ANTIGONE ONLUS
per i diritti e le garanzie nel sistema penale
L'Editoriale a cura della Redazione: Un contributo per una nuova giustizia penale
L'Osservatorio Parlamentare a cura di Francesca D'Elia: Mandato d’arresto europeo:approvate modifiche al testo; 4 anni di carcere a chi rifiuta esame dna per fini giudiziari: Pdl di AN all’esame della Commissione Giustizia della Camera
“Migranti in Europa”: un nuovo spazio del sito di Antigone dedicato ai diritti degli immigrati nell’Unione Europea di Gennaro Santoro
L’EDITORIALE: Un contributo per una nuova giustizia penale
Qui di seguito trovate il nostro contributo per una nuova giustizia penale. Il documento programmatico che abbiamo elaborato, a partire da un incontro collettivo avuto qualche mese fa a Bolsena, vuole essere una base di discussione per ridefinire le priorità sui temi della giustizia penale. Ovviamente è nostra speranza che questo documento abbia massima diffusione e ascolto. Patrizio Gonnella Premessa A dispetto delle infinite polemiche sul rapporto tra politica e giustizia, che interessano o hanno interessato direttamente pochissime persone, l’ultimo movimento del pendolo della giustizia penale in senso chiaramente anti-repressivo risale ormai a quindici anni fa, quando il Parlamento approvava l’ultimo provvedimento di amnistia-indulto, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. Di poco precedenti erano il nuovo processo minorile e la stessa approvazione della legge Gozzini. Da allora la popolazione detenuta si è quasi duplicata e si sono decuplicate le persone in esecuzione penale esterna. Non c’è questione che non sia trattata con le armi del sistema penale. Il carcere viene minacciato in oltre 5.000 leggi extra codice, dalla fecondazione assistita ai maltrattamenti agli animali, dall’immigrazione alle droghe. Quest’espansione del sistema penale - frutto di interventi parcellizzati, a coprire una a una singole paure – è andata di pari passo con lo smantellamento delle garanzie sociali. La riduzione delle risorse per il welfare ha escluso intere categorie di persone dal sistema della sicurezza sociale, lasciando loro il solo ruolo di bersaglio privilegiato del sistema penale. Tutto questo ha origini lontane, negli Stati Uniti della “tolleranza zero” e del nuovo grande internamento. Da questa idea della convivenza sociale e della funzione che in esso può svolgere il sistema penale gran parte dei paesi del vecchio continente sono stati sedotti e travolti. Eppure in questa stessa Europa resiste ancora una cultura dei diritti civili e sociali, cultura e diritti che ne hanno fatto grande la storia. Esiste una contraddizione di fondo che va affrontata, tanto più in un momento delicato quale quello attuale, quando l’approvazione del Trattato di Roma rompe l’esclusività delle competenze statali in materia penale, mentre in Italia si vorrebbe spingere la riforma federale dello Stato verso nuove e non chiare attribuzioni delle Regioni in materia di sicurezza. Su questo sfondo, e in vista delle prossime, decisive scadenze politiche, la nostra vuole essere una proposta di riflessione che tenti di affrancarsi da un dibattito inquinato dalla nuova emergenza “niente è più come prima” post 11 settembre e dal permanente conflitto di interessi con la giustizia penale del Presidente del Consiglio. (leggi tutto)
a cura di Francesca D'Elia
Mandato d’arresto europeo:approvate modifiche al testo In data 22 febbraio, la Camera dei Deputati ha approvato, con alcune modifiche, il provvedimento che recepisce il mandato d'arresto europeo in attuazione della decisione quadro firmata dai Quindici a Laeken nel 2001. Dal testo, che torna al Senato per un nuovo esame, è stato espunto l’art. 4 (bocciato dall’Aula contro il parere del Governo) che, in particolare, riguardava alcuni poteri del Ministro della Giustizia nell’ambito del nuovo strumento europeo, e che prevedeva tra l'altro che, nel caso di ricezione di un mandato d'arresto europeo, il Ministro lo dovesse trasmettere "senza indugio" all'autorità territoriale competente. In base al nuovo testo, inoltre, si prevede (all’art. 17) che la consegna del ricercato al magistrato di un altro paese europeo -a parte il caso di una sentenza di condanna definitiva - sia possibile solo se vi sono "gravi indizi di colpevolezza" a suo carico. Modifica alla quale si è prevenuti dopo l’approvazione, da parte dell’Aula di Montecitorio - con 236 sì, 177 no e 8 astenuti - di un identico emendamento presentato dalla Lega e da Rifondazione Comunista, e sul quale vi è stato il voto favorevole della Casa Delle Libertà, Verdi e Rifondazione Comunista; contrario, invece, il voto degli altri gruppi dell'opposizione. Non basta, quindi, che gli indizi siano "sufficienti" (come risultava nel testo approvato dal Senato), ma devono essere "gravi", in tal modo tornando alla norma originaria, già approvata in prima lettura alla Camera. Il testo passerà ora all’esame del Senato per la definitiva approvazione.
Quattro anni di carcere a chi rifiuta esame dna per fini giudiziari: Pdl di AN all’esame della Commissione Giustizia della Camera Due proposte di legge (primi firmatari: l’on. Franz e l’on. Onnis di Alleanza Nazionale), attualmente all’esame della Commissione Giustizia di Montecitorio, prevedono la condanna fino a quattro anni di galera per chi in un processo penale rifiuterà di sottoporsi al prelievo per l'esame del Dna. In particolare, si prevede che il giudice, anche d’ufficio, possa imporre il prelievo per il Dna nei confronti di chi non vi acconsente (ammesso solo se l'atto è assolutamente indispensabile, non lesivo della dignità e non mette in pericolo la vita o la salute dell'imputato o degli altri soggetti). Qualora il soggetto non si presenti (salvo vi sia legittimo impedimento) il giudice potrà disporre che sia accompagnato coattivamente nel "luogo stabilito" (che potrà essere una struttura pubblica "o equiparata") e che vi sia trattenuto, anche contro la sua volontà, per il tempo strettamente necessario. In caso di rifiuto a "collaborare all'esecuzione dell'atto", scatterebbe quindi la reclusione fino a quattro anni, configurato delitto contro la Pubblica Amministrazione. Al provvedimento sono stati presentati diversi emendamenti che vanno dalla soppressione di tutti gli articoli, a proposte tese a rendere il testo meno rigoroso, prevedendo ad esempio (proposta avanzata da uno dei firmatari, l’on. Onnis) che il magistrato possa ordinare il prelievo "forzoso" solo in due casi: quando si tratti di un reato punibile con l'ergastolo o con una pena superiore ai tre anni di carcere.
I fabbisogni formativi delle persone detenute ed ex detenute nella provincia di Roma di Romina Raffo e Massimiliano Bagaglini Nei mesi di novembre e dicembre 2004 l’Associazione Antigone ha svolto, per conto di Capitale Lavoro SpA, una ricerca che ha riguardato l’analisi dei fabbisogni formativi delle persone detenute ed ex detenute negli istituti penitenziari della provincia di Roma. A tale scopo sono stati analizzati 335 curriculum vitae raccolti dai COL (Centri di Orientamento al Lavoro) del Comune di Roma attivati nelle carceri romane e dal servizio PID (Pronto Intervento Detenuti). Sono state raccolte inoltre, attraverso questionari ed interviste, diverse testimonianze di persone detenute o ex detenute, attualmente impegnate in attività lavorative ed i pareri di numerosi testimoni privilegiati nel settore della formazione culturale e professionale appartenenti alle istituzioni centrali e locali, alle associazioni di categoria aziendali e professionali, ai sindacati ed al mondo del non profit. Non si è trattato soltanto, quindi, di fotografare il bisogno di formazione di questa particolare categoria sociale, ma si è cercato anche di approfondire le conoscenze sull’inserimento lavorativo attraverso le testimonianze dirette degli attori coinvolti e, allo stesso tempo, di capire quali fossero gli strumenti più utili per orientare e migliorare le azioni formative. La ricerca è inserita nella più ampia cornice della realtà socio-lavorativa della popolazione detenuta ed ex detenuta in Italia e fornisce una panoramica sulla normativa che riguarda questo aspetto della vita delle persone detenute. I dati salienti emersi dalla ricerca evidenziano lo stato di deprivazione culturale e professionale della popolazione detenuta ed ex detenuta. In particolare, in ordine al grado di istruzione, l’analisi dei curriculum rivela che il 54% del campione possiede il solo titolo di scuola media inferiore, il 18% quello di scuola elementare, il 13% quello di scuola media superiore. Bassissima la percentuale di diplomati professionali e laureati, rispettivamente il 9% e il 4%. Vi è anche un 2% senza alcun titolo di studio. Per quanto riguarda il lavoro e l’istruzione professionale, solo nel 39% dei casi il campione ha frequentato un corso di formazione professionale e, sebbene nella quasi totalità dei casi sia presente almeno un’esperienza lavorativa precedente al periodo di carcerazione, va segnalato che circa il 65% del campione ha svolto un’attività lavorativa in posizione di operaio, subalterno o assimilato nei settori dei servizi, dell’edilizia e della ristorazione. Pochissimi sono quindi le persone detenute o ex detenute in possesso di una reale qualifica professionale. A questi dati possiamo aggiungere che nel 73% dei casi il campione non possiede alcuna conoscenza informatica. Alla pesante situazione di deprivazione culturale, scolastica e professionale si accompagna l’età media dei detenuti e degli ex detenuti che è compresa tra i 35 e i 40 anni. Infatti il 35% del campione ha un’età compresa tra i 41 e i 50 anni, il 21% tra i 36 e i 40, il 20% tra i 31 e i 35 anni e solo il 10% possiede un’età inferiore ai 30 anni. La conseguenza che ne deriva è che l’inserimento nel mercato del lavoro di soggetti con tali caratteristiche presenta condizioni di elevata problematicità che vanno ad aggiungersi ai pregiudizi che già circondano i detenuti. Un tale contesto suggerirebbe l’avvio di massicci interventi volti ad eliminare il gap che rende difficile, se non impossibile, il reinserimento sociale delle persone ex detenute attraverso il lavoro. Tale obiettivo si scontra però con la realtà dell’esecuzione penale degli istituti di pena dove le iniziative di formazione e di avvio al lavoro sono quantitativamente e qualitativamente di basso profilo. I dati, a livello nazionale, evidenziano un calo della popolazione detenuta lavorante da circa il 40% dell’inizio degli anni ’90 al 25% del 2003. Per cui, oggi, solo un detenuto su quattro lavora. Inoltre, la maggior parte dei lavori che si fanno in carcere sono alle dirette dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria e riguardano occupazioni di basso profilo come quelle di portavitto o scopino, che risultano non spendibili sul mercato del lavoro. Le interviste fatte con detenuti ed ex detenuti rivelano che spesso i corsi di formazione fatti in carcere sono inutili per l’inserimento nel mercato locale del lavoro. Risulta ancora marginale l’intervento di privati, se si esclude la nicchia del privato sociale, nel campo della formazione e del lavoro in carcere. Infine, non va dimenticato, che circa il 60% della popolazione detenuta ha un residuo pena inferiore ai tre anni e quindi si trova in una condizione in cui, per limiti di tempo, risulta difficile avviare azioni di formazione che possano produrre risultati duraturi. Dai colloqui avuti con numerosi testimoni privilegiati e, sulla scorta dei dati statistici raccolti nel corso della ricerca, sono emerse alcune indicazioni su come migliorare la formazione ai fini di un reale inserimento lavorativo. Sinteticamente, si tratta di organizzare dei percorsi formativi che vadano a sostituire i corsi di formazione, ovvero prevedere progetti di accrescimento delle competenze culturali e professionali proiettati nel tempo e basati sulla contaminazione tra ore d’aula e ore di tirocinio sul campo. Il progetto formativo, oltre ad una serie di competenze specifiche, deve puntare all’accrescimento delle competenze trasversali; deve essere basato sulla partecipazione del soggetto al quale si rivolge e quindi individualizzato attraverso un bilancio preventivo delle competenze personali. E’ necessario poter disporre di un tutor e poter monitorare l’intero processo al fine di valutarne i risultati. Le azioni formative devono essere spostate il più possibile fuori dal carcere ed avviate sin dall’inizio del periodo di detenzione (in relazione con il residuo pena). I percorsi formativi devono prevedere una attenta osservazione della realtà socio-produttiva locale; preziosa in questo senso potrebbe rivelarsi la collaborazione delle associazioni di categoria delle imprese che potrebbero offrire opportunità di tirocinio e stage. A questo proposito i percorsi formativi devono prevedere il coinvolgimento, nella fase programmatica, di più attori: istituzione carceraria, enti locali, mondo dell’associazionismo, imprese private, sindacati, forze di polizia, affinché il percorso formativo possa conquistarsi una base di solidità nella comunità locale. La gestione deve essere affidata all’ente territoriale, vero collante tra dentro e fuori. Va avviata una estesa azione di sensibilizzazione e informazione sul reinserimento socio-lavorativo dei detenuti e anche sulle opportunità che la legge offre in tal senso alle imprese private.
di Gennaro Santoro
Lo spazio “Migranti in Europa” (www.associazioneantigone.it/cpta.htm) nasce dall’esigenza di voler contribuire a diffondere informazioni e notizie concernenti i migranti in Europa, troppo spesso vittime di detenzioni sociali e discriminazioni, in aperta collisione con i principi cardine dello Stato di diritto. In particolare, l’attenzione è rivolta sia ai preesistenti e inumani CPT europei, che alla temeraria volontà di alcuni governi della giovane Unione Europea di costruire nuove ‘gabbie etniche’ in Nord Africa. Per altro verso saranno proposte e approfondite le buone prassi promosse e sostenute da alcuni soggetti della nuova Europa, al fine di contribuire alla creazione di un nuovo concetto di cittadinanza basato sulla residenza (e non sull’etnia o paese di origine), che contribuisca a porre le basi di una nuova società multiculturale fondata sulla mediazione e sulla reale integrazione delle culture, in aperto contrasto con le politiche emergenziali e di criminalizzazione del migrante che caratterizzano il momento storico attuale. Oltre ad uno spazio dedicato ai documenti, giuridici e non, inerenti i diritti dei migranti (www.associazioneantigone.it/cpta/documentinazionali.htm), nella sezione rassegna stampa è possibile leggere quotidianamente le principali notizie della stampa italiana ed europea sul tema dell’immigrazione (www.associazioneantigone.it/cpta/rassegnastampa/default.asp). E’ presente, inoltre, una sezione con alcune schede ‘critiche’ mensili (www.associazioneantigone.it/cpta/schedemensili.htm) che riassumono le informazioni della stampa proposte nel mese in corso. L’ultima directory è invece dedicata agli eventi (www.associazioneantigone.it/cpta/eventi.htm) che promuovono un nuovo concetto di cittadinanza basato sulla multiculturalità.
a cura della Redazione
Martedì 8 marzo ore 17, a Roma, presso la Sala Blu dell’Assessorato al lavoro del Comune di Roma, Lungotevere de’ Cenci 5, seminario a cura di Antigone: Il Carcere al femminile. Introduce Patrizio Gonnella. Intervengono: Silvia Baraldini, Il carcere negli Stati Uniti e in Italia; Laura Astarita e Susanna Marietti, Idee e proposte per nuove politiche per il reinserimento di donne ex detenute. Conclusioni: Marina Graziosi. Venerdì 11 marzo ore 14.30-18.30, a Firenze, presso la sede della Facoltà di Psicologia, in via La Torretta, presentazione del Terzo Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione Antigone in carcere, a cura di B. Mosconi e C. Sarzotti, Carocci 2004. Interviene Patrizio Gonnella.
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