Sterili polemiche sul prigioniero Sofri, di P.Gonnella, Il Manifesto 9/2/07

Prigionieri lo si è a vita. Le polemiche contro la partecipazione di Adriano Sofri all'assise dei Ds sono indecorose e assomigliano alle polemiche contro l'indulto, ambedue accomunate da una sub-cultura illiberale che serpeggia a sinistra. Siamo il paese del piagnisteo. Stiamo approssimandoci a diventare il paese della vendetta. Siamo un paese dove l'unico battitore libero che interviene mandando fendenti giustizialisti a destra e a manca è Marco Travaglio.  A favore di Adriano Sofri parlano solo gli amici. Tutti gli altri tacciono.

La vicenda Sofri - a cui vorrebbe essere tolta la parola, e al massimo restituita in modo generoso e clemente la libertà - è trattata come un qualsiasi fatto di cronaca. I prigionieri non devono fare politica.

In Italia i prigionieri condannati, e finanche gli ex prigionieri, fino ad avvenuta riabilitazione (lunga, incerta e costosa], non possono votare e non possono essere votati. Il caso Sofri è un caso di democrazia e giustizia «Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato». Così recita l'articolo 27 della Costituzione. Un assunto che dai cultori della certezza della pena viene interpretato, anche a sinistra, riduttivamente e assistenzialmente. Come se riguardasse solo coloro che aspirano a fare i camerieri o gli addetti alle pulizie. Se sei invece uno che scrive, pensa o interviene nel dibattito politico allora non hai diritti da accampare.

La democrazia è anche questo. Si sprecano parole sulla democrazia e poi quando in un'assemblea per far nascere un partito democratico e non un movimento di guerriglia rivoluzionario interviene uno che trentacinque anni fa avrebbe commesso un delitto politico (mentre lui stesso, con molti altri, si sono battuti a difesa della sua innocenza) allora la parola passa ai parenti delle vittime e ai giudici, indissolubilmente d'accordò nel ricordare sentenze che vorrebbero indelebili nella storia.

La Carta costituzionale, nel frattempo, diventa carta straccia. I ds e tutti i politici che hanno difeso la partecipazione di Adriano Sofri alla loro iniziativa sono ben più lungimiranti della grande folla di intellettuali silenti, pronti solo a denunciare inciuci o lassismi. La memoria - individuale e collettiva - si difende espandendo la partecipazione democratica e rafforzando il senso di giustizia. Non penso che Adriano Sofri, dopo tutta la galera fatta, abbia ambizioni presidenziali. Se così fosse, però, bisognerebbe consentirglielo. La privazione della libertà è già di per sé una pena difficile da sopportare. I diritti politici vanno garantiti. Non c'è risocializzazione che tenga se non vi è inclusione democratica. Noi, da alcuni anni, proponiamo una revisione della norma sulla interdizione dei pubblici uffici. Giuliano Pisapia (Rifondazione comunista), oggi alla guida della Commissione di riforma del codice penale, aveva firmato una proposta di legge in tal senso. Ora ci attendiamo che chi ha invitato Adriano Sofri, insieme a tutte le forze di sinistra, colgano questa occasione per uscire dalla difesa e trasformare la storia di Sofri in una battaglia di democrazia e giustizia, volando alto e senza farsi impigliare nelle maglie scontate del giustizialismo imperante.