Processo per la morte di Stefano Borriello nel carcere di Pordenone. Antigone ammessa parte civile

stefano-borrielloDurante la prima udienza dibattimentale che si è tenuta il 30 gennaio il Giudice del Tribunale di Pordenone ha ammesso Antigone - rappresentata dall'Avvocato Simona Filippi - quale parte civile nel processo per la morte di Stefano Borriello, deceduto nel carcere di Pordenone il 7 agosto 2015, a soli 29 anni, nel quale imputato è il medico del carcere friulano. 

"Fin dai primi mesi successivi alla morte del ragazzo Antigone, attraverso il proprio Difensore civico, come accaduto anche in altre occasioni, ha seguito l'intera vicenda" dichiara Patrizio Gonnella, Presidente dell'Associazione. 
"Le incongruenze sulla morte di Stefano Borriello - come ricorda Simona Filippi, già difensore civico di Antigone e avvocato che sta seguendo il processo - erano molte, cosa che ci spinse l'8 aprile 2016 a presentare un esposto davanti alla Procura della Repubblica di Pordenone e poi a seguire la fase delle indagini, con apposite perizie realizzate da medici incaricati dalla nostra associazione, sino ad opporci alla richiesta di archiviazione. E' proprio questa attività - conclude l'avvocato Filippi - che ci ha spinto a presentarci come parte civile". 
"Questo processo - precisa Patrizio Gonnella - pone il tema del rispetto del diritto alla salute che è connesso al diritto alla vita. Noi siamo nel processo non perché vogliamo capri espiatori ma per stare dalla parte di chi cerca giustizia. Inoltre si tratta di un caso che pone in modo paradigmatico il tema del trattamento medico e della necessità di pensare a più elevato livelli di assistenza psico-fisica nelle carceri".   

Di seguito una breve cronistoria sul caso Borriello.

L’8 aprile del 2016 l'associazione ha presentato un esposto davanti alla Procura della Repubblica di Pordenone per denunciare diverse incongruenze sulla morte del giovane. Secondo la comunicazione di decesso sottoscritta dal Direttore, alle 20.15, Stefano veniva notato da un agente di polizia penitenziaria all’interno della sua cella (la n.2) mentre perdeva i sensi e cadeva a terra; veniva trasportato d’urgenza al Pronto soccorso dell’Ospedale di Pordenone ove veniva constatato il decesso. Secondo la Dott.ssa Zecca – il medico che per Antigone ha redatto apposita consulenza sulle cause del decesso – il giovane è morto per una banale polmonite in quanto i medici non hanno posto in essere neanche i minimi accertamenti per capire da cosa erano determinati la febbre alta e i dolori che lo stesso lamentava. 

Le indagini preliminari si sono sviluppate in due fasi con esito analogo ossia la richiesta di archiviazione del Pubblico ministero. Nella prima fase, il consulente della Procura, pur dando atto che Stefano è deceduto per broncopolmonite da “acquisizione di batteri comuni ambientali generici” e che la stessa “è stata contratta circa una settimana prima del decesso” e pur dando atto che il giorno precedente il decesso – il 6 agosto – era opportuno un “approfondimento clinico/diagnostico/strumentale” e che i dati della “semeiotica toracica” rilevabili mediante percussione e auscultazione “avrebbero potuto rilevare dati anomali” per cui sarebbe stato necessario eseguire esame radiologico, tuttavia, concludeva il consulente, un trattamento antibiotico non avrebbe potuto evitare il decesso del giovane.
Come si poteva sostenere che una “banale” broncopolmonite, anche se diagnosticata in ritardo, non potesse essere curata? Questo dubbio è stato condiviso anche dal Giudice delle indagini preliminari il quale, a seguito dell’opposizione alla richiesta di archiviazione, avanzata dalla madre del giovane, ha ritenuto necessario disporre una integrazione delle indagini preliminari. Era il 28 settembre 2016. 

In questa seconda fase delle indagini, il Pubblico ministero, dopo aver disposto una integrazione della consulenza medica, il 17 luglio 2017, avanzava una seconda richiesta di archiviazione con motivazioni ancora più farraginose delle precedenti in quanto il Consulente della Procura motiva ampiamente e senza mezzi termini sulle molteplici e gravi omissioni poste in essere dal medico di reparto: “Nel diario clinico redatto in data 6 agosto 2015 nessun riferimento viene fatto al rilevamento di parametri vitali e/o all’esecuzione di un esame obiettivo toracico. Tali manovre, semplici e di facile esecuzione, erano indispensabili alla luce della sintomatologia, componendo in capisaldi elementari di ogni prestazione medica: anamnesi accurata ed esame obiettivo.” 

Antigone presenta formale atto di opposizione alla richiesta di archiviazione che verrà discussa all’udienza del 18 dicembre 2017: secondo il consulente specialista in malattie infettive nominato dall’associazione, una visita del paziente anche il giorno prima del decesso avrebbe permesso di iniziare una terapia che avrebbe aumentato notevolmente le possibilità di sopravvivenza del giovane. 

All’esito dell’udienza, il Giudice disponeva provvedimento di imputazione coatta che portava il Pubblico ministero alla formulazione del capo di imputazione per omicidio colposo nei confronti del medico del carcere. 

L'8 maggio 2018 si è tenuta l'udienza preliminare dinanzi al Giudice che si è conclusa con il rinvio a giudizio del medico. 

Il 30 gennaio 2019 si è tenuta invece la prima udienza dibattimentale durante la quale Antigone ha presentato la sua richiesta di ammissione quale parte civile, cui sia la difesa dell'imputato che il Pubblico Ministero si sono opposti. Tuttavia il Giudice ha accettato questa costituzione sostenendone la legittimità. Lo stesso Giudice, durante questa udienza, ha chiarito di voler dare una priorità a questo processo convocando una nuova seconda udienza per il giorno 10 maggio dove verranno sentiti dieci dei testi della pubblica accusa (medici e compagni di cella di Stefano).