Razzisti? Un manuale per provare a smettere
Chi l'avrebbe mai detto che sarebbe successo così in fretta. I campi rom incendiati, il reato di immigrazione illegale, le espulsioni per i richiedenti asilo, le ronde. E quest'aria avvelenata che ha prima suscitato allarme dei nostri vicini spagnoli, poi quello di Amnesty International, dell'Onu e, infine, anche del Vaticano. Troppe cose e troppo in fretta per attribuirne la responsabilità al risultato elettorale. Il nuovo clima politico può aver contribuito a far cadere certi pudori, può aver fatto sentire legittimati i vari giustizieri fai-da-te, ma un paese non cambia da un momento all'altro. Il fatto è che, come spesso "glialtrinoi" ha sottolineato, siamo il paese dei "norapperi", i "non razzisti però...". La novità è che negli ultimi mesi quel "però" è diventato enorme perché ognuno l'ha nutrito col proprio malessere.
Un libro appena uscito per Laterza, fin dal titolo - "Sono razzista ma sto cercando di smettere" - enuncia il problema e, nel contempo, suggerisce un percorso per uscirne. I due autori, Guido Barbujani e Pietro Cheli, sono rispettivamente un docente di genetica e un giornalista. Hanno messo assieme le loro competenze per svolgere una pacata riflessione sul "però" e hanno raggiunto una conclusione spietata: non basta aver ragione, non bastano i buoni argomenti.
Per esempio, la ragione (la scienza) ha da tempo escluso la possibilità di dividere l'umanità in razze. Quelli che negli ultimi tre secoli ci hanno provato, da Linneo alla polizia inglese, passando per il nostro Biasutti, hanno proposto una tale varietà di classificazioni (da tre diverse razze fino a più di cinquanta) da aver ottenuto il solo risultato di dimostrare l'impossibilità dell'impresa. Verrebbe da sorridere nel leggere dei "negroidi" e dei "tartari", dei "caucasici" e degli "australoidi", dei "melanesiani" e dei "lapponi", se dopo non si scoprisse che il pregiudizio razzista resiste a dispetto di tutto. E non solo tra le reclute delle ronde anti-immigrati ma anche nel mondo scientifico. E' di pochi mesi fa l'intervista al "Sunday Times" del premio Nobel James Watson che (salvo poi, come un qualunque politico italiano, sostenere di essere stato frainteso) si è detto pessimista sul futuro dell'Africa per via della "dimostrata" minore intelligenza dei neri.
La ragione non basta. Perché anche quando si condividono le conclusioni della scienza, anche quando si riconosce che non esistono differenze biologiche profonde tra gli abitanti della terra, si possono comunque trovare dei nuovi motivi per negare che ogni uomo ha gli stessi diritti degli altri uomini. D'altra parte, come dice Malek Boutih (riprendendo un analogo concetto espresso da Primo Levi a proposito del fascismo) il razzismo del Ventunesimo secolo non potrà mai essere lo stesso del secolo precedente.
Quello contemporaneo, alimentato dalla diffusione sistematica della paura, assume forme molteplici. A volte si cela dietro il "buon senso" degli amministratori che negano la residenza agli immigrati indigenti, altre volte invece si manifesta nella violenza verbale. "I bambini delle elementari, i ragazzi delle medie - scrivono gli autori di questo manuale per non diventare peggiori - stanno crescendo in un paese in cui le manifestazioni verbali di razzismo sono diventate comuni". Il nuovo razzismo si nasconde anche nella proliferazione dei sensatissimi "però" che ognuno di noi, nella vita quotidiana, sente pronunciare, a volte pronuncia, a volte pensa.
Barbujani e Cheli indicano un percorso, non propongono una terapia. Se non quella che già si comincia a praticare con la lettura del loro libro: il ragionare, il distinguere, il porsi il problema. "Noi speriamo - concludono - che questo libro possa essere un po' di aiuto a chi, moderatamente razzista come noi ma come noi molto scontento di esserlo, sta cercando di smettere".
(Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)