Il garante russo: più violazioni
Alla vigilia del viaggio di Putin, pubblicato a Mosca un ampio e severo rapporto, un «j'accuse», sui diritti umani
A. D.
Alla vigilia del viaggio del presidente russo Vladimir Putin in Italia e in Grecia, i media russi (solo alcuni, per dir la verità) hanno pubblicato gli estratti di un ampio (400 pagine) e severo rapporto elaborato e presentato al presidente dall'ufficio del Difensore pubblico dei diritti umani (ombudsman) Vladimir Lukin.
Un rapporto coraggioso, visto che Lukin, già un politico di primo piano durante la transizione eltsiniana, è stato nominato al suo posto proprio da Putin. Il quadro della Russia contemporanea che ne esce è a dir poco allarmante, e sarà interessante vedere come il Cremlino reagirà: se ignorando il tutto oppure, come è più probabile, utilizzando il rapporto per rimuovere un po' di funzionari scomodi presi come capri espiatori e annunciare un nuovo programma di «riforme» per il prossimo decennio. C'è naturalmente anche l'ipotesi che Vladimir Lukin venga rimosso dall'incarico, ma visto che il rapporto è stato lasciato arrivare al pubblico, la cosa sembra meno probabile.
Nel rapporto si fa stato di un crescere molto intenso delle lamentele dei cittadini circa le violazioni delle «libertà civili» (intese soprattutto come il diritto a un giusto processo, da un lato, e i cosiddetti «diritti sociali», come quello di avere accesso a cure mediche, istruzione, tutela dal crimine.
Non si parla esplicitamente di quello che invece le organizzazioni umanitarie internazionali rimproverano al Cremlino, come l'uso sistematico della tortura, le sparizioni di persone, la violenza di stato impiegata in modo massiccio contro la popolazione civile in Cecenia e altrove nel Caucaso; non si parla neppure di quello che in Russia è un tema delicatissimo e bruciante, cioè la violenza nelle caserme ai danni delle reclute; ma gli accenni ai problemi «con il sistema giudiziario», che sono in testa alle preoccupazioni generali, la dicono abbastanza lunga lo stesso sulla realtà esistente.
In definitiva, Lukin sottolinea nel rapporto - che dopo la lettura di Putin sarà presentato alla Duma accompagnato dalle osservazioni del presidente - che «i russi non si fidano del loro governo e pensano che non faccia granché per tutelarli nei loro diritti sociali, economici e politici». Ma non basta.
Il «j'accuse» del difensore pubblico dei diritti si allarga a considerazioni piuttosto pesanti sul persistere e anzi sull'allargarsi del divario tra ricchi e poveri - tanto più sconcertante per i cittadini, aggiunge Lukin, vista l'enorme ricchezza che sta piovendo sul paese per gli alti prezzi del petrolio e del gas; e ancora, sul livello bassissimo dei salari statali e delle pensioni; sulla corruzione dei funzionari, che non sta venendo per niente combattuta; e infine - ma non è certo l'ultimo dei problemi - sul montare quasi incontrastato della xenofobia e del razzismo.
Strasburgo
Via il segreto sugli orrori
Il Cpt di Strasburgo visita regolarmente la Cecenia dal febbraio del 2000. Da allora a oggi sono stati tre i casi di scontro con le autorità di Mosca sfociati in altrettanti «public statement», cioè nella rottura deliberata della clausola di riservatezza da parte del comitato anti-tortura perché il governo russo si è rifiutato di collaborare o non ha fornito risposte soddisfacenti alle sue richieste. L'allarmante nota integrale del Comitato, 26 pagine di documenti finora riservati, è disponibile in inglese e francese sul sito www.cpt.coe.int. Il «public statement» è uno strumento eccezionale, usato solo 5 volte dal 1989: 2 sulla Turchia e 3 sulla Cecenia. Il rapporto del Comitato è esplicito: «Nella Repubblica persiste il ricorso alla tortura e ad altre forme di trattamenti violenti da parte dei membri delle forze dell'ordine e delle forze di sicurezza così come la pratica, strettamente legata, delle detenzioni
illegali». I metodi più diffusi, si legge nel rapporto, sono: «percosse diffuse, asfissia con sacchetti di plastica o maschere antigas, shock elettrici, sospensione per le braccia, stiramenti, bruciature con sigarette, accendini o altri strumenti, minacce di esecuzione o di abusi sessuali». «Il quadro generale - si legge nel rapporto - è che qualunque detenuto non avesse confessato o fornito le informazioni richieste si sarebbe trovato in pericolo imminente di essere maltrattato. Maltrattamenti paragonabili alla tortura».