Selezionare la popolazione: quanto tutela ancora la cittadinanza?, meltingpot.org, 15/11/07

Selezionare la popolazione: quanto tutela ancora la cittadinanza?

Intervista con Emilio Santoro, Docente di filosofia e sociologia del diritto all’Università di Firenze e fondatore di Altro Diritto, centro di documentazione su carcere, devianza e criminalità.

Abbiamo intervistato Emilio Santoro per cercare di analizzare con lui quanto sta avvenendo in questo momento in Italia rispetto alla gestione della presenza dei migranti sul territorio, ma anche per interrogarci più profondamente sui mutamenti che stanno investendo complessivamente la nostra società. Un diritto che agisce in maniera diffrenziale a seconda dei soggetti cui si riferisce, la detenzione amministrativa applicata a categorie sempre diverse di popolazione e poi la manifestazione di Genova, le rivendicazioni dei migranti che si legano a quelle dei cittadini italiani che hanno ancora un’immagine diversa di come potrebbe essere il mondo.

D. Pensi che le retoriche di criminalizzazione dei migranti siano da contestualizzare all’interno di una politica di governo della popolazione attraverso la paura che investe in realtà non solo i migranti ma anche tutti coloro che in qualche modo la subiscono?

R. Il problema è abbastanza complesso. Non so se esista una logica di governo di popolazione attraverso la paura. La mia impressione è che non ci sia proprio un governo della popolazione. Credo che il governo attraverso la paura sia una conseguenza più che una scelta.
Siamo stati abituati per duecento anni, lungo tutta la storia dello Stato moderno recente, all’idea che lo Stato governava la popolazione e che la popolazione era una risorsa fondamentale dello Stato e che per questo lo Stato si prendeva cura e si preoccupava di com’era la popolazione o di come doveva essere. La popolazione era una risorsa economica e una risorsa militare e per cui avere una popolazione di un certo tipo, con certe caratteristiche, con capacità produttive e militari era la risorsa principale dello Stato moderno.
In fin dei conti il Welfare State non è nient’altro che l’evoluzione di questa politica. Avere una popolazione sana e piena di risorse umane è stato quindi l’obiettivo dello Stato ed esso l’ha curato con politiche attive di gestione della popolazione. Da ormai vent’anni probabilmente in Europa, un po’ prima (o forse molto prima)negli Stati Uniti, questa politica è finita perché c’è l’idea che la popolazione si seleziona e non si governa: “non mi serve più costruirmi la popolazione”. Le grandi migrazioni consentono di selezionare la popolazione e non più prenderla in cura.
La conseguenza di tutto questo è che se uno non ha un piano chiaro di selezione della popolazione, se non sa cosa vuole e cosa gli serve della popolazione, si governa questo fenomeno di selezione soltanto con prove d’errore. Si fa venire qui la gente, si vede se serve o non serve, se si inserisce o meno nei settori e nei cicli produttivi e se si vede che non serve si criminalizza e si cerca di espellere dal tessuto sociale.
Più che parlare quindi di un vero governo attraverso la criminalizzazione, direi che questa è la conseguenza di una incapacità di governare il processo di selezione della popolazione dopo aver rinunciato a governare la popolazione stessa, ed è una conseguenza automatica.
La realtà è che non sappiamo chi vogliamo selezionare, lo scopriamo solo dopo che sono arrivati qui e tutta l’enfasi che c’è per ora attorno al disegno di legge Amato-Ferrero riguardo alla creazione di un canale privilegiato per l’accesso di quelli che chiamano “i cervelli”, le migrazioni altamente qualificate dal punto di vista lavorativo, contrasta con i recenti dati di Gallino che dicono come noi abbiamo soprattutto bisogno di una grande manodopera non qualificata.
Non si riesce a fare a tavolino un piano preciso: anche per la velocità dei mutamenti economici e sociali, ogni piano diventa comunque già vecchio nel momento in cui si attua.
In questa situazione l’unica cosa che si fa è lasciare possibilità alla gente di arrivare e poi stare a vedere cosa succede.
Ciò significa che appena ci accorgiamo che alcuni disturbano o non servono li criminalizziamo o li rinchiudiamo nelle carceri, nei centri di permanenza temporanea o nei manicomi che formalmente non esistono più.

D. Eppure sembra che queste retoriche di criminalizzazione che si abbattono soprattutto sui migranti cadano un po’ a fagiolo, servano anche per introdurre delle modifiche permanenti all’ordinamento giuridico che la politica ufficiale vuole portare avanti e che in qualche modo deve giustificare. In fondo l’omicidio della signora italiana da parte del cittadini rumeno è servito a fare passare d’urgenza parte di un “pacchetto sicurezza” che proprio sul problema di come gestire la presenza dei comunitari aveva delle difficoltà.
Vorrei chiederti, rispetto a come sta funzionando in questo momento il diritto nel nostro paese, la funzione che il razzismo istituzionale ha nella sua applicazione: come si spiega il fatto che l’aggressione di una donna da parte di un cittadino rumeno abbia come conseguenza l’approvazione di un decreto legge che per quanto emendato resta incompatibile con i principi della Costituzione oltre che con quelli che sono a fondamento dell’Unione europea, mentre invece il fatto che un poliziotto che spari a braccia tese da una parte all’altra dell’autostrada e ammazzi un ragazzo un ragazzo che sta dormendo in macchina, susciti nelle Istituzioni dapprima un tentativo di giustificazione e assolutamente mai una possibile messa in discussione di quello che è l’ordine costituito?
Probabilmente anche l’iter processuale avrà due decorsi assolutamente diversi pur trattandosi dello stesso reato. Ma che tipo di diritto è questo che sembra sempre adottare pesi e misure differenti a seconda dei soggetti e utilizzare anche dei pretesti che potremmo definire razzisti?

R. Purtroppo sono dei pretesti. Dico purtroppo perché se ci fosse un razzismo vero a fondamento di queste cose sarebbero più facili da combattere. Credo invece che i fenomeni siano molto più strutturali.
L’omicidio della donna da parte del rumeno è, come hai giustamente detto, un pretesto, mentre il problema resta esattamente quello del governo della selezione della popolazione.
Abbiamo pensato per vent’anni in Italia che bastasse selezionare la popolazione dei non comunitari. Ci stiamo accorgendo, per l’allargamento della comunità europea ma anche per la modifica dei processi produttivi, che non basta, che bisogna fare un passo ulteriore.
Questo passo è stato fatto sull’onda dell’emozione suscitata dall’omicidio della donna da parte del rom rumeno giustificando l’uso della detenzione amministrativa per i cittadini comunitari. Secondo me ci sarà, e non tra moltissimo, il passo per cui estenderemo questo tipo di detenzione anche ai cittadini italiani. Una volta che io adotto il criterio della selezione della popolazione, la cittadinanza è un vincolo accettabile fino a un certo punto. Da un certo punto in poi conviene comunque scegliere le persone più capaci e più adatte al momento a inserirsi nei meccanismi dello scambio sociale indipendentemente dalla loro cittadinanza. Così la cittadinanza diventa un ostacolo.
Fatti di questo genere consentono la legittimazione emotiva di questi passaggi che sul piano costituzionale come sul piano dell’ordinamento europeo sono molto duri.
Non ci scordiamo che, quando i costituenti hanno immaginato l’Art. 13 che prevede in casi eccezionali la limitazione della libertà personale con la convalida ex post del magistrato, pensava solo alle persone imputate di un reato penale. Era la traduzione italiana dell’habeas corpus inglese. Si è poi utilizzata quella procedura anche negli anni ’70 per giustificare il Trattamento sanitario obbligatorio, ma lì tiravano in ballo anche il bene della persona interessata, della salute stessa che meritava tutela ecc., e comunque era un provvedimento molto limitato nel tempo.
Con la detenzione amministrativa abbiamo completamente sforato e, una volta passato il principio che quello è lo strumento privilegiato per eliminare quelle scorie della popolazione che non sono funzionali, la cittadinanza è un vincolo che può reggere fino a un cero punto e poi piano piano sparisce. È stato fatto il primo passo per farla sparire e tempo che presto verrà fatto il secondo che in realtà, per certe categorie come i tossicodipendenti è già avvenuto con la legge Fini-Giovanardi. Tale legge prevede infatti una detenzione penale quasi amministrativa per come viene immaginata e nella sua gestione perché di fatto viene svincolata a tutte le garanzie del magistrato di sorveglianza che diventano solo nominali.
È un processo che stiamo vivendo e di cui il razzismo è soprattutto una giustificazione sull’onda emotiva. Se il problema fosse solo il razzismo si potrebbe pensare di combatterlo con strumenti culturali ma temo che la cosa sia molto più complessa e strutturale e che siano i sistemi produttivi per come si stanno organizzando a livello globale che vanno in questo senso e per cui è molto più duro fermarli e contrastarli.
Per quanto riguarda il paragone tra i due omicidi, qui è chiaro che in un caso, quello dell’omicidio del rom, c’è una logica per cui si prende la palla al balzo per giustificare un processo che serve, mentre nell’altro caso, quello del poliziotto, c’è stata da un lato la gestione completamente stupida dal punto di vista del governo stesso e delle informazioni che ha dato su questo fatto - che sarebbe stato molto più facilmente gestibile dicendo “c’è stato questo, stiamo indagando su cosa è successo e su perché l’ha fatto e intanto abbiamo imputato un poliziotto” invece che reagendo con un riflesso condizionato di autodifesa delle istituzioni che rivela solo la stupidità delle istituzioni stesse – mentre, dall’altro lato, si è trattato d un caso che ‘non conta molto’ perché non ha alcuna rilevanza strategica e non serve ad ‘aggiustare’ niente. Per cui ora farà il suo decorso che dipende molto da chi sarà il p.m., il giudice, ma è chiaro che a livello di struttura dell’ordinamento giuridico non avrà nessuna influenza. Non siamo nell’epoca in cui un caso come questo questo porta a ridiscutere se ha senso mandare la polizia armata o meno.

D. Non credi che quello che ha fatto questo poliziotto possa essere classificato non come momento di follia di un singolo ma vada letto invece attraverso questo momento di delirio, di paranoia collettiva sulla sicurezza che in qualche modo sembra legittimare atti del genere e logiche un po’ da far west?

R. è chiaro che anche se si fosse trattato di un momento di delirio quel poliziotto si è sentito legittimato a fare quello che ha fatto dal clima che c’è, un clima in cui la gestione della popolazione è tolta alle regole e lasciata al caso per caso e a chi gestisce caso per caso questa popolazione, ovvero, nel 98% dei casi, non al giudice ma al poliziotto. Questo è il dato rilevante: il poliziotto si sente affidato questo compito di gestire e non è una gestione in senso banale di condotta, ma è la gestione all’interno di un discorso che traccia un confine per cui o si è ‘dentro’ o si è automaticamente pericolosi. Chi è ‘fuori’, non è fuori e marginale, è fuori e pericoloso.
Per cui il poliziotto si fa carico della difesa della parte sicura e garantita della popolazione e questo lo legittima sicuramente a compiere atti di questo genere.
Al di là se si tratti di atti di follia o meno: anche il folle ha un orizzonte cognitivo delle cose fattibili e non fattibili e, sicuramente, in questo orizzonte cognitivo questo clima conta moltissimo.

Rispetto ai rumeni, l’Italia poteva benissimo fare la scelta che è stata fatta in molti altri paesi dell’Unione europea di mettere dei limiti all’ingresso dei rumeni e non l’ha fatto, tra l’altro con l’accordo di maggioranza e opposizione. Perché? Questo nessuno lo dice, ma nessuno ha pensato di dire: "manteniamo i flussi regolamentati dei rumeni" e non lo ha fatto perché sicuramente c’è un grande interesse ad avere qui manodopera a buon mercato.
Ma si sapeva benissimo che ciò avrebbe comportato la presenza di persone marginali e via dicendo, c’erano prima e ci saranno a maggior ragione dopo. Però si è detto che non importava, che era un rischio che andava bene correre, perché i vantaggio erano di più. Automaticamente, quindi, è stato detto poi alla polizia di gestire questa presenza direttamente sul terreno…

D. rispetto a quanto dicevi prima affermando che la detenzione amministrativa ha già compiuto il suo primo passo di pericolosissima estensione sui cittadini comunitari, e che può darsi che venga anche allargata ai cittadini tout court, rispetto al fatto che la Bossi-Fini si estende anche ai cittadini comunitari, che cosa dobbiamo allora pensare della cittadinanza nazionale ma soprattutto di quella europea in via di formazione?
Quali rimangono veramente i contenuti di questa cittadinanza?
E quando a dicembre i cittadini di altri nove paesi avranno la libertà di circolazione all’interno di tutti gli altri Stati membri, che cosa pensi che succederà?
Come si sta ridisegnando sulla base di tutto quello di cui stiamo parlando la cittadinanza europea?

R. Io credo che la cittadinanza conterà sempre meno. Come accade per tutti quanti i titoli che danno accesso ad un certo numero di diritti, essi contano molto solo quando sono molto difficili da conquistare e sono riservati a poche persone. Via via che si estende il diritto poi si trovano di fatto altri meccanismi di esclusione che non è più dal diritto come titolarità sulla carta ma come titolarità effettiva. Il caso del decreto legge di Amato è un esempio evidente.
Più allargheremo la cittadinanza europea più questa cosa succederà nel bene e nel male: da un lato stiamo andando verso una cittadinanza universale e dall’altro, come era abbastanza ovvio prevedere, una cittadinanza universale è una cittadinanza fittizia che non garantisce nessuno e nessun diritto.
La libertà di circolazione consentirà alle persone di venire qui ma farà pendant con l’idea che noi comunque potremo usare la detenzione amministrativa e rispedirle a casa.
Ripeto che secondo me arriveremo a questo anche per i cittadini italiani, salvo che non li potremo rispedire a casa perché a casa ci sono già… verranno messi in detenzione amministrativa senza violazione del codice penale e direi che in parte sta già succedendo.

D. Alla luce di tutto quello che sta succedendo sembra acquistare tantissimo significato il fatto che il 17 novembre alla grande manifestazione di Genova anche i migranti torneranno a Genova come a Genova erano nella straordinaria manifestazione del 2001 che ha aperto quei tre giorni di protesta alla fine drammatici.
Sembra infatti chiaro in quale modo le lotte dei migranti si leghino a quelle di tutti gli italiani che a Genova vanno a chiedere rispetto della democrazia e dei principi di uguaglianza e a lottare contro una giustizia dei tribunali che riscrive la storia in base a verità che sembrano soltanto prodotte dal potere e che penalizzano chi ha il coraggio di dissentire in ogni modo con l’ordine costituito. Qualunque tipo di alterità in questo momento sembra pericolosità…

R. No, non qualunque tipo, solo l’alterità non funzionale. Siamo invece di fronte ad una società che ha molto bisogno di alterità rispetto alla differenziazione del mercato e dei suoi servizi, anche dei servizi culturali e via dicendo. Qualunque tipo di alterità è tendenzialmente funzionale ma il problema è ciò che volta per volta è contingentemente funzionale e ciò che non lo è.
Sicuramente è importante che i migranti tornino a Genova come nel 2001 quando anche io ho organizzato insieme a vari amici la manifestazione dei migranti.
Allora uno degli slogan fondamentali era “siamo tutti clandestini”, ed oggi è sicuramente molto più vero di allora: conta sempre meno lo status di clandestinità perché lo status di non clandestino non garantisce più come garantiva nel 2001. Nel 2001 chi non era clandestino poteva ancora fare conto su un certo numero di diritti.
Oggi stiamo vedendo che questi diritti vengono tolti anche a chi non è clandestino ma è cittadino.
Siamo tutti clandestini o siamo tutti cittadini diventa la stessa cosa. Per questo è così importante che le rivendicazioni dei migranti e quelle dei cittadini italiani si fondano e prendano consapevolezza che è solo un lasso temporale che ci separa dal fatto di essere tutti cittadini e tutti clandestini allo stesso tempo.

(a cura di Alessandra Sciurba, Progetto Melting Pot Europa)