Il ponte precario tra “dentro” e “fuori”

Il ponte precario tra “dentro” e “fuori”

Volontari

Il ponte precario
tra “dentro” e “fuori”

Meno detenuti, ma anche meno volontari. Le differenze tra Nord e Sud, fotografia di un’Italia divisa

Perla Arianna Allegri

Ènegli anni Settanta, anni di riforme anche per il sitema penitenziario, che il volontariato giustizia, oggi denominato volontariato penitenziario, trova il suo riconoscimento nel dettato normativo degli articoli 17 e 78 dell’Ordinamento penitenziario, nell’ottica inclusiva di una legge che cercava un coinvolgimento attivo della comunità esterna nel processo rieducativo della popolazione detenuta. Un ponte tra “dentro” e “fuori”.

Si fa piano piano largo l’idea che il volontario possa giocare un ruolo nel trattamento del detenuto, partecipando al sostegno morale per il futuro reinserimento nella vita sociale. Tuttavia, è solo con la legge quadro n. 266 del 1991 che si comincia a parlare di organizzazioni di volontariato e non più di singoli soggetti operanti mossi da uno spirito assistenzialistico, bensì di gruppi organizzati che svolgono attività di volontariato tramite associazioni.

È la legge quadro a segnare il punto di avvio verso un formale riconoscimento non solo del volontariato come principio di libera associazione, ma anche come approvazione di un ruolo più prettamente politico e quindi di dialogo con le istituzioni e con gli enti pubblici, in grado di prendere parte nel campo della progettazione.

Solo con la legge Gozzini del 1986, che modifica l’Ordinamento penitenziario e richiede un impegno nel fare rete all’esterno per sostenere i detenuti in misura alternativa, finalmente i volontari trovano l’accesso per prendere parte pienamente al trattamento rieducativo del condannato.

Viene poi approvato nel 1994 un documento d’indirizzo del loro intervento nell’ambito dell’ esecuzione penale, sottoscritto dal Ministero di Grazia e Giustizia e da alcuni rappresentanti del SEAC, che doveva rappresentare il grimaldello contro i muri di diffidenza delle Amministrazioni penitenziarie verso gli assistenti volontari, ma che non dispiegò mai l’effetto voluto. Si dovette infatti attendere fino al 1999 per la sottoscrizione del protocollo d’intesa tra il Ministero della Giustizia e la CNVG - Conferenza nazionale volontariato e giustizia, per giungere ad un primo momento di vero dialogo tra l’Amministrazione penitenziaria e i volontari, una conquista che ha permesso al volontariato penitenziario di prendere posto insieme alle regioni e agli enti locali e di essere considerato un interlocutore diretto per l’Amministrazione (L. Ferrari, 2007).

Gli assistenti volontari, un esercito di risorse

Quante sono le persone che prestano il loro operato all’interno degli istituti italiani? Negli anni il numero dei volontari in carcere è salito esponenzialmente, quasi raddoppiando in meno di 5 anni, come evidenziato nel grafico che segue:

DatiVolontari nelle carceri italiane, 2009-2015

ART. 17

ART. 78

14.911

14.587

15000

12.685

12.098

11.164

12000

9.961

8.482

9000

6000

3000

0

2009

2010

2011

2012

2013

2014

2015

ART. 17

ART. 78

14.911

14.587

15000

12.685

12.098

11.164

12000

9.961

8.482

9000

6000

3000

0

ART. 17

14.587

ART. 78

14.911

12.685

15

12.098

11.164

12

9.961

8.482

9

6

3

0

‘09

’10

’11

’12

’13

’14

’15

Fonte: DAP
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Dai dati a nostra disposizione è possibile osservare che non solo i numeri sono cresciuti considerevolmente, raggiungendo nel 2015 un totale di 14.587 persone autorizzate, ai sensi degli articoli 17 e 78 dell’Ordinamento penitenziario (i due articoli che regolano l’ingresso dei volontari negli istituti), a varcare le soglie delle carceri italiane, ma anche che la distribuzione nelle varie regioni italiane ha subito una controtendenza rispetto ad una decina di anni fa.

La distribuzione del volontariato penitenziario nell'anno 2004 era pressoché omogenea in tutte le aree geografiche del nostro Paese, attestandosi una presenza di soggetti autorizzati del 31-35% per ogni area geografica della nostra penisola.

Un’omogeneità di distribuzione non più confermata nel corso del 2015. L’ultima rilevazione del DAP fotografa, infatti, una situazione differente, che vede risalire i numeri del volontariato nel Nord Italia e attestarsi intorno al 45% e scendere di molto quelli al Centro ed al Sud, con percentuali del 27-28%.

DatiVolontari ex art. 17 e 78 Ordinamento Penitenziario

Valori al 2015

  • 1 - 200
  • 201 - 500
  • 501 - 1.000
  • più di 1.000
Italia

Fonte: DAP
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DatiDistribuzione nazionale del volontariato penitenziario

2004

2015

45

35,6

32,7

31,7

28

27

Nord

Centro

Sud e isole

2004

2015

45

35,6

32,7

31,7

28

27

Nord

Centro

Sud e isole

2004

2015

35,6

Nord

45

31,7

Centro

28

32,7

Sud e

isole

27

Fonte: DAP
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Se al Nord e al Centro il primato va alla Lombardia con il record di autorizzazioni (2.445), seguita dalla Toscana (1.748), al Sud il primato negativo va alla Sicilia che a fronte di 24 istituti penitenziari presenti sul territorio ha un tasso di volontari inferiore rispetto alla media delle altre regioni e che registra 837 autorizzazioni totali.

la Sicilia, a fronte
di 24 istituti penitenziari
ha un tasso di volontari
inferiore rispetto
alla media

In assenza di dati più precisi è praticamente impossibile valutare quali sono i fattori che influiscono su questi numeri e, più nello specifico, stabilire efficacemente quanto incidano le condizioni di un certo territorio sulle pratiche del volontariato e quanto gli ingressi di quest’ultimo siano in realtà osteggiati dalle amministrazioni dei vari istituti.

Al di là di qualche particolarismo regionale, però, i numeri sono in ascesa in tutte le regioni e assistiamo ad una crescita particolarmente rapida tra l’anno 2013 e il 2014 che vede risalire i numeri di ben 2.286 unità in un solo anno, sintomo di una maggiore apertura delle direzioni che, post sentenza Torreggiani, vedono nel volontariato, utilizzando le parole di Livio Ferrari, « un ruolo sedativo», una valvola di sicurezza per abbassare il clima di tensione interno risolvendo i bisogni dei detenuti (L. Ferrari, 2011)

324 i volontari autorizzati in meno nel 2015

Il trend di volontari autorizzati è pertanto nettamente ascendente. Tuttavia nel corso del 2015 si registra una diminuzione di 324 soggetti autorizzati.

Il quesito che è opportuno porsi è se questo recente abbassamento dei numeri sia dovuto a possibili revoche delle autorizzazioni da parte delle amministrazioni penitenziarie e secondo quali motivazioni, purtroppo l’assenza pressoché totale dei dati sulle sospensioni e sulle revoche dei permessi da parte delle direzioni non ci permette di dare risposta.

Numero complessivo dei detenuti e dei volontari, 2009-2015

Valori in migliaia

Fonte: D.A.P
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Cosa fa il volontario penitenziario

L’operato del volontariato penitenziario si estrinseca in varie forme: dal sostegno morale e materiale alla persona detenuta a quello alla famiglia. L’assistente volontario tenta di accompagnare il detenuto nel suo percorso rieducativo rappresentando un aiuto per un reinserimento concreto, un ponte di collegamento che tenta di ricucire lo strappo avvenuto con la società.

Da un lato “comunica” alla società le criticità di un carcere sempre meno umano, il diritto a scontare una pena che sia dignitosa e tutti i bisogni della popolazione detenuta con lo scopo di sensibilizzare la comunità e di accorciare la separatezza che da sempre caratterizza la vita detentiva, dall’altro tenta di porsi come ponte con l’esterno attraverso l’elaborazione di progetti ad hoc per i soggetti ristretti, la promozione di attività inclusive e lavorative e la costituzione di reti con le risorse socio-assistenziali presenti sul terriotorio in cui agiscono.

Va sottolineato, però, come tuttora le attività religiose (19%) siano superiori alle attività di formazione lavoro (12%). Entrambi sono certo elementi fondamentali del trattamento rieducativo, ma varrebbe la pena, forse, orientare le forze verso l’aiuto nella ricerca del lavoro, per dare ai detenuti un’alternativa valida alle loro scelte di vita.

A queste attività si aggiungono quelle sportive, ricreative e culturali che ricoprono la percentuale maggioritaria di interventi da parte degli assistenti volontari. Dai laboratori di lettura, agli spettacoli teatrali, dalla lettura condivisa dei quotidiani alle piccole redazioni giornalistiche interne agli istituti.

DatiAttività in cui è impegnato il volontariato

Valori in %

12

19

29

40

Lavoro e

formazione

Attività religiose

Sostegno alle persone

e alle famiglie

Attività sportive, ricreative e culturali

12

19

29

40

Lavoro e

formazione

Attività

religiose

Sostegno alle persone

e alle famiglie

Attività sportive, ricreative

e culturali

12

Lavoro e formazione

19

Attività religiose

29

Sostegno alle persone

e alle famiglie

40

Attività sportive,

ricreative e culturali

Fonte: DAP
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Queste attività rappresentano ben il 40% delle attività totali, ma quante di esse sono davvero di trattamento e quante di intrattenimento?

la reintegrazione sociale è l’obiettivo, e presuppone un’adesione cosciente
del detenuto stesso

Occupare un tempo vuoto è utile certamente a temperare le tensioni, ma va distinto dal trattamento il cui obiettivo è la reintegrazione sociale del reo e presuppone, a tal fine, un’adesione cosciente del soggetto detenuto stesso.

Occorre specificare che la maggior parte dei soggetti che prestano la loro opera sono autorizzati ai sensi dell’articolo 17 O.P., ossia che fanno parte della comunità esterna che viene coinvolta nel trattamento rieducativo, non sempre sono appartenenti ad associazioni di volontariato - si pensi ai docenti che entrano per fare sostegno agli studi- ma che come comunità esterna partecipano alle attività rieducative.

I volontari autorizzati ex art. 78 O.P. sono quelli che vengono definiti «assistenti volontari» ed hanno la possibilità di fare colloqui diretti con i detenuti. Sono soggetti singoli o afferenti all’associazionismo che dimostrano uno spiccato interesse ed una sensibilità per le condizioni dei soggetti ristretti e che hanno dato prova di capacità e comprensione nell’assistenza alle persone in stato bisogno.

I grafici sottostanti ritraggono il numero ed il trend dei volontari autorizzati: salta all’occhio come gli articoli 17 siano non solo significativamente superiori al numero degli assistenti volontari, ma come la tendenza di questi ultimi sia in decrescita nel corso dell’ultimo anno.

Da un lato è plausibile pensare che i numeri degli articoli 17 siano superiori non solo per la facilità di accesso presso gli istituti (è sufficiente, infatti, una richiesta su carta semplice previo parere del direttore e successiva autorizzazione del Magistrato di sorveglianza), ma anche in virtù del fatto che essi realizzano, negli istituti in cui operano, progetti sostenuti da finanziamenti pubblici sgravando il carcere dalle necessità dei detenuti.

Conclusioni

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una modifica del mondo del volontariato che non solo ha imparato a organizzarsi, ma che è passato da un agire individuale ad uno organizzato, formato scientificamente e teso alla progettualità di programmi comuni.

Di fronte ad una crescita della popolazione detenuta, arrestatasi (parzialmente) negli ultimi anni post sentenza Torreggiani, assistiamo ad una crescita degli ingressi della comunità esterna negli istituti nell’ottica di un sostegno al reinserimento sociale.

Ma perché nonostante quest’impegno le condizioni della vita detentiva rimangono così poco rispettose? È indiscusso che essi non solo costituiscono gli occhi della società esterna e la voce dei detenuti, ma suppliscono anche, e soprattutto, alle carenze trattamentali e di servizi dell’Amministrazione penitenziaria che spesso, invece di aprire le porte ai volontari, si chiude su se stessa osteggiando il loro operato.

È necessario chiedersi se l’opera del volontariato non sia mero “salvagente assistenziale”

È necessario, pertanto, chiedersi se questo assistenzialismo nei confronti non solo dei detenuti, ma anche delle amministrazioni, non rileghi l’opera del volontariato a mero “salvagente assistenziale” che tampona le criticità di un sistema che, in più occasioni, ha dimostrato di non essere in grado di far fronte autonomamente a situazioni di emergenza.

Quest’atteggiamento subalterno, di deferenza all’istituzione non fa che convalidare con la sua abnegazione un sistema che se contrastato è capace di mettere alla porta. Sarebbe importante appurare, attraverso un numero maggiore e più preciso di dati ed attraverso un’analisi qualitativa del fenomeno, quanto la presenza dei volontari è realmente accettata e non meramente tollerata, troppo poco infatti si conosce delle pratiche e della corrispondenza tra effettive autorizzazioni e numeri di ingressi.

Di certo la diminuzione degli articoli 78 dell’ultimo anno, e non degli articoli 17, fa pensar male, al punto da chiedersi se tutt’oggi il volontariato non continui ad essere considerato una presenza scomoda per le amministrazioni.

Bibliografia

FERRARI L., (2007) In carcere, scomodi. Culture e politiche del volontariato giustizia. FrancoAngeli, Milano

FERRARI L., (2010) Di giustizia e non di vendetta. L’incontro con esistenze carcerate. Edizioni Gruppo Abele, Torino

DE ROBERT D., (2006) Sembrano proprio come noi. Frammenti di vita prigioniera. Bollati Boringhieri Torino

ONIDA V., (2014) Quale orizzonte culturale per il carcere? In Aggiornamenti sociali n. 2, (p. 108-116)