Il carcere tra umanità e populismo

Il carcere tra umanità e populismo

carcere e politica

Il carcere tra umanità
e populismo

La sicurezza è un’ossessione e il trumpismo compromette le riforme

Patrizio Gonnella

Da una parte ci sono i numeri, dall’altra c’è la concreta vita quotidiana dietro le mura di cinta, quella che noi osserviamo direttamente visitando da quasi venti anni tutte le strutture carcerarie d’Italia. Dall’altra parte ci sono le persone, in carne e ossa.

Il nostro lavoro è guardare dentro
le prigioni per raccontare i detenuti dell’oggi

Il senso del nostro lavoro non è solo misurare i metri quadri delle celle ma guardare dentro le prigioni per raccontare al mondo chi sono i prigionieri dell’oggi. La selezione carceraria costituisce la riproposizione fedele del dibattito pubblico.

Durante le nostre consuete attività di osservazione incontriamo detenuti di tutti i tipi. Grazie alla ragionevolezza degli operatori riusciamo ad ascoltare alcune storie di vita. Non siamo interessati ai processi in corso ma alle loro biografie complesse. Se avessimo modo di misurare il tasso di insensatezza del nostro sistema repressivo-penale raggiungeremmo tassi elevatissimi.

A Regina Coeli a Roma abbiamo incontrato un giovane ghanese, recluso nella sezione per persone difficili. Era visibilmente agitato, a metà tra il sorpreso e l’infuriato. Non si capacitava di essere finito in galera. Lui era titolare di un provvedimento di protezione internazionale. Stringeva tra le mani la copia del documento della Prefettura come se fosse l’ultima sua speranza di vita, come se fosse un figlio da proteggere. Ce lo mostrava da lontano. In carcere c’è finito per resistenza, il tipico reato contestato ai poveri, ai ribelli, agli esclusi. Un reato che non ammette testimonianze contrarie. I poliziotti sono spesso in numero doppio rispetto agli arrestati.

Il giovane ghanese si era ribellato (senza uso della violenza) ad alcuni membri delle forze dell’ordine che durante un controllo in zona stazione Termini a Roma gli avrebbero buttato le coperte e le scarpe nel cassonetto. Lui se le sarebbe andate a riprendere dal cassonetto una, due, tre volte. Reato di lesa maestà. Viene condotto in carcere in barba a tutte le norme interne ed internazionali che dicono che la custodia cautelare dovrebbe essere residuale. In carcere lui rifiuta tutto, rifiuta di farsi identificare, rifiuta di nominare un avvocato. “Perché devo farmi difendere se non ho fatto nulla”, ci dice con rabbia. La sua vita già difficile, dura, è stata così resa difficilissima, durissima. Senza motivo.

Le riforme smarrite

Il grande sforzo che Antigone dovrà fare nei prossimi mesi è quello di dar vita a un grande archivio di biografie che intersecando aspetti personali e penali raccontino cos’è oggi la prigione, su chi si abbatte l’ossessione repressiva, su quanto il sistema penale e penitenziario sia selettivo, addirittura a rischio di deriva razzista.

dopo alcuni anni
di dibattito stiamo tornando nuovamente indietro

Dopo alcuni anni di dibattito intorno al senso della pena e di riforme (alcune realizzate, altre promesse) stiamo tornando nuovamente indietro. Indietro rispetto a un momento nel quale – seppur a seguito di un pronunciamento giudiziario, la nota sentenza Torreggiani della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e non per sana e intraprendente volontà politica – le forze politiche, quelle amministrative e finanche quelle culturali avevano finalmente deciso di dedicare ai problemi del carcere un’attenzione specifica, indirizzata, mirata. Un’attenzione che le aveva portate a ragionare, talvolta più organicamente e talvolta meno ma pur sempre meritoriamente, su un modello di detenzione che fosse capace di mettere al centro il rispetto di quella dignità umana di cui la Corte Europea sanzionava la violazione.

Tale percorso ha condotto, in primo luogo, a riforme normative, tanto in ambito penale che penitenziario. Le prime hanno ridotto notevolmente l’ambito della carcerazione, aumentando il ricorso a misure alternative, diminuendo le possibilità di incarcerare presunti innocenti con la custodia cautelare, introducendo meccanismi quali la messa alla prova. Le seconde hanno potenziato gli strumenti di garanzia dei diritti dei detenuti, con l’introduzione di modalità di reclamo efficaci e della figura del Garante che agisce anche in qualità di National Preventive Mechanism come normato dalle Nazioni Unite.

In secondo luogo, importanti cambiamenti amministrativi sono stati intrapresi. Lo spazio di vita chiuso nelle celle si è notevolmente ridotto per tutto il circuito di media sicurezza, prevedendo l’apertura delle sbarre per almeno otto ore al giorno. Le possibilità di contatto con il mondo esterno sono state ampliate da una razionalizzazione dei colloqui e delle telefonate. Si è intravista un’apertura alle nuove tecnologie e l’intera vita carceraria è stata riproposta secondo un modello responsabilizzante per le persone detenute e il più possibile simile alla vita libera.

Che fine hanno fatto gli Stati Generali?

Infine, abbiamo avuto gli Stati Generali sull’esecuzione penale, un grande percorso condiviso da operatori penitenziari e della giustizia, da studiosi, da organizzazioni di società civile. Un percorso nel quale con entusiasmo in tanti hanno creduto, nella consapevolezza che la legge italiana sull’ordinamento penitenziario, pur frutto della migliore tradizione riformista, risalisse comunque a un’epoca nella quale il carcere aveva un volto totalmente differente da quello di oggi e non fosse più in grado di svolgere appieno il proprio ruolo. Nuove norme sono state pensate nel corso delle riflessioni dei ben diciotto tavoli di lavoro che gli Stati Generali avevano messo in piedi. Nuove norme per configurare anche a livello legislativo una detenzione responsabilizzante e capace di andare incontro alle attuali esigenze – ad esempio quelle dei detenuti stranieri, quasi assenti ai tempi della vecchia legge – nella tutela dei diritti in carcere.

Cosa è rimasto di tutto questo? L’energia che abbiamo sperimentato attorno a un tema tradizionalmente dimenticato sembra essere svaporata impercettibilmente giorno dopo giorno. All’attenzione specifica che si era voluta dare al carcere è tornata piano piano a sostituirsi quell’inerzia dell’istituzione che ben abbiamo conosciuto in passato e che spesso ha permesso che si affermassero localmente i modelli culturalmente più arretrati proposti dai sindacati di polizia penitenziaria.

Le 15 mila unità di cui si è ridotta la popolazione penitenziaria tra il 2010 e il 2015 hanno ricominciato silenziosamente a rientrare in carcere.

2.500 i detenuti in più dall'inizio del 2016 ad oggi

Dall’inizio del 2016 a oggi i detenuti sono cresciuti di circa 2.500 unità. Ciascun mese ha segnato un netto al rialzo. La percentuale dei detenuti in attesa di sentenza definitiva sta tornando prepotentemente a caratterizzare l’Italia in negativo rispetto alla media dei Paesi europei.

L’ossessione della sicurezza

E dentro il carcere cosa succede? L’iniziale apertura delle celle durante il giorno e il rafforzamento della sorveglianza dinamica avevano segnato un cambiamento palpabile della vita in carcere, contrassegnato da un fervore nel cercare un’organizzazione interna che somigliasse a quella di una comunità libera, con attività diurne dotate di senso effettivo e lontane dalla zona notte dell’istituto. Molte carceri si erano adoperate a trovare soluzioni anche creative per rispondere a un nuovo modello di detenzione. Si percepiva, almeno lungo tutto il percorso degli Stati Generali, che l’attenzione delle istituzioni centrali governative e parlamentari, nonché conseguentemente dei media, continuava a essere puntata su quanto accadeva dentro i perimetri carcerari. A un certo punto tale attenzione è venuta a mancare.

A mano a mano che si avvicinava il referendum costituzionale, che il Governo si percepiva instabile e che l’ombra di nuove elezioni si affacciava all’orizzonte, i vari attori coinvolti giravano lo sguardo. E, lasciate a loro stesse e dimenticate da quelle forze di cambiamento che le tenevano in tensione, le molle delle amministrazioni periferiche sono piano piano tornate nella loro posizione di riposo.

L’ossessione della sicurezza è tornata prepotente

Così dopo due detenuti evasi dal carcere romano di Rebibbia accade che l’amministrazione penitenziaria chiuda ai volontari (e anche a noi) le porte del carcere a partire dalle 15.30. Poi torna sui suoi passi ma brutto è stato quel segnale. Osservare per noi non è un’attività neutra ma fortemente orientata a cambiare l’oggetto osservato.

Dal 1975 a oggi la vita penitenziaria è regolata da un sistema a fisarmonica: allargamenti e restrizioni che si sono succedute nel tempo.


le principali riforme del sistema penitenziario

1975 Riforma dell’Ordinamento penitenziario 1986 Approvazione legge-Gozzini che amplia diritti
e accesso ai benefici
1991 Decreti anti-mafia che restringono diritti e benefici
per ampie quote di detenuti
2000 Nuovo regolamento di esecuzione che amplia
opportunità e qualifica meglio taluni diritti
2005 Legge ex Cirielli che toglie benefici per i recidivi 2010-2014 Riforme pre e post sentenza Torreggiani che ampliano benefici e garantiscono diritti


Una schizofrenia legislativa, segno di una politica complessivamente debole. Dal 1975 a oggi non si intravede una diversità profonda tra aree politiche, salvo alcune eccezioni. Distinzioni sempre più impercettibili a partire dal 1990.

Nell’era del trumpismo e del populismo penale il nostro racconto, esito di centinaia di visite nelle prigioni italiane, vuole essere anche un manuale per chi deve prendere decisioni, affinchè esse siano sagge, razionali, umane e non pericolosamente emotive.