«Potrà restare in Italia l'immigrato che denuncia il lavoro in nero», Il Corriere della Sera, 9/10/06

«Potrà restare in Italia l'immigrato che denuncia il lavoro in nero»

Il ministro Ferrero: pronto il decreto con le nuove regole In Finanziaria 50 milioni «per smontare i ghetti»

 

MILANO — Per il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero è il primo passo da fare per rispondere a un'emergenza che non è solo una questione di legalità: «Dare agli stranieri che lavorano in nero la possibilità di denunciare i loro sfruttatori senza essere espulsi: entro la prossima settimana il decreto legge che permetterà agli immigrati sfruttati di ottenere un permesso di soggiorno dovrebbe essere definitivamente concordato tra i vari ministeri». Perché, come ha detto l'altro giorno il responsabile dell'Interno Giuliano Amato al Corriere, «il principale incentivo all'immigrazione clandestina non sono i semafori ma il lavoro nero». Nelle aziende agricole del Sud così come nei cantieri edilizi della ricca Lombardia. «E se non si riesce a porre un freno a questo meccanismo, tutte le altre norme sono inutili», afferma Ferrero anticipando anche la destinazione di 50 milioni di euro previsti dalla Finanziaria per l'immigrazione: «Interventi per smantellare i ghetti e favorire l'integrazione».
Ministro Ferrero, la bozza del decreto al quale sta lavorando con i suoi colleghi dell'Interno e del Lavoro porta la sua firma.
«Il punto di partenza sono le centinaia di migliaia di immigrati sfruttati: un quinto del prodotto interno lordo arriva dal mercato nero in cui si muove la maggior parte dei 700 mila clandestini stimati. Esiste una sorta di bidonville che si sposta in base alla mappa dei raccolti nei campi. Poi c'è il mondo dell'edilizia dove la maggior parte delle morti sul lavoro si registra il primo giorno di assunzione. Per non parlare delle badanti non in regola. Per tutti loro abbiamo pensato a un meccanismo che li metta nella condizione di denunciare i datori di lavoro senza venire automaticamente espulsi. In pratica, abbiamo pensato di estendere l'articolo 18 della Bossi-Fini, che permette alle prostitute di denunciare i loro "protettori", anche ai lavoratori sfruttati».
Oggi il loro primo pensiero è di non essere espulsi.
«Per questo non denunciano gli abusi, scappano quando un ispettore fa visita al loro sfruttatore o dichiarano di aver cominciato proprio quel giorno a lavorare. Il nuovo decreto prevede tre canali su cui far viaggiare la denuncia: un'inchiesta dell'ispettorato del lavoro o delle forze dell'ordine; una segnalazione del sindaco (reintegrando un articolo della Turco-Napolitano cancellato dalla Bossi- Fini) o una denuncia dello stesso lavoratore all'ispettorato o ai sindacati».
E una volta presentata la denuncia?
«Sul caso viene aperta un'inchiesta per accertare la veridicità di quanto denunciato. In caso positivo al migrante viene dato un permesso di soggiorno temporaneo per cercare di regolarizzare la sua posizione o trovare un nuovo impiego. Un permesso da sei mesi a un anno, questo è uno dei punti ancora in discussione».
Il rischio denunciato dalle opposizioni è che il decreto si trasformi però in una nuova occasione di sanatoria.
«Nessuna sanatoria: si tratta di una norma che, dopo la lotta all'evasione fiscale, punta all'emersione dal lavoro nero. La strada non sarà in discesa, ma il mio appello è a lasciare a casa l'ideologia e ad ascoltare imprenditori e sindacati».
E' altra cosa rispetto al decreto flussi?
«La Bossi-Fini va ribaltata, così com'è produce fisiologicamente l'immigrazione clandestina. Se il decreto anti-illegalità sarà dentro o fuori lo si vedrà. Sicuramente non sarà del tutto al di fuori: nel corso di una programmazione pluriennale rappresenta uno dei punti essenziali della politica dell'immigrazione. L'obiettivo è fondamentale. Rendere meno facile l'utilizzo del lavoro nero del migrante perché rappresenta una grande attrattiva per l'immigrazione clandestina e per le organizzazioni criminali. Ma anche un disastro per il lavoratore immigrato così come per quello italiano. Perché in presenza di un mercato nero le aziende che lavorano regolarmente, come loro stesse denunciano, rischiano di essere buttate fuori dal mercato».
Fin qui le norme. La Finanziaria prevede anche un fondo di 50 milioni di euro da destinare all'immigrazione.
«Per la prima volta, aggiungerei. Cinquanta milioni, sottolineo, a fronte del miliardo e mezzo di entrate prodotto dal decreto flussi. L'idea è di agire su due versanti. Il primo, quello dell'emergenza: smontare i ghetti, da Padova a Sassuolo, per evitare il fenomeno
banlieue. Per fortuna nostra non sono tanti e non sono enormi, e l'esperienza straniera insegna. Ma da soli i sindaci non ce la possono fare. Serve un intervento statale e l'appoggio degli attori locali,
in primis dei proprietari di immobili».
L'altro giorno il ministro Amato ha parlato di politiche urbanistiche che devono accompagnare l'inserimento delle comunità di immigrati.
«La linea di intervento (anche se c'è la consapevolezza che via Anelli non è Sassuolo, e che per ogni situazione serve un piano su misura) è quella di recuperare alloggi che non siano concentrati ma diffusi sul territorio. Quindi di procedere con un inserimento guidato delle famiglie immigrate grazie all'intervento degli assistenti sociali».
Che tradotto nella pratica vuol dire?
«Si comperano nuovi alloggi in stabili dove i nuovi arrivi vengono presentati agli altri inquilini con riunioni: a Padova questa procedura ha già funzionato per 120 famiglie trasferite da via Anelli altrove. Bisogna investire sia sul mattone sia sulle relazioni».
Questo è il versante dell'emergenza. E il resto dei 50 milioni?
«Per politiche di inclusione: innanzitutto corsi di italiano, diversi per gli uomini e per le donne che nella maggior parte dei casi restano chiuse in casa (quella del marito o quella dove lavorano come badanti). E poi punti di aggregazione (anti auto-segregazione) per gli immigrati più giovani».

Alessandra Mangiarotti