Settembre 2007
Eppure gli arrivi sono diminuiti: 14.968 migranti dall’inizio dell’anno al 17 settembre, contro i 16.093 dello stesso periodo nel 2006. Inoltre 1.396 persone avevano come meta la Sardegna e diverse centinaia la Calabria. Le vittime stanno aumentando perché si arriva su barche più piccole (41 persone a bordo in media, contro i 101 del 2005), affidate alla guida dei passeggeri, che spesso non hanno esperienza di mare. Inoltre sono sempre più frequenti, stando alle testimonianze raccolte tra gli sbarcati, i casi di omissione di soccorso da parte di pescherecci e mercantili. La vicenda dei pescatori tunisini è nota. Finalmente i sette marinai sono stati rimessi in libertà, ma il processo continua e rischiano anni di carcere per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, avendo salvato 44 vite umane. E i pescatori di Lampedusa ammettono di rigettare in mare i cadaveri che pescano con le reti, per evitare il fermo delle barche.
Il 10 settembre è ripartito il pattugliamento congiunto aeronavale del Canale di Sicilia dell’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne Frontex, attivo anche sulle rotte tra Annaba (Algeria) e la Sardegna, dove già 64 ragazzi hanno perso la vita. Durante la prima fase della missione (giugno-luglio 2007) 464 migranti sono stati intercettati e altri 166 soccorsi. Il commissario Ue, Franco Frattini, ha garantito che la missione durerà alcuni mesi e che dal 2008 la Libia parteciperà ai pattugliamenti, che saranno permanenti. Per questo Frattini ha già chiesto 30 milioni in più per il bilancio di Frontex, che ammonta a 34 milioni nel 2007, sebbene un emendamento al Parlamento Europeo chiede di congelare da subito il 30% delle spese amministrative dell’agenzia. La vera novità però è la partecipazione della Libia.
Bloccare i migranti in acque libiche e respingerli verso i porti di partenza. È l’obiettivo di Frontex, che sta facendo lo stesso in Mauritania e Senegal, dove oltre 1.500 migranti sono stati bloccati nel 2007 e più di 18.000 senegalesi rimpatriati dal 2006. E se l’Acnur (Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati) dice che tra chi sbarca in Sicilia vi sono rifugiati e Human Rights Watch accusa la Libia di gravi abusi e torture contro gli stessi, poco importa. Frontex ha già un ufficiale di collegamento con il Governo libico. E l’Ue finanzia con i fondi Aeneas un programma Oim di rimpatrio assistito dalla Libia verso il Niger. Alla Libia, Bruxelles offre un sistema elettronico di controllo della frontiera sud con Niger, Chad e Sudan, da dove entrano illegalmente almeno un terzo dei migranti che poi fanno rotta su Lampedusa. Presto Frattini invierà una missione a Tripoli per verificare le esigenze e poi installare le forniture. Lo aveva già annunciato Amato il 18 settembre 2007. Lo stesso giorno un comunicato della Presidenza dell’Unione europea condannava le “gravi violazioni dei diritti umani” in Eritrea. Nessun accenno però ai 2.589 eritrei sbarcati lungo le coste siciliane nel 2006. Il 12% dei 22.016 dei migranti sbarcati in Italia lo scorso anno, il 20,8% dei 10.438 richiedenti asilo dello stesso periodo. Nessun accenno nemmeno ai 600 eritrei detenuti da 1 anno e 6 mesi a Misratah, 200 km a est di Tripoli, in condizioni degradanti, con donne incinte e neonati, né ai 70 arrestati a Zawiyah durante una retata nella notte tra l’8 e il 9 luglio 2007. Centocinquanta sono rifugiati politici riconosciuti dall’Acnur, che sta cercando una soluzione di resettlement. Ma i tempi stringono e il rimpatrio sembra sempre più vicino. La maggior parte sono disertori dell’esercito in guerra con l’Etiopia. Asmara per loro significa carcere, tortura e il rischio della pena di morte. Lo dice Amnesty International: nel 2005 almeno 161 disertori sono stati fucilati in Eritrea. Le comunità eritree della diaspora hanno manifestato per la loro liberazione il 18 settembre 2007, in diverse capitali di un’Europa che però continua a voltare la testa.
I flussi sono misti, lo ammette anche il Libro verde Ue sull’asilo, ma il diritto d’asilo è la prima vittima delle politiche securitarie di respingimenti e militarizzazione delle frontiere. Lo dice Eurostat: 192.000 domande d’asilo nei 27 dell’Ue nel 2006, contro alle 670.000 domande nel 1992 nei soli 15 Stati membri di allora. Le richieste sono dimezzate negli ultimi 5 anni, nel 2006 il calo è stato del 15%. È il primo risultato del giro di vite sull’immigrazione clandestina, ultima opzione per chi fugge senza documenti dall’Irak o dall’Afghanistan, dal Darfur o dall’Eritrea. Arrivare in Europa è sempre più difficile. Basta leggersi i dati sui continui respingimenti di rifugiati. Ad esempio dai porti italiani.
Viaggiano nascosti sui traghetti dei turisti per attraversare l’Europa e andare a chiedere asilo in Germania, Svezia o Regno Unito. Si giocano tutto, chi perde esce. A settembre, stando ai dispacci delle agenzie di stampa, 194 migranti sono stati respinti dai porti italiani dell’Adriatico, di cui almeno 95 irakeni, 30 turchi e 19 afgani “riammessi” in Grecia, dove la loro domanda d’asilo non è più valida e dove rischiano l’espulsione in Turchia e da lì nei Paesi di origine. Da Ancona è stata addirittura respinta una famiglia irakena di padre, madre e 4 bambini di età tra 1 e 8 anni, in data 19 settembre. Ad agosto i respingimenti erano stati 362. Solo dal porto di Bari, secondo i dati della Polizia di frontiera, 850 persone sono state riammesse in Grecia nel 2006, dei quali 300 iracheni e 170 afgani. Nel 2007 Bari ha riammesso 150 iracheni soltanto nel giorno di Pasquetta, il 9 aprile 2007, 120 soltanto nel mese di agosto e 43 a settembre. La riammissione per via breve con verbale di affidamento al capitano è prevista dalla legge italiana. Ma la stessa legge vieta il respingimento in frontiera di quelle persone che rischiano nel paese di transito, o nel paese di provenienza, in caso di un successivo “refoulement”, trattamenti inumani e degradanti. Un principio già recepito dall’articolo 3 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo. Un principio ribadito nella risoluzione sull’Iraq approvata il 15 febbraio 2007 dal Parlamento europeo, in cui si invitavano gli Stati dell’Ue a riconoscere l’asilo agli iracheni, erano vietate le espulsioni dei profughi, e si chiedeva di non procedere a trasferimenti Dublino se il Paese interessato (in questo caso la Grecia) non esaminava correttamente le domande dei richiedenti asilo iracheni.
La Grecia non ha mai riconosciuto lo status di rifugiato politico ad un solo iracheno. Nei primi otto mesi dell’anno ha arrestato almeno 4.500 migranti sbarcati sulle isole dell’Egeo. Molti sono stati espulsi in Turchia, sulla base dell’accordo di riammissione del 2001, utilizzato anche per gli iracheni, secondo l’Organizzazione mondiale contro la tortura. A luglio l’Acnur denunciava la Turchia per il rimpatrio di 135 iracheni. L’11 settembre una serie di retate hanno portato all’arresto di 145 migranti a Edirne e Ipsala, vicino alla frontiera greca, a Izmir, davanti all’isolotto greco di Hios, e ad Istanbul. 50 afgani, 21 somali, 74 tra irakeni, mauritani, rwandesi, georgiani, palestinesi, birmani. “Tutti saranno rimpatriati” dicono fonti ufficiali. Intanto Istanbul ha iniziato i lavori per costruire un muro di 473 km alla frontiera irakena per bloccare le attività dei separatisti kurdi del Pkk, sotto il bene placito dell’Ue. La Siria ha bloccato gli ingressi dei profughi iracheni a Tanaf, e l’Arabia Saudita ha messo a disposizione 3,2 miliardi di dollari per l’installazione di 900 km di filo spinato alla frontiera con l’Irak. Poi ci si chiede perché diminuiscono le richieste d’asilo.
Barriere che ricordano quelle di Ceuta e Melilla ed evocano i fantasmi dei 17 morti ammazzati sotto gli spari delle Forces Auxiliares marocchine e della Guardia Civil tra l’estate e l’autunno del 2005. Due anni dopo, il 21 ottobre 2007, una carovana della solidarietà tornerà sui luoghi per la memoria delle vittime di una guerra, quella contro l’immigrazione, mai sospesa. A Ceuta 33 bangladeshi si sono rifugiati nei boschi per evitare il rimpatrio. Vivono nascosti dal 18 agosto. Erano partiti tre anni fa.
Ma muri e barriere si elevano anche alla frontiera orientale dell’Ue. La nuova cortina passa per Slovacchia, Polonia, Ungheria e Romania. E l’esternalizzazione dei controlli è affidata all’Ucraina. Il 14 settembre 2007, tre bambine cecene, di 6, 10 e 13 anni, sono morte assiderate tentando di passare a piedi il confine tra Ucraina e Polonia, insieme alla madre. In Ucraina – si legge in un rapporto di Human Rights Watch del 2005 – “migranti e richiedenti asilo affrontano sistematici abusi, detenzioni arbitrarie in condizioni degradanti, violenze, estorsioni e rimpatri forzati”. “Il sistema d’asilo – continua il rapporto – non funziona, e ciò causa il rimpatrio forzato di persone verso Paesi dove rischiano torture e persecuzioni”. Human Rights Watch denuncia gli accordi di riammissione tra i Paesi dell’Est Europa e Kiev, che portano al frequente rimpatrio in Ucraina di richiedenti asilo prima dell’esame della loro domanda. Human Rights Watch esprime particolare preoccupazione per i rimpatri dei rifugiati della Cecenia e dell'Uzbekistan. Dall'Ucraina sono stati espulsi 5.000 migranti nel 2004 e 2.346 nella prima metà del 2005, la metà verso ex Repubbliche sovietiche, gli altri verso Cina, India, Pakistan e Bangladesh. L’Ue è conoscenza di questi rapporti, ma con Kiev ha già stretto un accordo di riammissione, firmato a latere del Consiglio di cooperazione Ue-Ucraina del 18 giugno 2007, e che dovrebbe entrare in vigore entro la fine dell’anno. Il rapporto Hrw è datato di due anni, ma è confermato punto per punto dai più recenti documenti on-line dell’associazione ucraina Pawschino