«Basta chiamarci stranieri» Giovani migranti a convegno, Il Manifesto, 24/06/07

«Basta chiamarci stranieri» Giovani migranti a convegno
In un incontro a Genova le richieste dei migranti di seconda generazione. Il ministro Ferrero: «A ottobre una mobilitazione»
Alessandra Fava

«Gridalo forte!» è il titolo di un convegno sulle seconde generazioni (non chiamateli «figli d'immigrati»), ieri all'Auditorium di San Salvatore nel quartiere di Sarzano a ridosso del porto, a un anno esatto dalla pace fra le organizzazioni di strada latino-americane Latin Kings e Netas. E questi che parlano italiano, con accento romano, toscano o genovese e in molti sono nati in Italia (60% su quei 600 mila sotto i 18 anni), l'hanno presa in parola. Durante la mattinata hanno chiesto forte al ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero, diritti, cittadinanza, permessi di soggiorno e ricongiungimenti familiari.
Sono le storie che si succedono, quella di una ragazza romana nata da genitori ecuadoriani che non riesce ad avere la cittadinanza italiana, esattamente come succede a un ragazzo cinese, Wu, in Italia da quando aveva tre anni («rischio di essere rimandato in Cina, un paese che non conosco»).
Ius solii è una delle parole chiave di questi giovani che rifiutano il termine «straniero» ma chiedono piuttosto partecipazione, proprio come fa Lucia della Rete G2: «Vogliamo diventare cittadini italiani e abbiamo cercato un approccio innovativo con istituzioni e media perché vogliamo partecipazione più che ascolto». Proprio quella che anche le istituzioni fanno fatica a cogliere come ha rimarcato il sociologo Enzo Colombo della Statale di Milano: «La politica si sofferma più su aspetti di autorizzazioni, i visti».
E infatti non colpisce i cuori il ministro Ferrero che cita i 50 milioni di euro della Finanziaria che in autunno verranno spesi per case, aiuti ai 15 mila minori non accompagnati che circolano per il nostro paese e per «corsi di italiano e Costituzione che restano imprescindibili». Sui progetti di legge che potrebbero eliminare la Bossi-Fini («una legge che fa cagare», parola di Ferrero) il ministro fa presente che c'è un disegno di legge per allungare la durata dei permessi e un'altra per limitare i cpt a chi non vuole dare le proprie generalità. Ma quando invita gli immigrati a «una grande mobilitazione in autunno per far capire agli italiani che immigrazione non è un problema sicuritario ma una realtà di 3 milioni di persone di cui 2 lavorano, una percentuale molto piu' alta che tra gli italiani (53 per cento)», fa infuriare alcuni esponenti del centro occupato Zapata che nell'ultimo anno hanno gestito il centro con le bande latinoamericane: «Il ministro ci viene a dire che bisogna scendere in piazza? - ha detto Matteo Jade dello Zapata - il governo deve dare delle risposte. Perché ci sono ancora i cpt? Se Ferrero non può farci niente che si dimetta».
Al convegno, organizzato dall'Università di Genova, il centro studi Medì, l'agenzia di ricerca sociale di Milano Codici e Comunità nuova, che sono riusciti a raccogliere per la prima volta una trentina di associazioni da Associna alla Rete G2, dall'associazione giovani mussulmani d'Italia ai giovani latinos di Genova e Milano, c'era un clima tra l'effervescente e il depresso. I latinos di Milano e Genova si passavano con rabbia una pagina di una freepress dove le bande vengono riportate con i soliti stereotipi (stupri di massa e controllo del territorio): «I furti e gli scippi ci sono stati, inutile negarlo - ma da un anno non ci sono più - ha detto il sociologo Massimo Conte dell'Agenzia Codici - anche a Milano dove la situazione è più frammentata stiamo tentando almeno con alcuni un processo di emersione delle bande».