non vanno a scuola restano con le madri nelle camere a guardare la TV oppure a giocare nelle due stanze dedicate al gioco, ma senza alcun sostegno esterno”; non è nemmeno previsto alcun servizio psicologico rivolto alle madri, supporto che sarebbe particolarmente importante quando, raggiunti i sei anni, i minori e le madri devono affrontare il momento del distacco e le madri vengono ricollocate nelle sezioni comuni (un cambiamento non di poco conto); in generale, non sono previste attività, diversamente dall’area comune dove associazioni e cooperative esterne sono molto attive.

L’ICAM di Milano offre corsi di alfabetizzazione e calcolo, e l’istruzione primaria fino alle medie. È “incentivata l’attività di illustrazione per sviluppare le capacità di narrazione personale” che sembra avere grande successo tra le detenute. Le detenute sono impegnate nell’“accudimento dei figli, cucina, sartoria, lavanderia, pulizie in generale”, anche perché, essendo molte recidive, non possono accedere al lavoro esterno ex. art. 21. In generale, a differenza di Venezia, la “quotidianità all’interno dell’istituto è scandita da attività ricreative ed educative”; anche all’esterno, i bambini sembrano avere più possibilità: vengono accompagnati dagli educatori per andare all’asilo o a giocare ai giardinetti, possono avere incontri con i propri familiari durante la giornata e passare il fine settimana con i parenti. Anche per le madri sembrano esservi riguardi particolari: ad esempio, durante la visita si è potuto osservare che in una delle celle trovava posto una madre con la propria figlia di quasi sei anni, in modo che potessero dormire da sole e avvicinarsi un po’ più dolcemente al momento del distacco. Al momento della visita si stava anche sperimentando “il c.d. affidamento condiviso con cui si cerca di creare una relazione e un dialogo fruttuoso tra la famiglia affidataria e la madre. Il bambino viene così accompagnato dalla madre in questo difficile percorso di avvicinamento alla nuova famiglia”

“Le sezioni nido possono essere costituite da semplici stanze oppure da sezioni”

Sezioni nido

Sezioni nido sono presenti anche negli istituti femminili. Ad esempio, a Rebibbia “è presente un nido che consta di 4 stanze e si trova in ambiente separato rispetto al resto del carcere, nella Casetta delle suore”. L’attenzione alla presenza di bambini, ma anche alle madri detenute con i figli fuori emerge dalla presenza di un’area verde attrezzata anche per bambini, ideale dunque per i colloqui in particolare d’estate. Purtroppo, questa attenzione non vale per tutte le detenute. Infatti, in AS e in sezione Zeta, le sale per i colloqui hanno il bancone divisorio, mentre per le altre detenute, le sale colloqui hanno i tavoli circolari. Una criticità simile è riscontrabile anche a Trani, dove, da un lato, pur essendo istituto interamente femminile, non sembra essere presente una sezione nido, dall’altro, sono proprio assenti “aree per l’accoglienza delle famiglie e dei minori”. Di conseguenza, “ci sono delle mamme che vedono i loro bambini all’interno di una saletta colloqui asettica e poco adatta ad accoglier[li]”.

Come si diceva, le sezioni nido possono essere costituite da semplici stanze oppure da sezioni. Gli istituti di Bologna e Forlì, le uniche due sezioni nido presenti in Emilia Romagna, sono due esempi del primo caso. A Bologna da tempo doveva essere costruita una sezione nido, ma questa è ora occupata dall’unica articolazione della salute mentale femminile presente in regione. La sezione nido in questo istituto consta quindi semplicemente di due celle con due culle al loro interno. Anche nel carcere di Forlì la “sezione nido” consiste in due celle; queste sono disposte al primo piano della sezione femminile – separate quindi dalle altre sei celle che invece si trovano al secondo piano – e sono dedicate a donne con prole o detenute in art. 21. A Bologna sono tuttavia presenti un cortile per l’aria attrezzato per bambini e una ludoteca e gli ambienti per i colloqui sono a misura di bambino. A Forlì mancano anche queste strutture, probabilmente anche a causa di una reale mancanza di spazi dovuta alla struttura dell’edificio, una vecchia rocca medievale in città.

Un esempio invece di sezione nido che non sia costituita da semplici stanze è rappresentato dalla sezione nido del carcere di Teramo. Si tratta di “un’area a trattamento avanzato, con nido, cucina e tre stanze, in ottime condizioni”. Curiosamente, questo non significa garanzia di successo: al momento della visita la sezione era vuota ed “è stato riferito che in passato alcune detenute madri hanno preferito restare nella sezione di media sicurezza per non sentirsi isolate.” Il carcere consta anche di un’area verde attrezzata con giochi nella quale le detenute madri possano incontrare i propri figli.

Un altro esempio di sezione nido non limitato a stanze con culla è la sezione femminile per madri detenute di Reggio Calabria denominata “Penelope”, in (ironica?) contrapposizione con l’altra sezione femminile del carcere, denominata “Nausicaa”. Nella Sezione “Penelope”, è presente un’area giochi destinata ai bambini “detenuti”, ma l’unico spazio comune interno si trova nella sezione “Nausicaa”: “uno spazio di dimensioni ridotte in cui si svolgono corsi di ricamo, cucito, ricostruzione e decorazione unghie”.

In alcuni istituti la situazione sembra più buona che in altri; ad esempio, nel nuovo complesso penitenziario di Perugia “le Capanne”, dove, forse perché di recente costruzione, gli spazi sembrano adeguati e vivibili. Nella sezione al femminile dedicata alle detenute madri e in stato di gravidanza, “il nido è sempre aperto e al suo interno si trova una piccola stanza dotata di un angolo piastra usufruibile tutto il giorno.” Vi è uno spazio per le detenute che hanno appena partorito che resta chiuso solo la notte. C’è una sala polivalente per la socialità, aule scolastiche, una palestra e una cappella. Le celle sono da due o da quattro, tutte con letti singoli e tutte dotate di ampio bagno con doccia (e acqua calda), un piano cottura al posto del comune fornelletto da campo, un termosifone. Inoltre, ci sono due stanze allestite per i colloqui con i bambini, “con arredi, tv, murales realizzati dai detenuti, divani, giochi, microonde e spazi per consumare i pasti con la famiglia”.

Un arcipelago carcerario, quello femminile, tanto vario quanto quello maschile, nonostante i numeri. Con gravi mancanze ma anche alcune buone pratiche. Ed è estremamente urgente continuare ad esplorarlo.

Riferimenti