Giovanni Tinebra tra qualche settimana dovrebbe tornare a fare il procuratore. Non può dunque essere lui il capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap) dell'Unione al governo ma non può neanche esserlo chi ha condiviso le sue politiche. In questi mesi sono circolati nomi diversi, si parla di ritorni illustri, di illustri sconosciuti, di persone da sistemare. Il metodo non può essere questo. Con l'unica eccezione di Alessandro Margara, nominato da Flick nel '97, i capi del Dap sono stati di due categorie: magistrati a cui bisognava trovare una collocazione e magistrati amici mai interessatisi alla questione penitenziaria. E i risultati si sono visti. Le carceri sono fuorilegge e nessuno si è preoccupato di applicare le norme, come se l'illegalità fosse funzionale alla sicurezza. Oggi l'indulto offre un'occasione storica che non va vanificata. Nominare la persona sbagliata significa gettarla via, dando argomenti forti a chi ha contrastato il provvedimento di clemenza.
Non abbiamo bisogno di un capo del Dap che tolleri a fatica l'articolo 27 della Costituzione secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Non abbiamo bisogno di un capo del Dap che sia per forza magistrato. Qualunque sia la sua provenienza - giudice, procuratore, manager, professore, funzionario, esperto - deve usare la Costituzione e le leggi come il vangelo, deve avere uno staff che non remi contro, deve essere capace di governare un'organizzazione complessa come non poche. La legislatura berlusconiana si è aperta con i fatti di Genova e con le violenze tollerate (dai capi) dei poliziotti penitenziari a Bolzaneto. Speriamo che in questa legislatura cose del genere non accadano. Speriamo che la tortura divenga reato e chi da anni lotta per contrastarla non sia considerato un nemico. La teoria delle mele marce è una teoria auto-assolutoria. Una mela diventa marcia quando qualcuno l'ha fatta maturare troppo.