Cassazione: sconto ai clandestini emarginati anche se hanno commesso delitti efferati, La Repubblica, 16/01/07

La Suprema corte respinge il ricorso della Procura di Milano
"L'assassino crudele a causa del suo abbrutimento sociale"

Cassazione: sconto ai clandestini emarginati
anche se hanno commesso delitti efferati

ROMA - Agli immigrati clandestini può essere applicato uno sconto di pena, anche se hanno compiuto delitti efferati: il riconoscimento delle attenuanti, dice la Corte di Cassazione, è giustificato dalla "emarginazione sociale" di cui sono vittima.

Sulla base di queste considerazioni, la prima sezione penale della Suprema corte ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla procura di Milano: i magistrati si erano opposti al riconoscimento delle attenuanti generiche accordate a un clandestino 25enne, Marian N. autore di un omicido particolarmente brutale, nel quadro di una relazione omosessuale.

Per la Cassazione è giusto dunque quanto stabilito dalla Corte d'asssise d'appello del capoluogo lombardo, che ha concesso all'uomo uno sconto di pena (dovrà scontare 17 anni e 4 mesi di reclusione) in virtù della "situazione di emarginazione sociale conseguente allo stato di immigrato, senza uno stabile lavoro e senza uno stabile riferimento in Italia". E anche per la sua "arretratezza culturale".

L'omicidio è avvenuto a Milano tra il 18 e il 19 novembre del 2003, quando Marian N. uccise Carlo F., nella sua abitazione della vittima, impossessandosi di diversi oggetti. I due erano legati, come si legge nella sentenza, da una relazione omosessuale. Un delitto commeso, si legge ancora nelle motivazioni, con particolare efferatezza, con "numerosi colpi sul cranio con corpo contundente", mentre era legato mani e piedi. E poi, per oltre un'ora, l'assassino era rimasto a guardare la vittima agonizzante.

Ma nello stabilire la condanna, nel marzo 2006, la Corte d'assise d'appello non aveva conteggiata "l'aggravante della crudeltà": alla luce del fatto che, appunto, era la vita ad averlo reso crudele. Diversa l'interpretazione della procura, che nel ricorso in Cassazione sottolinea che l'immigrato "aveva inutilmente infierito in modo brutale sul corpo della vittima, ormai ridotta all'impotenza". Ma i giudici della Suprema corte non si sono dichiarati daccordo con loro.