Il piano carceri è già fallito

di Stefano Anastasia

Oggi, domani, dopodomani, …: prima a poi il “Piano carceri” del Governo arriverà in Consiglio dei ministri. E non cambierà niente. Non cambierà nulla di quelle condizioni incivili in cui le carceri sono ridotte. Non cambierà nulla nell'affollamento penitenziario. Non cambierà nulla in quel mix di violenza e indifferenza che ha potuto provocare la morte di Stefano Cucchi. Il cosiddetto “Commissario straordinario per l'emergenza carceri” nominato dal Governo, che poi sarebbe lo stesso Capo Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria nominato dal medesimo Governo, e cioè il dott. Franco Ionta, ne aveva già abbozzato uno, di piani, in aprile: prevedeva la realizzazione – entro il 2012 – di 17.129 nuovi posti detentivi, tra quelli allocati in nuovi padiglioni di vecchi istituti già esistenti e quelli da sistemare in istituti di nuova costruzione, per una spesa complessiva di 1590 milioni e 730mila euro.
Oggi si parla di un piano da 20-22mila posti, ivi compresa la commessa a Finmeccanica per una o più navi prigioni da ormeggiare ai moli delle città marinare, mentre sembra tramontata la boutade della riapertura delle isole di Pianosa e dell'Asinara, da più di un decennio tornate a essere luoghi protetti di interesse naturalistico e ambientale.
Ma con questo piano, o con un altro simile a questo, non cambierà nulla delle carceri in Italia, perchè non ne verranno toccate le cause del loro affollamento e del loro degrado.
Innazitutto, è possibile contestare il piano carceri dall'interno della sua logica (ed è forse per questo che fatica a essere approvato ufficialmente). Ad aprile, il suo fabbisogno economico era coperto per soli 205 milioni di euro, con qualche speranza di ragranellare (creativamente) fondi per ulteriori 405 milioni. Restavano senza copertura i 2/3 del piano, e quindi delle costruzioni, e quindi dell'obiettivo perseguito in termini di ospitabilità di detenuti. A questo miliardo di euro mancante giustamente i sindacati aggiungono i soldi necessari alla gestione, a partire dalle necessarie spese del personale, la cui mancanza fa sì che già oggi numerosi istituti siano chiusi o a scartamento ridotto.
A ciò si aggiunga che 17mila posti, o 20-22mila sono insufficienti alle necessità. Già oggi mancano all'appello 22mila posti detentivi. Ammesso che il piano venga approvato subito, che preveda 20-22 o 25 mila posti detentivi, che disponga di tutti i fondi necessari per la realizzazione delle strutture, per la loro gestione e per il nuovo personale che dovrà esservi impiegato; ammesso anche che la sua realizzazione segua i tempi indicati (cosa – si riconoscerà – non usuale negli appalti pubblici in Italia), nel 2012 avremo all'incirca la capienza detentiva che sarebbe necessaria oggi. Intanto, però, dall'indulto a oggi il sistema penitenziario italiano cresce di circa 7-800 unità al mese e, a questi ritmi, nel 2012 la popolazione incarcerata potrebbe essere arrivata a più di 90mila unità, con una nuova eccedenza di circa 25mila detenuti.
Tanto dovrebbe bastare a rimettere il Piano nel cassetto e a ripartire da zero.
Il fallimento del sistema penitenziario italiano è lo specchio del fallimento del sistema penale che lo governa. E' il fallimento della ideologia della “tolleranza zero” e della sua confusione tra crimine e “comportamento anti-sociale”. Se tutto è reato e tutto merita di essere severamente punito, tutto finisce in carcere, e il carcere finisce per essere un enorme Cpt, in cui sono ammassati italiani e stranieri, tossici e no, accatastati in attesa di un altro passaggio della porta girevole.
Di tutto questo si comincia a discutere negli Stati uniti, dove la magistratura ha imposto ad Arnold Schwarzenegger la riduzione di un terzo dei detenuti della California entro tre anni e dove lo Stato di New York ha rivisto le sue storiche leggi proibizioniste in materia di stupefacenti, ma non in Italia, dove la golden share leghista sulla maggioranza ci ha portato al peggiore uso simbolico della pena e del carcere, impiegato per ogni dove, a copertura di qualsiasi ansia sociale, reale o potenziale. Un altro “piano carcere” dovrebbe partire da qui.

(Carta, 13 novembre 2009)