Giustizia: un supplemento di indagine sulla morte di Carmelo Castro nel carcere di Catania

di Stefano Anastasia e Simona Filippi, Terra, 13 maggio 2010

Poco più di un anno fa, Carmelo Castro, diciannove anni, incensurato, moriva nel carcere di Catania. Il dossier “Morire di carcere” di Ristretti orizzonti ne segnala il decesso tra i casi di suicidio del 2009. Tutto tragicamente chiaro, sembrava, nella consumata ritualità dei suicidi in carcere. Poi, tre mesi fa, ci scrivono i genitori: quella morte, invece, sarebbe avvenuta in circostanze poco chiare.

Torniamo indietro: il 24 marzo dell’anno scorso Carmelo Castro viene fermato insieme ad altri due ragazzi ritenuti responsabili di una rapina subita da un tabaccaio. Viene portato nella caserma dei Carabinieri di Paternò e da lì in carcere. Dopo l’arresto, ci raccontano i genitori, i tre giovani sarebbero stati “massacrati di bastonate” così come rivelerebbero le foto segnaletiche in cui il figlio “aveva gli occhi neri, l’orecchino strappato e le labbra ferite”.
Al momento del suo ingresso in carcere, Carmelo si trova in un evidente stato di agitazione, tanto che a seguito del colloquio di primo ingresso gli viene prescritto un tranquillante e viene sottoposto al regime di “grandissima sorveglianza”, la cui funzione primaria è proprio quella di prevenire il verificarsi di gesti autolesionistici in soggetti a rischio e che comporta - essenzialmente - che la persona venga osservata 24 ore su 24.
In quella cella, guardato a vista 24 ore su 24, Carmelo si sarebbe impiccato la mattina del 28 marzo dell’anno scorso. L’allarme, un passaggio in infermeria e quindi il trasporto con un auto di servizio all’Ospedale più vicino (5 minuti di viaggio), dove Carmelo però arriva senza vita.
Domani, venerdì 14 maggio, il giudice per le indagini preliminari decide sulla richiesta di archiviazione avanzata dal Pubblico ministero. Il legale della famiglia si oppone, e sciorina un lungo di mancanze nelle attività di indagine svolte dalla Procura. Per tacere dei dettagli, avvolte nel mistero restano le condizioni in cui Carmelo è arrivato nel carcere di Piazza Lanza, così come i buchi nella “grandissima sorveglianza” alla quale avrebbe dovuto essere sottoposto e, infine, l’assistenza che gli è stata prestata dal momento in cui è scattato l’allarme fino alla certificazione del decesso.
Ridotta all’osso, come nel “caso Cucchi” la sequenza è sempre la stessa: c’è un prima (l’arresto), un fatto (la detenzione) e un epilogo (il precipitare della situazione). Cosa è successo in questi tre momenti? Cosa hanno fatto e cosa non hanno fatto i funzionari dello Stato che avrebbero dovuto portare quel ragazzo integro e nella pienezza dei suoi diritti davanti al giudice che avrebbe dovuto decidere della fondatezza delle accuse che gli erano rivolte?
Domande, come sempre, inquietanti, che meritano ogni possibile supplemento di indagine.