“Non devono morire”

“Non devono morire”

Autolesionismo e suicidi

“Non devono morire”

Meno suicidi, ma più autolesionismo soprattutto tra la popolazione
detenuta straniera

Giovanni Torrente

Èchiaro che l’autolesionismo e i suicidi costituiscano due fra gli argomenti più delicati di cui trattare nel discorso sul carcere. Il suicidio di una persona privata della libertà, in particolare, costituisce, da un lato, il fallimento più evidente del ruolo punitivo dello Stato. Là dove l’autorità statale nell’esercitare il proprio monopolio nell’uso della forza non è in grado di impedire che tale utilizzo della violenza legittima si concili con l’esigenza di salvaguardare il corpo, la salute del reo, ecco che tale utilizzo della forza subisce una profonda delegittimazione. Uno Stato che nel punire non impedisce la morte del condannato perde infatti parte delle funzioni che ne giustificano la potestà punitiva (Ferrajoli, 2007). Dall’altro lato, la morte della persona detenuta rispecchia, nella sua cruda materialità, un tratto “tipico” della carcerazione, là dove, ancora una volta, si conferma assai lontana dall’ideale della pena immateriale che agisce sullo spirito, così come teorizzata dai filosofi illuministi. Non a caso i suicidi di persone detenute provocano scalpore e indignazione. Le storie raccolte da associazioni, volontari, avvocati, familiari o altri soggetti vicini a persone che si sono tolte la vita in carcere mostrano come spesso il suicidio sia il portato ultimo di vicende personali drammatiche che trovano nel momento della carcerazione il crollo definitivo (per una narrazione completa di tali vicende, cfr. Miravalle e Torrente, 2016).

il suicidio di una persona privata della libertà costituisce il fallimento più evidente del ruolo punitivo dello stato

Da qui emerge l’inadeguatezza del carcere ad affrontare il disagio delle persone che sono collocate al suo interno. Anzi, lo shock da carcerazione si conferma come un’esperienza, alle volte, letale per soggetti fragili, non in grado di adottare efficaci strategie di adattamento di fronte alla drammaticità della situazione che si trovano ad affrontare. La ricostruzione di tali vicende sarebbe di per sé sufficiente a coprire un intero rapporto sulle condizioni detentive, senza ulteriore necessità di dimostrare la spietatezza di alcune pratiche penitenziarie (cfr. i dossier sul tema di Ristretti Orizzonti e Calderone e Manconi, 2011). In questa sede si è tuttavia ritenuto di soffermarsi su un altro aspetto. Ci si è infatti voluti concentrare sui dati quantitativi del fenomeno per meglio comprenderne, oltre che la dimensione, la portata rispetto a quanto accade in altri paesi europei.
Ecco quindi che nella prima parte di questo intervento, mi soffermerò direttamente sul fenomeno dei suicidi in carcere mentre, nella seconda, affronterò il tema dei suicidi tentati e più in generale dell’autolesionismo in prigione per concludere, nella terza con alcune riflessioni sul rapporto fra suicidi, nazionalità e posizione giuridica delle persone coinvolte.

I suicidi nelle carceri italiane: un fenomeno
da ridimensionare?

Un primo dato evidente su cui soffermarsi nel trattare il tema dei suicidi nelle carceri italiane è il fatto che il fenomeno, fortunatamente, è in diminuzione. Se per tutti gli anni 2000 i casi di suicidio hanno costantemente superato la cifra dei cinquanta ogni anno, in questi ultimi anni vediamo una diminuzione significativa che si accentua nell'ultimo triennio.

Dati Suicidi in carcere, serie storica 1992-2006

Dati al 31 dicembre di ogni anno

Fonte: Ristretti Orizzonti
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Il dato, naturalmente, assume una significativa valenza statistica se raffrontato con il totale della popolazione detenuta. Se calcoliamo infatti il tasso di suicidi ogni 10.000 detenuti mediamente presenti ecco che appare una linea con notevoli oscillazioni da un anno all’altro, ma con, a partire dai primi anni 2000, una costante tendenza alla diminuzione. Si tratta quindi di un dato positivo che trova spiegazione in diversi fattori. Da un lato, è sicuramente aumentata l’attenzione da parte dell’Amministrazione Penitenziaria. Anche grazie alla pressione realizzata dai soggetti esterni al carcere, l’amministrazione si è impegnata in questi ultimi anni, sia attraverso circolari interne1, sia producendo studi e analisi sul tema2, con l’obiettivo di contrastare il fenomeno. Dall’altro lato, la significativa diminuzione dell’incidenza dei casi negli ultimi 4 anni può essere associata al processo di miglioramento delle condizioni detentive che ha seguito la nota sentenza Torregiani. In letteratura (Manconi e Torrente, 2015), è stata infatti dimostrata una relazione fra l’andamento dei casi di suicidio e il clima penitenziario. Non a caso, infatti, nelle fasi di più aspra criminalizzazione della marginalità urbana rileviamo all’interno delle carceri tassi di suicidio più elevati, mentre si ha una diminuzione del fenomeno nei momenti di apertura verso l’esterno e di de-carcerizzazione.

Dati Tasso di suicidi ogni 10.000 detenuti, 1992 - 2016

Dati al 31 dicembre di ogni anno

Fonte: Ristretti Orizzonti
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Tale tendenziale diminuzione del fenomeno deve quindi suggerirci una sua progressiva riduzione, sino a farlo diventare un evento eccezionale? Chiaramente no.
Anzi, esso rimane, nella sua dimensione quantitativa, grave. Da un lato, occorre infatti ricordare come dai dati diffusi qualche anno fa (2012) dall'Organizzazione Mondiale della Sanità emergeva come l'Italia sia il paese europeo con la maggiore distanza fra l'incidenza del suicidio fra le persone libere rispetto a quelle incarcerate.

Come noto, il nostro è uno dei paesi al mondo con i più bassi tassi di suicido. Parallelamente, tuttavia, tali tassi aumentano vertiginosamente, sino a diventare fra i più alti a livello europeo, fra le persone private della libertà personale. Una distanza, chiaramente, che pone dei gravi interrogativi, sia sulla qualità delle nostre prigioni, sia sull'efficacia dei programmi di prevenzione adottati.

DatiConfronto tassi di suicidio ogni 10.000 persone libere e ogni 10.000 detenuti e differenza %
in Europa


suicidi in carcere

Rapporto tra numero di suicidi

di detenuti e di persone libere

suicidi tra persone libere

7,5

0,47

20

Italia

15,6

1,23

12,68

Francia

8,15

0,92

8,15

Germania

11,3

0,91

12,42

Norvegia

13

0,82

15,85

Paesi Bassi

6,3

0,82

7,68

Portogallo

6,7

0,62

10,81

Regno Unito

2,4

0,51

4,71

Spagna

10,4

1,11

9,37

Svezia

suicidi in carcere

Rapporto tra numero di suicidi

di detenuti e di persone libere

suicidi tra persone libere

7,5

0,47

20

Italia

12,68

15,6

1,23

Francia

8,15

0,92

8,15

Germania

12,42

11,3

0,91

Norvegia

13

0,82

15,85

Paesi Bassi

7,68

6,3

0,82

Portogallo

6,7

0,62

10,81

Regno Unito

4,71

2,4

0,51

Spagna

10,4

1,11

9,37

Svezia

suicidi in carcere

suicidi tra persone libere

7,5

0,47

Italia

15,6

1,23

Francia

8,15

0,92

Germania

11,3

0,91

Norvegia

13

0,82

Paesi Bassi

6,3

0,82

Portogallo

6,7

0,62

Regno Unito

2,4

0,51

Spagna

10,4

1,11

Svezia

Rapporto tra numero di suicidi

di detenuti e di persone libere

20

12,68

8,15

12,42

15,85

7,68

10,81

4,71

9,37

Fonte: OMS e Ristretti Orizzonti
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il nostro è uno dei paesi
al mondo con i più bassi tassi di suicido tra
la popolazione libera

Dall’altro lato, occorre ricordare come il suicidio rimanga fra le principali cause di morte della popolazione detenuta. Se confrontiamo l’andamento dei suicidi con quello delle morti naturali emergono almeno due aspetti degni di nota. Da un lato, i suicidi, negli ultimi 30 anni, costituiscono costantemente almeno un terzo del totale dei morti nelle carceri italiane. Questo vuol dire che ogni 3 persone che perdono la vita nei nostri penitenziari, almeno 1 – ma spesso di più – muore per suicidio. Dall’altro lato, è impressionante come le linee che rappresentano rispettivamente i casi di suicidio e le morti naturali proseguano nel tempo in maniera parallela, quasi come se il suicidio fosse un dato strutturale della morte nelle nostre carceri.

DatiSuicidi e morti naturali in carcere, serie storica 1992 - 2016

Valori al 31 dicembre di ogni anno

Fonte: Ristretti Orizzonti
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In aumento invece i suicidi tentati
e l'autolesionismo

Se, pur con tutti i distinguo di cui si è detto, il fenomeno del suicidio in carcere sembra mostrare un rallentamento, ciò non deve essere attribuito ad una diminuzione generale della violenza auto-inflitta all’interno delle mura della prigione. I dati a nostra disposizione mostrano infatti un andamento esattamente opposto per quanto riguarda i tentativi di suicidio e, in generale, l’autolesionismo.

DatiTentativi di suicidio ogni 10.000 detenuti
e internati, serie storica 1992 - 2016

Fonte: DAP
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Si tratta di dati, occorre premetterlo, che debbono essere letti da una prospettiva critica. È evidente infatti come il dato finale sui tentativi di suicidio e sull’autolesionismo in carcere sia profondamente condizionato dai criteri di classificazione adottati nell’interpretazione dei fatti. È noto infatti come tali criteri mutino nel tempo e nei luoghi. In alcuni momenti e in alcuni istituti, un certo tipo di “taglio” è interpretato come un tentativo di suicidio, in altri “semplicemente” come un gesto autolesionistico. Si tratta quindi di pratiche nella raccolta e classificazione dei dati che inevitabilmente influiscono sulla cifra numerica complessiva e che impongono al commentatore di adottare molta prudenza nella loro interpretazione.
Cionondimeno, trattandosi di dati di flusso oltre che ventennali, non ci si può esimere da un tentativo di commento. Per quanto riguarda i tentativi di suicidio, abbiamo tre momenti di maggiore gravità del fenomeno: il primo, è alla fine degli anni 90’; il secondo è nel 2012, quando giunge la sentenza Torreggiani; il terzo è oggi. Questa recrudescenza del fenomeno ci suggerisce che la prevenzione del suicidio nelle carceri italiane stia funzionando meglio soprattutto se inteso come intervento immediato nel momento in cui si materializza un tentativo. Quindi, l’intervento materiale degli agenti preposti al controllo piuttosto che un miglioramento generale del benessere all’interno delle strutture.

Ancor più rilevante il dato sull’incidenza dell’autolesionismo. I casi nelle carceri italiane aumentano vertiginosamente a partire dal 2007. Ciò che appare significativo è che tale aumento non si arresta negli anni in cui l’Italia vede diminuire il numero di detenuti. Anzi, proprio nell’ultimo biennio abbiamo un nuovo aumento, raggiungendo un numero di casi di autolesionismo, che quasi raggiunge le 9000 unità, sconosciuto in tutta la storia repubblicana.

8.586 Casi di autolesionismo nel 2016

DatiCasi di autolesionismo ogni 10.000 detenuti
e internati, serie storica 1992 - 2016

Valori in migliaia

Fonte: DAP
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Di conseguenza, proprio negli ultimi sei anni aumenta il tasso di autolesionismo ogni 10.000 detenuti mediamente presenti, anch'esso in misura prima sconosciuta. Al netto delle riserve sulle procedure di raccolta statistica, si tratta di un dato che rispecchia il mutamento delle relazioni nelle prigioni italiane. A fronte di una popolazione detenuta sempre più composta da soggetti fragili, fortemente marginali, scompare – pressoché del tutto – la rivendicazione dei diritti. Al suo posto, prende forma lo strumento del corpo ferito come modalità di richiesta di attenzione, di supporto. Si tratta di un mutamento nella comunicazione fra custode e custodito di cui sono consapevoli gli operatori e di cui hanno dato testimonianza le (poche) ricerche qualitative condotte negli ultimi anni nelle carceri italiane3. Nel nostro caso, tali pratiche le ritroviamo in un dato numerico che costituisce, in ultima analisi, la punta dell'iceberg della marginalità trasferita in carcere e degli strumenti a sua disposizione per reclamare attenzione.

Autolesionismo e suicidi in relazione
alla nazionalità e posizione giuridica

Concludiamo questa rassegna con alcuni dati relativi all’ultimo anno che ci forniscono informazioni sul fenomeno dell’autolesionismo e dei suicidi in relazione alla provenienza geografica delle persone coinvolte e alla loro posizione giuridica.
Relativamente alla nazionalità si conferma un dato noto, sia agli operatori che agli studiosi del fenomeno: l’autolesionismo è percentualmente molto più diffuso fra la popolazione straniera rispetto a quella italiana. Se consideriamo che la quota di stranieri detenuti nell’ultimo anno si è assestata al 34%, ecco come il dato sull’autolesionismo mostri un’incidenza del fenomeno pressoché doppia rispetto al totale dei presenti. Si tratta in molti di casi del fenomeno a cui si accennava in precedenza, in base al quale il taglio sul proprio corpo diviene l’ultima residuale forma di reclamo, di richiesta di attenzioni da parte di un universo di disperati che, nella gran parte dei casi, non possiede molte altre alternative per far sentire la propria presenza.

DatiCasi di suicidio e autolesionismo tra detenuti italiani e stranieri

Dati al 31.12.2016

italiani

stranieri

Casi di autolesionismo

Suicidi

8.586

39

3.407

5.179

23

16

tytire tu patulae recubans

tytire tu patulae recubans

Casi di autolesionismo

Suicidi

8.586

39

3.407

5.179

23

16

italiani

stranieri

Casi di autolesionismo

8.586

3.407

5.179

Suicidi

39

23

16

Fonte: DAP
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Il taglio sul proprio corpo è l’ultima residuale forma di reclamo

Il dato si ridimensiona, invece, relativamente ai suicidi, i quali paiono pressoché equamente distribuiti fra italiani e stranieri, confermando di fatto la natura espressiva delle diverse forme di autolesionismo diffuse fra la popolazione detenuta non italiana. Inquietante appare invece l’incidenza del fenomeno in relazione alla posizione giuridica . Occorre infatti considerare che, secondo le ultime rilevazioni del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, le persone imputate recluse nelle carceri italiane sono il 34,62%, mentre gli internati sono poco più del 0,5%. Se il dato sull’autolesionismo mostra un’incidenza del fenomeno fra i non condannati di poco superiore rispetto alla percentuale dei presenti, è quello sui suicidi che ancora una volta mostra una correlazione fra lo shock che segue l’ingresso in carcere e il compimento di gesti autolesivi4. È un dato, occorre rilevarlo, in miglioramento, in quanto precedenti ricerche mostravano un ben più elevato numero di suicidi fra le persone imputate rispetto a quelle condannate a titolo definitivo (Manconi, Torrente, 2015). È tuttavia significativo che in quasi la metà dei casi ci si trovi di fronte a persone per le quali vale la presunzione di innocenza. Proprio in ragione di tale non colpevolezza presunta, si rivela particolarmente grave il fatto che l’autorità statale non sia stata in grado di evitare, da un lato, la custodia cautelare in carcere e, dall’altro, là dove ritenuta necessaria, un’adeguata protezione al fine di impedire ciò che invece, in troppi casi, è accaduto.

DatiCasi di suicidio e autolesionismo
per posizione giuridica

Dati al 31.12.2016

imputati

condannati

internati

Casi di autolesionismo

Suicidi

8.586

39

3.365

5.116

105

19

20

tytire tu patulae recubans

tytire tu patulae recubans

Casi di autolesionismo

Suicidi

8.586

39

3.365

5.116

105

19

20

imputati

condannati

internati

Casi di autolesionismo

8.586

3.365

5.116

105

Suicidi

39

19

20

Fonte: DAP
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  1. Tali circolari sono oramai numerose. Si segnala, da ultime, la 0368262 del 2016 dal titolo “Prevenzione dei suicidi negli istituti penitenziari. Dislocazione in cella singola” e la 161639 dello stesso anno dal titolo “Direttiva del Ministro in tema dei suicidi dei detenuti”.
  2. Le più rilevanti delle quali sono a firma di Pietro Buffa (2012, 2015).
  3. Si rimanda in particolare al numero monografico della rivista “Etnografia e ricerca qualitativa” a cura di Alvise Sbraccia e Francesca Vianello (2016).
  4. Nell’ultimo anno, invece, non si sono verificati casi di suicidio fra gli internati.

Bibliografia

BUFFA P. (2012), Il suicidio in carcere: la categorizzazione del rischio come trappola concettuale ed operativa, “Rassegna penitenziaria e criminologica”, XV, 1, pp. 7-118

CALDERONE V., MANCONI L. (2011), Quando hanno aperto la cella, Il Saggiatore, Milano

FERRAJOLI L. (2007), Principia juris. Teoria del diritto e della democrazia. Vol. 1. Teoria del diritto, Laterza Editore, Bari.

MANCONI L., TORRENTE G. (2015), La pena e i diritti. Il carcere nella crisi italiana, Carocci Editore, Roma.

MIRAVALLE M., TORRENTE G. (2016), La normalizzazione del suicidio nelle pratiche penitenziarie. Una ricerca sui fascicoli ispettivi dei Provveditorati dell’amministrazione penitenziaria, “Politica del diritto”, XLVII, 1-2, pp. 217-258

SBRACCIA A., VIANELLO F., a cura di (2016), La ricerca qualitativa in carcere in Italia, “Etnografia e ricerca qualitativa”, IX, 2.