Il ritorno del sovraffollamento

Il ritorno del sovraffollamento

Numeri del carcere

Il ritorno del sovraffollamento

Aumentano i detenuti e peggiorano le condizioni di detenzione. L’Italia si avvia di nuovo verso lo stato di emergenza?

Alessio Scandurra

Torna il carcere è il titolo del rapporto di Antigone sul 2016. La tesi di fondo è chiara, i numeri del carcere tornano a crescere, e vedremo qui nel dettaglio quanto e come. Ma facciamo prima un passo indietro: cosa è accaduto negli ultimi anni? Torna il carcere significa che per qualche tempo ce ne eravamo liberati?

Non è certamente così, ma gli ultimi anni si erano caratterizzatati per un calo significativo della popolazione detenuta, cosa in assoluta contro-tendenza rispetto alla storia meno recente dei numeri del carcere. Ma proviamo a vederli nel dettaglio questi numeri.

DatiPopolazione detenuta, 1942-2017

Fonte: DAP
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Dal dopoguerra ad oggi l’andamento della popolazione detenuta in Italia è stato decisamente oscillante, soprattutto a causa dei ricorrenti provvedimenti di clemenza. Questa irregolarità non impedisce però di individuare due stagioni nettamente distinte. La prima, dalla fine della guerra fino all’amnistia del 1970, in cui si è registrato un calo netto e costante della popolazione detenuta, la seconda, dal 1970 ad oggi, si caratterizza al contrario come una stagione di costante crescita. In questo quadro all’interno di ciascuno dei due periodi le politiche penitenziarie, ed in particolare i provvedimenti di amnistia ed indulto, hanno creato delle notevoli discontinuità, ma non hanno cambiato la tendenza generale del periodo. In particolare nella seconda fase, quella della crescita impetuosa e costante, fase nella quale, fino a prova contraria, ancora ci troviamo, l’inefficacia dei provvedimenti di clemenza nel contenere i numeri della detenzione è particolarmente evidente. Dopo ogni provvedimento i numeri in breve tempo sono tornati a livelli superiori a quelli registrati al momento del provvedimento stesso, e da lì la curva ha continuato a crescere, fino a raggiungere una nuova e più alta soglia di intollerabilità, di fronte alla quale si rendeva necessario un nuovo intervento straordinario.

Questo è quello che è successo nel nostro passato recente, un passato che sembra potersi ripetere. È infatti questo il passaggio in cui in apparenza ci troviamo. Nel 2010, quando è stato dichiarato lo stato di emergenza nazionale per il sovraffollamento penitenziario, la popolazione detenuta aveva raggiunto livelli senza precedenti nella storia repubblicana. Da allora è stata avviata una serie di interventi, su numerosi fronti, che ne hanno determinato un calo notevole. Si è così passati dai 68.000 detenuti del 2010 ai 52.000 del 2015. Ed ora questa stagione è giunta ad esaurimento? Si riparte di slancio verso numeri ancora più alti di quelli di allora, come sempre è successo in passato? Per rispondere a questa domanda bisognerebbe avere la palla di vetro, ma è certo che la storia recente non è affatto incoraggiante.

+ 1.524 detenuti in 6 mesi, al 30 Aprile 2017

Resta il fatto che negli ultimi 6 mesi la popolazione detenuta è passata dalle 54.912 presenze del 31 ottobre del 2016 alle 56.436 presenze del 30 aprile 2017, con una crescita di 1.524 detenuti in un semestre. Si tratta di un aumento tutt’altro che trascurabile. Anzitutto perché conferma una tendenza all’aumento dei numeri che avevamo già registrato nei mesi precedenti, ma soprattutto perché questa tendenza viene consolidata ed appare in progressiva accelerazione. Nel semestre precedente, dal 30 aprile al 31 ottobre del 2016, la crescita era stata infatti di 1.187 detenuti. Se i prossimi anni dovessero vedere una crescita della popolazione detenuta pari a quella registrata negli ultimi sei mesi, alla fine del 2020 saremmo già oltre i 67.000. Se il tasso di crescita continuasse ad accelerare, come ha fatto fino ad ora, per la fine del 2020 saremo ancora una volta di fronte a numeri senza precedenti. Con quali conseguenze?

Meno siamo e meglio stiamo

Come abbiamo detto la stagione di riforma che abbiamo alle spalle, e che ci auguriamo non si debba dare per conclusa, ha portato in 5 anni ad un calo di circa 16.000 unità del numero dei detenuti. Non è sorprendente che a questo calo si sia accompagnato un miglioramento di tutti gli indicatori che tradizionalmente usiamo per registrare lo stato di crisi del sistema penitenziario.

Anzitutto, ovviamente, il tasso di affollamento. Alla fine del 2010 il tasso di affollamento del nostro sistema penitenziario era del 151% con punte, in regioni come l’Emilia Romagna e la Puglia, di oltre il 180%. Alla fine del 2015 il tasso di affollamento era del 105% e solo in Puglia superava il 130%.

DatiAffollamento e suicidi, 2010-2015

2010

2015

Tasso nazionale di affollamento, %

Tasso di suicidi ogni 10.000 detenuti

151

8,1

105

7,4

2010

2015

Tasso nazionale di affollamento, %

Tasso di suicidi ogni 10.000 detenuti

151

8,1

105

7,4

2010

2015

Tasso nazionale di affollamento, %

151

105

Tasso di suicidi ogni

10.000 detenuti

8,1

7,4

Fonte: DAP, Ristretti Orizzonti
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Ma lo stesso ragionamento si può fare su molti altri aspetti. Ad esempio per la percentuale di detenuti in carcere in custodia cautelare, anziché in esecuzione di una sentenza definitiva. Erano il 63,0% dei presenti alla fine del 2010, sono scesi al 34,1% alla fine del 2015.

O per la percentuale di detenuti stranieri, che passava dal 36,7% della fine del 2010 al 33,2% della fine del 2015.

O per le persone detenute in esecuzione di una condanna breve. Nel 2010 l’8,8% dei detenuti con una condanna definitiva scontava una pena inferiore ad un anno, la stessa percentuale era del 5,3% alla fine del 2015. Per le pene inferiori ai 3 anni alla fine del 2010 la percentuale era del 32%, mentre era del 23,7% alla fine del 2015, mentre i detenuti con condanne pesanti, superiori ai 10 anni, inclusi gli ergastolani, rappresentavano il 20% dei detenuti con condanna definitiva alla fine del 2010, ed il 28,9% alla fine del 2015. Il carcere dunque tornava ad essere usato prevalentemente per i fatti più gravi, come parrebbe giusto che sia.

Segnalo infine due ulteriori dati. Da un canto la percentuale di quanti lavoravano tra i detenuti. Erano il 20,9% alla fine del 2010, il 27,6% alla fine del 2015. Dall’altro quella di quanti frequentavano un corso scolastico: erano il 23,1% dei presenti alla fine del 2010, il 34,8% alla fine del 2015.

Infine un dato conclusivo e drammatico. Nel 2010 si sono verificati nelle nostre carceri 8,1 suicidi ogni 10.000 detenuti. Nel 2015 sono stati 7,4.

DatiVariazione di alcuni indicatori, 2010-2015

Valori in %

2010

2015

Detenuti in regime

di custodia cautelare

Detenuti di nazionalità

non italiana

Detenuti con pena

inferiore a un anno

Detenuti con pena

inferiore a tre anni

63

36,7

34,1

33,2

32

8,8

5,3

23,7

Detenuti con pena

superiore a dieci anni

Detenuti che svolgono

un lavoro

Detenuti iscritti a

un corso scolastico

Detenuti per spaccio

(art. 73/DPR 309/90)

40,2

34,8

32

28,9

27,6

23,1

20,9

20

2010

2015

Detenuti in regime

di custodia cautelare

Detenuti di nazionalità

non italiana

Detenuti con pena

inferiore a un anno

Detenuti con pena

inferiore a tre anni

63

36,7

34,1

33,2

32

8,8

5,3

23,7

Detenuti con pena

superiore a dieci anni

Detenuti che svolgono

un lavoro

Detenuti iscritti a

un corso scolastico

Detenuti per

spaccio (art. 73)

40,2

34,8

32

28,9

27,6

23,1

20,9

20

2010

2015

Detenuti in

regime di custodia

cautelare

Detenuti

di nazionalità

non italiana

63

36,7

34,1

33,2

Detenuti con

pena inferiore

a un anno

Detenuti con

pena inferiore

a tre anni

32

8,8

5,3

23,7

Detenuti con

pena superiore

a dieci anni

Detenuti

che svolgono

un lavoro

28,9

27,6

20,9

20

Detenuti iscritti

a un corso

scolastico

Detenuti per

spaccio (art. 73/

DPR 309/90)

40,2

34,8

32

23,1

Fonte: DAP
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Tutti i temi citati sopra vengono approfonditi in altre sezioni di questo rapporto, ma già guardando superficialmente a questi semplici indicatori appare chiaro come il calo dei numeri avesse determinato un generale miglioramento per il nostro sistema penitenziario. Diminuiva la componente dei detenuti stranieri, che generalmente sono tra i gruppi più fragili sia fuori che dentro il carcere, dove spesso sono detenuti per fatti meno gravi e più a lungo rispetto agli italiani. E diminuiva la compente delle persone in custodia cautelare, fenomeno che da sempre in Italia registra livelli patologici. Ma diminuivano anche le persone detenute per condanne brevi, cosa che in molti modi la nostra legislazione penale cerca giustamente di disincentivare. Mentre aumentava la percentuale di quanti tra i detenuti lavoravano o studiavano. E diminuiva infine anche il tasso dei suicidi.

Torna a crescere la detenzione

È giusto precisare che su alcuni di questi fenomeni la passata stagione non ha introdotto elementi di radicale discontinuità. La stagione di riforme non ha necessariamente prodotto un carcere “migliore”, o se lo ha fatto, la cosa non va dedotta da questi indicatori, che sono invece il risultato fisiologico di un contenimento del ricorso al carcere. In altre parole, quando si manda meno gente in galera, il carcere assomiglia di più a ciò che dovrebbe essere. Quando ce ne si manda di più, aumenta il sovraffollamento, si accentua la mancanza di risorse e tutti gli indicatori che abbiamo visto sopra vanno in crisi. E purtroppo questo è proprio quello che sta accadendo.

Quando si manda meno gente in galera, il carcere assomiglia di più a ciò che dovrebbe essere

Dalla fine del 2015 alla fine del 2016 il tasso di affollamento è passato dal 105% al 108,8%, ed al 30 aprile 2017 eravamo già al 112,8%. I detenuti in custodia cautelare sono passati dal 34,1% al 34,6%, con una lieve flessione ad aprile 2017 (34,5%), probabilmente perché alla fine dell’anno molti definitivi sono in permesso fuori dagli istituti per le feste.

Dati Affollamento per regione

Capienza, presenza, affollamento per regione e comparazione
tra istituti, Situazione al 30.4.2017

% DI PRESENTI
RISPETTO ALLA CAPIENZA

  • ≤90%
  • 90% – 99,9%
  • 100% – 114,9%
  • 115% – 129,9%
  • ≥130%
Italia

Fonte: DAP
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Aumenta intanto la percentuale degli stranieri tra i detenuti, che passa dal 33,2% della fine del 2015 al 34,1% della fine del 2016, e la tendenza si conferma anche per la durata delle condanne. Aumentano i detenuti per condanne inferiori ai tre anni (dal 23,7% al 24,3%) e diminuiscono i detenuti per condanne superiore ai 10 anni (dal 28,9% al 28,6%).

Quando aumentano
i numeri, il carcere peggiora, da tutti
i punti di vista

Resta per ora stabile la percentuale di quanti tra i detenuti lavorano, mentre non abbiamo ancora il dato di quanti sono oggi gli iscritti ai corsi scolastici, ma i numeri presentati sopra illustrano comunque il punto: un cambiamento nel numero dei detenuti non ha effetti solamente quantitativi, ma anche qualitativi. Un carcere più affollato è generalmente un carcere in cui non aumentano le persone detenute per i fatti più gravi, ma quelle appartenenti alle fasce più marginali, e che generalmente commettono i reati di minor rilievo. Per questi detenuti ci sarà, ovviamente, meno spazio, ma anche meno lavoro, meno formazione professionale, meno attenzione al diritto alla salute e meno sostegno psicologico. Il carcere per loro sarà più duro, più lontano dagli standard di legalità nazionale ed internazionale, e meno efficace nel promuovere il loro reinserimento, producendo a sua volta una società meno sicura.

Per farla ancora più breve, quando aumentano i numeri, il carcere peggiora, da tutti i punti di vista. Ed i detenuti, come abbiamo visto, stanno inesorabilmente aumentando.

Eppure i reati diminuiscono sensibilmente. Nel 2015 il totale di quelli denunciati è stato pari a 2.687.249, contro i 2.812.936 del 2014. Negli ultimi decenni il calo di alcuni reati è stato enorme: nel 1991 gli omicidi sono stati 1.916, a fronte dei 397 del 2016. Nel giugno del 1991 i detenuti erano però 31.053. Dunque si ammazzava cinque volte di più, ma si finiva in galera due volte di meno. Non si era ossessionati dalla sicurezza.

Tra il 2014 e il 2015 diminuiscono tutti i reati che dovrebbero creare maggiore allarme: violenze sessuali (-6,04%), rapine (-10,62%), furti (-6,97%), usura (-7,41%), omicidi volontari (-15%).

Tra il 2014 e oggi i delitti sono diminuiti senza che fossero approvate norme che cambiassero in modo significativo la legislazione pre-esistente. Nonostante ciò i detenuti sono tornati a crescere inesorabilmente.

Le spiegazioni possono ricondursi a tre circostanze:

  • Tra il 2010 e il 2014 c’è stata una grande attenzione pubblica sulle carceri e il sovraffollamento, sia giurisdizionale (sentenza Torreggiani del 2013 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) che politica (messaggio alle Camere del capo dello Stato, ancora nel 2013).
    Il messaggio arrivato agli operatori di Polizia e giudiziari diceva loro di ridurre la pressione repressiva.

  • Nel frattempo, complice ovviamente l’avvicinarsi delle elezioni politiche, è ripartita una campagna sulla sicurezza che evita accuratamente di fondarsi su dati di realtà ma piuttosto si appella alla ‘percezione’ di insicurezza, adottando un rinnovato atteggiamento repressivo nei confronti soprattutto di persone che vivono ai margini della società.

  • Alla fine del 2015 è giunta a scadenza, non rinnovata, la misura straordinaria a tempo della liberazione anticipata speciale, che portava da 45 a 75 giorni il periodo di sconto pena per buona condotta concedibile a semestre.

Vino nuovo ed otri vecchi

La prima urgenza è dunque ovviamente quella di contrastare la nuova impennata dei numeri della detenzione. Per farlo bisogna riflettere attentamente sulle ragioni per cui negli anni passati questi numeri sono scesi, su quali misure sono state adottate e quale è stata la loro efficacia, ma bisogna riflettere anche sul cambiamento di clima che si sta verificando. Il tema è discusso più ampiamente in questo rapporto nel contributo di Patrizio Gonnella, ma è chiaro che l’inasprimento delle pene per il furto previsto nella legge delega per la riforma della giustizia, i recenti decreti governativi in materia di immigrazione e sicurezza o l’attuale dibattito, anche parlamentare, in materia di legittima difesa sono indicativi di un clima fosco e pericoloso.

In questo difficile clima noi ci auguriamo che vengano comunque adottate le riforme proposte dagli Stati generali dell’esecuzione penale voluti dal Ministro Andrea Orlando, che hanno rappresentato un momento prezioso di riflessione e di innovazione a cui hanno partecipato tutti gli attori coinvolti nel sistema dell’esecuzione delle pene.

In chiusura è però d’obbligo sottolineare un punto. L’Italia è uno dei paesi con più personale in carcere, più che in Spagna, in Francia, in Germania o nel Regno Unito, tutti paesi in cui ci sono più detenuti che da noi. Ma questo personale da noi è fatto quasi esclusivamente di personale di custodia. Criminologi e psicologi sono da noi lo 0,1%, contro una media europea del 2,2%, mentre il personale medico e paramedico è lo 0,2%, contro il 4,3% della media europea.

Questo significa che da noi l’idea della pena è ancora legata, nei fatti in maniera assolutamente prevalente, alla dimensione custodiale. La situazione è paradossale. Abbiamo una legislazione piuttosto avanzata ed un ordinamento penitenziario fortemente orientato al reinserimento sociale. Abbiamo addirittura una norma nella Costituzione, l’art. 27, che afferma che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. In Italia una pena che non mira al reinserimento sociale è addirittura una pena incostituzionale.

90,1% del personale è di custodia

Tutto questo però dovrebbe essere messo in pratica con un personale fatto per il 90,1% da personale di custodia (la media europea è del 68,6%). Questo, nei fatti, significa che paesi con legislazioni meno avanzate e sistemi formalmente meno ambiziosi del nostro di fatto investono nel reinserimento sociale assai più di quanto facciamo noi.

Su questo punto è necessaria una inversione di tendenza. Le leggi hanno bisogno di gambe su cui camminare, e le gambe sono inevitabilmente quelle degli uomini e delle donne che le devono attuare. Se mancano le gambe, la riforma non cammina. È stato purtroppo così per la riforma del ’75. “Gozzini dice che il vino nuovo fu versato negli otri vecchi”, raccontava Alessandro Margara1, uno degli autori di quella riforma assieme allo stesso Gozzini. Se non si corre ai ripari, potrebbe essere così anche questa volta.

  1. Margara, A., Memoria di trent’anni di galera, in Corleone, F. (a cura di), Alessandro Margara. La giustizia e il senso di umanità, Fondazione Michelucci Press, Fiesole 2015, p. 86 (consultabile online)