Giustizia: caro Travaglio, quella legge non è né un indulto né un insulto

di Patrizio Gonnella, Il fatto quotidiano, 9 dicembre 2010-12-09

Quelle poche migliaia di persone che usciranno dalle nostre malmesse prigioni sono nella maggior parte dei casi i detenuti-tipo: poveri, disagiati sociali e psichiatrici, tossicodipendenti, stranieri.
Nelle ultime settimane mi è capitato varie volte di esprimere giudizi in pubblico sulla legge di recente approvata che consente di scontare l’ultimo anno di pena in un regime di detenzione domiciliare. Ho letto e riletto i contenuti di quel provvedimento e ho avuto modo di verificare che risulta sostanzialmente inutile. Il sovraffollamento penitenziario rimarrà tale e quale.
Oggi, ricordo a Marco Travaglio, la popolazione detenuta è composta da quasi 70 mila detenuti, mentre i posti letto sono 44 mila. Ci sono quindi 26 mila persone accampate in celle di fortuna. Per tutti i detenuti il dettato costituzionale (pena umana e funzionale alla rieducazione) è oramai un mito. Si è costretti a vivere in non più di tre metri quadri a testa (così violando le norme internazionali) bagno alla turca compreso.

Parto dai punti di dissenso con l’analisi fatta ieri da Marco Travaglio: 1) Non tiene conto che quelle poche migliaia di persone (e non delinquenti come lui li chiama) che usciranno dalle nostre malmesse prigioni sono nella maggior parte dei casi i detenuti-tipo che abitano le nostre carceri, ossia poveri, disagiati sociali e psichiatrici, tossicodipendenti, stranieri. Fra loro non vi sono né mafiosi, né assassini, né narco-trafficanti, né pedofili né colletti bianchi. Di questi ultimi, d’altronde, non vi è traccia nelle patrie galere; 2) L’indulto non è stato un insulto ma un “eccezionale” provvedimento di clemenza che avrebbe dovuto essere usato - come affermò il presidente della repubblica Giorgio Napolitano all’indomani della sua approvazione - per riformare il sistema penale e quello penitenziario. La dura campagna me-diatica che ne seguì ha impedito ogni possibile proposta riformatrice e ha indurito i sentimenti dell’opinione pubblica sempre più orientata verso pulsioni di vendetta piuttosto che di giustizia; 3) Va superata l’idea che le misure alternative alla detenzione (lavoro all’esterno, semilibertà, affidamento ai servizi sociali o in una comunità di recupero) siano una negazione della certezza della pena. Esse sono a loro volta una pena. In un sistema giuridico avanzato va trovato il modo per diversificare le sanzioni. Il lavoro socialmente utile, ad esempio, è meno costoso nonché più vantaggioso della detenzione in termini di prevenzione speciale e generale.
Inoltre le statistiche ci dicono che meno dello 0,2% di quelli che sono in misura alternativa commette un reato durante l’esecuzione della stessa e che chi ottiene un beneficio ripaga lo Stato con tassi di recidiva molto più bassi rispetto a coloro i quali scontano tutta la pena in galera, abbrutendosi e aumentando il proprio spessore criminale; 4) Infine, l’ultimo argomento di dissenso con Marco Travaglio, riguarda l’uso forte delle sue parole che rischiano di alimentare sentimenti di insicurezza e richieste di galera, proprio ora che le carceri sono piene di esseri umani oltre il limite del tollerabile.
L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è legittimare o sollecitare l’opposizione anti-berlusconiana a fare l’ennesima pericolosa campagna sulla sicurezza (quella precedente di sinistra ha prodotto la lotta ai lavavetri e ai rumeni). I ricchi raramente finiscono in galera. Men che meno i colletti bianchi.
Fra quei detenuti in via di scarcerazione che avrebbero potuto usufruire del provvedimento sulla detenzione domiciliare avrebbero potuto esserci: Alberto Grande, 22 anni, morto suicida nel carcere di Ancona, Giancarlo Pergola, 55 anni, morto suicida nel carcere di Foggia, Gheghi Plasnicj, 32 anni, morto suicida nel carcere di Bologna, Antonio Gaetano, 46 anni, morto suicida nel carcere di Palmi, Rocco D’Angelo, 53 anni, morto suicida nel carcere di Carinola.
Solo per citare gli ultimi detenuti che si sono tolti la vita. Nessuno può accusare noi di Antigone - che da anni monitoriamo e denunciamo le condizioni di vita nelle prigioni italiane - di collusione o intelligenza col nemico berlusconiano. Questa legge però non è un indulto né un insulto. È un inefficace, provvisorio e emergenziale atto di consapevolezza della tragedia in cui versano le prigioni italiane.
Una tragedia che richiederebbe ben altro coraggio politico e l’approvazione di riforme di sistema. Ne cito alcune: la introduzione del crimine di tortura nel codice penale, l’istituzione di un organismo indipendente di controllo dei luoghi di detenzione, la decriminalizzazione della vita dei consumatori di droghe, la depenalizzazione dello status di immigrato irregolare, la cancellazione di quelli leggi (ex Cirielli sulla recidiva in primis) che hanno trasformato il diritto penale in un diritto che giudica le persone e non i fatti da loro commessi.
IL PUNTO di convergenza con l’analisi di Marco Travaglio riguarda la natura sommaria e elitaria della giustizia penale ai tempi di Berlusconi (tale per colpa delle leggi ad personam ma anche di quei giudici che applicano burocraticamente le leggi mandando in galera gente come Stefano Cucchi): inflessibile con i poveri e generosa con i ricchi, clemente con chi ha un buon avvocato e inesorabile con chi si affida al difensore d’ufficio.

 

La replica di Marco Travaglio
 
Molte cose mi dividono, solo culturalmente e non moralmente, dagli amici di Antigone. Ma non la valutazione sulla situazione vergognosa delle carceri e sulla composizione classista della loro popolazione. So bene che in cella risiedono solo i poveracci. Ma dissento sulla soluzione: sono cinquanta anni che affrontiamo il sovraffollamento dei penitenziari liberando i detenuti (che sono, mi spiace dirlo, “delinquenti” in quanto condannati per gravi delitti, altrimenti non sarebbero detenuti in un paese dove, sotto i 3 anni, non si finisce quasi mai in cella).
Amnistie, indulti, indutini e porcheriole come quest’ultima di Alfano, che legittimano la sfiducia dei cittadini nella giustizia e alimentano il senso d’impunità dei criminali. Poi regolarmente ci ritroviamo con le carceri strapiene: forse perché il problema non sono i troppi detenuti, ma i pochi posti cella. Gli amici di Antigone vorrebbero estendere ulteriormente le pene alternative (già applicate a 30 mila detenuti) e depenalizzare altri reati (giusto, per il possesso di droghe leggere e per l’immigrazione clandestina, che però danno vita a detenzioni molto brevi).
Io preferisco che le pene vengano scontate in carcere, ma in ambienti dignitosi e in condizioni umane. Dunque vorrei che fossero costruite nuove carceri. Questa maggioranza le promette da 15 anni e non ne ha costruita nemmeno mezza, anzi non è riuscita neppure ad attivare quelle già costruite e abbandonate. Questo, a proposito dell’indulto mascherato di Alfano, avrebbe dovuto denunciare l’opposizione, se esistesse.