Perde Alfano e vince Maroni

di Susanna Marietti, Il Manifesto, 13 maggio 2010

Due cose ci dice la vicenda di Stefano Gugliotta, se mai ci fosse ancora bisogno di dirle. Di due cose ci parla la storia del ragazzo malmenato e incarcerato nei dintorni dello stadio romano, e fortunatamente in queste ore rimesso in libertà: dell’uso della violenza e dell’uso del carcere. La violenza è uno strumento privo ormai di alcun fine specifico. Non se ne fa un uso politico, come già in altri tempi. Sotto i suoi colpi non finiscono categorie determinate di persone, come si sarebbe potuto immaginare all’indomani del solo G8 genovese.
È indiscriminata e indeterminata, la si rivolge al tossicodipendente trovato in un parco con pochi grammi di hashish in tasca così come al presunto tifoso o anche, se già in quella vogliamo riconoscerne i prodromi, ai detenuti oggetto di uno sfollamento nel carcere di Sassari ormai dieci anni fa.
E non vale neanche troppo la pena di sforzarsi di rintracciarne le origini attraverso analisi un tantino complesse. Chiunque nella storia abbia mai voluto governare dando un segnale di autoritarismo ha utilizzato genericamente la violenza. Non c’è molto più di questo. Le mele marce che oggi si vogliono invocare sono ben legittimate dall’intero albero sul quale vivono. L’unico possibile segnale di discontinuità sarebbe oggi l’introduzione del crimine di tortura nel codice penale.
Il carcere lo si usa ormai per ogni occasione. È forse in assoluto l’ambito nel quale le leggi vengono meno rispettate, e nessuno se ne stupisce minimamente. Le leggi penitenziarie, per l’illegalità dello stato in cui versano le nostre galere. Le leggi procedurali, per come viene ad esempio utilizzata la custodia cautelare in carcere. Abbiamo incontrato Stefano Gugliotta a Regina Coeli insieme agli altri ragazzi arrestati a seguito della partita Roma-Inter. Abbiamo visto le ferite sul corpo di Gugliotta e su quello di un altro giovane. Deciderà la magistratura se sono un gruppo di facinorosi ovvero quel che apparivano a un incontro superficiale quale il nostro: normalissimi ragazzi, perfino un tantino miti di carattere. Ma certo non sono persone cui l’applicazione della custodia cautelare si giustifichi in punta di diritto.
E qui salta agli occhi la schizofrenia delle politiche governative. Nei giorni in cui il ministro Alfano si batte per un disegno di legge che viene qualificato come “svuota carceri”, gli ordini di polizia sono quelli di riempire le galere di ragazzetti innocui. Quasi fosse un compitino da portare a casa alla sera, quasi si debba raggiungere un certo numero quotidiano di arresti per rispondere a quanto chiesto al vertice.
Ma Alfano alle grida sulla sicurezza tutto sommato non ci ha creduto mai troppo. Oggi si preoccupa solamente che il sistema penitenziario di cui è responsabile non esploda. Tutto il suo partito dell’amore non ha creduto tutto sommato mai a niente, se non a se stesso e al perseguimento dei propri interessi. La sicurezza serviva per vincere le elezioni, non per costruire ideologia. Diverso è invece per la Lega, la vera italica destra – il vero fascismo – dei giorni nostri. La Lega ci crede veramente. E, su questo terreno, è lei che ha vinto. Tra Alfano e Maroni è oggi decisamente il primo ad avere la peggio.