di Matteo Dean*.
Quando parliamo di migrazione quasi inevitabilemnte lo sguardo si rivolge alle lunghe file di uomini nel deserto o le masse di uomini accalcati sui barconi che attraversano il Mediterraneo. Quasi mai guardiamo le donne. Cinonostante, la migrazione femminile é un fenomeno che esiste, anche se non é quasi contemplato dalle legislazioni nazionali e internazionali in materia. In molti casi, il fenomeno migratorio femminile non appare neppure nelle statistiche che cercano di spiegare e analizzare i fenomeni migratori. Peró negli ultimi anni, la donna, quale soggetto sociale ed umano, ha acquistato autonomia non solo negli ambiti di studio (visto che sino a poco tempo fa si considerava la donna solo quale accompagnante dell’uomo, del padre, del figlio o dello sposo) ma un’autonomia di fatto: le donne migrano sole, cosicché gli USA, oggi, nonricevono solo uomini messicani.
Le recenti dichiarazioni del Fondo per le Popolazioni dell’ONU (2) (UNFPA) svelano un dato sino ad allora ignorato non solo dai diversi campi di studio ma anche dalle autoritá migratorie messicane e statunitensi: quasi la metá dei migranti verso gli USA nell’anno 2005 sono state donne.
Le donne messicane che migrano sono giovani, la maggior parte, di non piú di 30 anni e viaggiano alla ricerca di lavoro o per riunificazione con il marito o il padre che sono giá del otro lado. In alcuni casi, si é verificata l’espulsione (dalle comunitá d’origine) per ragioni di violenza familiare. Per come si conosce il fenomeno potremmo dire che oggi le donne non migrano solo verso nord, verso la linea di forntiera alla ricerca di lavoro nelle maquiladoras ma passano la frontiera per conto proprio. A differenza degli uomini, peró, le donne riescono ad attraversare la frontiera o con documenti falsi o con visto da turista, per poi entrare nel paese e cercare di ottenere la residenza.
Dobbiamo poi segnalare le enormi differenze rispetto al trattamento che ricevono le donne migranti rispetto i colleghi uomini. Innanzitutto, dobbiamo osservare l’alto livello di esposizione agli abusi fisici e sessuali da parte dei coyotes, ma anche da parte dei padroni nei luoghi di lavoro, da parte degli uomini che le accompagnano (nei gruppi di indocumentati) e da parte delle autoritá di polizia. Allo stesso tempo, una volta giunte a destino, le donne soffrono maggior esposizione ai lavori meno qualificati, lavori forzati, piú esposti e meno pagati (lavoro domestico, intrattenimento, prostituzione, maquiladora) (3). Insomma, con la falsa idea che le donne siano piú deboli e meno propense a far rispettare i propri diritti e dignitá, tanto nell’aspetto giuridico quanto nell’atteggiamento da parte delle autoritá, la donna migrante é quasi sempre associata all’uomo il che crea vincoli di dipendenza che la limitano in quanto a libertá personale ed esercizio dei propri diritti.
Ciononostante, guardare la donna migrante solo nel suo viaggio verso nord e nell’alto grado di sfruttamento cui é esposta nel luogo di destino del suo viaggio, ci farebbe perdere un altro aspetto fondamentale del fenomeno. Molti studi hanno avuto il merito di segnalare la partecipazione femminile a partiere dalle comunitá d’origine dei flussi migratori. É lí, nelle comunitá che ogni anno espellono centinai di uomini verso nord, che restano le donne, le spose, le figlie o le madri, che rimangono per assumersi le responsabilitá della casa, dell’attenzione familiare e, in molti casi, la responsabilitá lavorativa di coltivare la terra o, comunque, di realizzare quelle attivitá produttive remunerative che sostengono la famiglia e l’intera comunitá. La permanenza nella comunitá d’origine, oltre a condannare la donna all’attesa ed alla assunzione totale delle responsabilitá familiari, ha anche le sue conseguenze psicologiche. Evelyne Sinquin Feuillye, studiosa del tema, chiama “l’altra faccia del dollaro” quelle che considera ripercussioni che la migrazione maschile ha nella vita quotidiana delle donne che rimangono. Dalla dispersione del gruppo domestico, caratterizato per la sensazione di abbandono, l’isolamento, la solitudine, sino alla sensazione di inganno causata dalla comunicazione virtuale permessa dal telefono o da internet, passando per i conflitti tra spose e madri del migrante per l’utilizzo delle remesse che questi invia a casa, ecc..
Alla luce di quanto detto, risulta quindi di fondamentale importanza analizzare il tema ed adeguare da un lato la legislazione vigente, deficiente sino ad ora di un taglio di genere che offra sistemi di protezione diretti alla donna migrante; dall’altro, adeguare la visione tutta maschile del fenomeno migratorio che sino ad ora, pur avendo denunciato le ingiustizie che si generano a partire dalla migrazione “forzata” verso nord alla ricerca di migliori condizioni di vita, non ha potuto peró riconoscere lo sforzo delle donne che restano nelle comunitá d’origine, delle donne che viaggiano e sognano anche loro una vita migliore, delle donne che soffrono abusi mentre cercano la felicitá nella terra di destino.
Note:
* Testo scritto originalmente in spagnolo per i lettori messicani (http://www.matteodean.blogspot.com)
2) In La Jornada: http://www.jornada.unam.mx/2006/09/07/047n1soc.php
3) Nelle fabbriche di assemblaggio presenti lungo la liena di frontiera tra Messico e USA, la maggior parte dei lavoratori sono donne (vedere: http://www.globalproject.info/art-10709.html)