L’EDITORIALE “C’era una volta il braccialetto”
di Patrizio Gonnella
Nei giorni scorsi il Ministro
della Giustizia Roberto Castelli ha definitivamente sancito la fine della
sperimentazione del braccialetto elettronico, sostenendo la sua non economicità.
Una fine ingloriosa tenuto conto che sono trascorsi poco più di due anni e mezzo
da quando, nel febbraio del 2001, fu pubblicato il decreto del Ministero
dell’Interno che ne descriveva le modalità di installazione e di uso. Molta
enfasi fu data alla possibilità di controllare a distanza, attraverso un
trasmettitore collegato alla caviglia, detenuti in misura alternativa e persone
agli arresti domiciliari. Il braccialetto avrebbe dovuto essere impermeabile e
ipoallergico. Un sistema informatico centrale avrebbe dovuto segnalare tutti gli
eventi alle forze dell’ordine.
Ingente è stato l’investimento
economico: nel decreto erano puntigliosamente elencati tutti i congegni,
strumenti, sensori, software, consolle, trasmettitori e ricevitori che avrebbero
dovuto essere acquistati, questura per questura in giro per l’Italia. Pochissime
le città e le questure dove, viceversa, la cavigliera è stata sperimentata. A
poche settimane dall’entrata in vigore della legge un colombiano agli arresti
domiciliari si diede alla fuga, non è stato mai ritrovato. Il 21 luglio 2002 un
boss della mafia siciliana, malato di Aids, riuscì a fuggire insieme al proprio
braccialetto elettronico dall'ospedale Sacco di Milano, dove era ricoverato in
detenzione domiciliare.
Un dubbio è profondo: come non
tenere conto di una legge che è ancora legge dello Stato. Infatti la legge n.4
del 2001, che ha introdotto le nuove forme di controllo elettronico, ha
modificato rispettivamente l'ordinamento penitenziario, introducendo il comma 4
bis all'art. 47 ter, e il codice di procedura penale, introducendo il comma 1
bis all'art. 275, l'art. 275 bis, il comma 1 ter all'art. 276 e il comma 1 bis
all'art.284. Esiste un art. 275 bis del codice di procedura penale nuovo di
zecca, secondo cui il giudice nel disporre la misura degli arresti domiciliari
anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere, se lo ritiene
necessario, può prescrivere procedure di controllo mediante mezzi elettronici o
altri strumenti tecnici.
Sin dall’inizio avevamo
espresso le nostra perplessità sulla legittimità costituzionale del
provvedimento evidenziando come con la sua applicazione si rischiava che
l'alternativa al carcere potesse essere preclusa non a causa delle entità delle
esigenze cautelari, ma solo perché la polizia giudiziaria non avrebbe avuto la
disponibilità degli strumenti tecnici necessari. Dubbi avevamo posto anche sugli
eccessi di invasività della sfera personale determinati dalla cavigliera
elettronica, che avrebbe prodotto un vero e proprio etichettamento criminale.
Ora si tratta di capire, dopo
le dichiarazioni del Ministro della Giustizia, se si pensa ad una nuova legge
che abroghi quella del 2001, o se si decide semplicemente di lasciarla cadere
nel dimenticatoio.
OSSERVATORIO PARLAMENTARE
a cura di Francesca D’Elia
Il cd. “indultino” è legge.
Il testo approvato e i primi
dati
Il 7 agosto è stata pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale la Legge 1 agosto 2003, n. 207, concernente la
"Sospensione condizionata dell'esecuzione della pena detentiva nel limite
massimo di due anni", il cd. “indultino”.
La versione definitiva del
testo prevede la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva nei confronti
di chi abbia scontato almeno metà pena, con un residuo della stessa pari nel
massimo a due anni. Può chiederla il condannato in stato di detenzione, o in
attesa di esecuzione pena, alla data di entrata in vigore della legge.
Sono previste, però, pesanti
esclusioni soggettive ed oggettive: non può beneficiarne chi è stato condannato
per reati di mafia, terrorismo, omicidio, contrabbando, traffico di
stupefacenti, sequestro di persona, rapina aggravata, violenza sessuale,
pedofilia, riduzione in schiavitù, turismo sessuale; chi è stato dichiarato
delinquente abituale, professionale e per tendenza; chi è clandestino non fa
eccezione.
La richiesta viene inoltrata
dal detenuto, o dal suo legale, al magistrato di Sorveglianza. La suddetta
sospensione, che può essere disposta una sola volta, ha la durata di cinque
anni: se in tale arco di tempo il beneficiario commette un delitto non colposo
per il quale riporti una condanna a pena detentiva non inferiore a sei mesi,
oppure non ottempera, senza giustificato motivo, alle prescrizioni
congiuntamente applicate con il provvedimento che dispone il beneficio
(presentazione all’ufficio di polizia giudiziaria, non allontanamento dal comune
di dimora abituale, divieto di espatrio), viene revocata la misura.
Secondo le stime del
Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (divulgate il giorno prima
dell’entrata in vigore della legge), il beneficio dovrebbe riguardare circa 9175
detenuti. Ci sono anche altri dati ufficiali: a tredici giorni dall’entrata in
vigore dell’ ”indultino”, sono state 208 le persone che ne hanno beneficiato e
7.518 le domande –in gran parte ancora da esaminare- presentate dai detenuti per
poterne usufruire. A commento dei dati, il capo della Direzione Generale
detenuti e trattamento, Sebastiano Ardita, sottolinea che l’entrata in vigore
della legge è avvenuta in pieno periodo di sospensione processuale, e che per
una realistica valutazione si dovrà dunque attendere il funzionamento a pieno
ritmi degli uffici giudiziari. Consola sapere, però, che alcuni magistrati siano
rientrati prima dalle ferie proprio per applicare l’indultino, un provvedimento
la cui efficacia è stata molto limitata con le modifiche introdotte nell’iter
legislativo, ma che speriamo apra la strada a nuovi e più incisivi strumenti per
alleviare la grave situazione di sovraffollamento delle carceri, e dunque le
condizioni di vivibilità all’interno delle stesse.
Il 30 luglio la commissione
Affari Costituzionali della Camera dei Deputati ha avviato l’esame della
proposta di legge sull’ istituzione del difensore civico delle persone private
della libertà personale.
Giovedì 11 settembre la
commissione Affari Costituzionali di Montecitorio ha ripreso l’esame delle
proposte di legge sul difensore civico dei detenuti che aveva avuto inizio nella
seduta del 30 luglio. Le proposte sono tuttora tre, e recano la firma (in ordine
di presentazione) dell’On. Pisapia, On. Mazzoni e On. Finocchiaro. L’esame, in
sede referente, dovrebbe riprendere martedì 16 settembre. Fa piacere, peraltro,
che anche il Parlamento europeo si sia di recente pronunciato
sull’utilità/necessità dell’introduzione del difensore civico penitenziario,
anche in base alla positiva esperienza dei due paesi europei che hanno già
istituzionalizzato la figura del garante delle condizioni di detenzione, una
sorta di “mediatore” autonomo, a cui tutti i detenuti, o soggetti comunque
privati della libertà personale, possono rivolgersi senza alcun vincolo di
forma.
Giustizia e diritti visti dal carcere
Roma, 12 settembre 2003 ore
20 sala gialla - Festa Nazionale di Liberazione.
di Francesca D’Elia
Il dibattito organizzato
dall'associazione Antigone ha avuto come tema la situazione drammatica nella
quale versano le nostre carceri. Con il coordinamento di Patrizio Gonnella, sono
intervenuti Livio Ferrari, Alessandro Margara, Giovanni Russo Spena.
I punti fondamentali affrontati
durante il dibattito sono stati:
- sovraffollamento (nei 205
istituti di pena italiani vi sono circa 57.000 detenuti a fronte di una capienza
regolamentare pari a 42.000 unità);
-drastico taglio ai fondi per
la sanità penitenziaria (circa il 50 % dei detenuti si cura da sé e molti
medicinali vengono acquistati a proprie spese);
- numero esiguo di figure
professionali fondamentali per il trattamento (educatori, psicologi, etc.).
Introduce Patrizio Gonnella
(coordinatore nazionale dell'associazione Antigone), che ricorda quanto
affermato la settimana scorsa dal Parlamento europeo:
1) l'Italia -assieme anche a
Francia, Grecia, Portogallo e Spagna- non riesce a garantire, a causa del
sovraffollamento carcerario, condizioni di detenzione “umane";
2) l'estrema utilità
dell'istituzione di un garante delle condizioni di detenzione- già adottato in
due paesi europei.
Prende la parola Alessandro
Margara (Magistrato di Sorveglianza, ex capo del Dipartimento
dell'Amministrazione Penitenziaria, oggi Presidente della Fondazione Michelucci)
che illustra un progetto di riforma dell'Ordinamento Penitenziario, da lui
elaborato, che punta sulla valorizzazione dei diritti dei detenuti (anche sulla
scia della sentenza della Corte Costituzionale del '99, in direzione del
riconoscimento ai detenuti della possibilità di reclamo per la lesione dei
propri diritti, però non ancora tradottasi in strumento giurisdizionale
effettivo); sulla necessità delle misure alternative ("un obbligo della
legislazione concreta"), rispetto alle quali l'eccezione deve essere il rigetto,
e non- come invece accade- l'accoglimento della richiesta; sull'eliminazione
delle prescrizioni successive al ‘fine pena’; su una maggiore efficienza del
Magistrato di Sorveglianza ("questa figura deve poter funzionare"), nonché su
una maggiore presenza del personale penitenziario.
Interviene Giovanni Russo Spena
(deputato di Rifondazione Comunista) che parla con pessimismo del contesto nel
quale ci muoviamo, dello spazio giuridico europeo oggi giustizialista, di uno
scenario dove lo stato di guerra viene inteso come principio ordinatore. Non si
può non parlare di un arretramento dei diritti tout court; è necessario-
afferma- che le sinistre si coalizzino su punti fondamentali, quali il
miglioramento della qualità del carcere (e dei diritti), la depenalizzazione dei
reati, la decarcerizzazione dei tossicodipendenti, nell'ottica di una concezione
della pena realmente costituzionale. Russo Spena sottolinea l'importanza della
figura del garante dei detenuti, soggetto autonomo, che potrebbe anche incalzare
il lavoro dei Magistrati di Sorveglianza.
Auspica, infine, il passaggio
dal "penale" al "sociale".
La parola passa poi a Livio
Ferrari (Presidente della Conferenza Volontariato e Giustizia), che commenta la
gravità della situazione carceraria, che si protrae peraltro da anni,
denunciando il totale abbandono non solo delle finalità, ma anche dei numeri di
chi dovrebbe intervenire sulle drammatiche condizioni nelle quali versa il
"pianeta carcere". Continua affermando che, in base alla propria esperienza con
il volontariato, il carcere, purtroppo, di fatto continua ad essere un luogo
vendicativo. Conclude affermando che però ci sono le possibilità per modificare
questa visione: ci sono le leggi.
A chiusura del dibattito
Patrizio Gonnella sottolinea che tra le battaglie utili alla creazione di un
nuovo rapporto tra carcere e società non possono non figurare quella per
l'abolizione dell'ergastolo (come già nelle costituzioni di Portogallo e Spagna)
e quella per una soluzione politica al terrorismo.
Brevi
Dall’America…
- Tornano di moda i completi a
strisce nelle carceri d'America. I responsabili delle prigioni pensano che le
divise attualmente più diffuse, tutte arancioni, possano confondersi con le tute
degli addetti alla manutenzione delle autostrade o delle linee elettriche e
persino con gli indumenti alla moda fra i giovani. La contea di Jefferson in
Colorado ha addirittura adottato una sorta di codice a strisce per i suoi
detenuti: tute a strisce di vari colori a seconda della natura dei delitti
compiuti e il comportamento in carcere.
- Il 1° settembre la Nona Corte
di Appello degli Usa ha deciso di annullare 111 sentenze capitali in tre stati -
Arizona (89), Idaho (17) e Montana (5) - in omaggio ad una sentenza della Corte
Suprema che sancisce che le condanne a morte devono essere decise da giurie
popolari e non dai giudici. La decisione della Corte di Appello, che ha
applicato in modo retroattivo la sentenza della Corte Suprema, potrebbe avere
l'effetto di ridurre a zero le presenze nei 'bracci della morte' in Montana e
Idaho e lasciare solo 35 detenuti in Arizona ancora sotto minaccia di morte. Ma
il procuratore generale dell'Arizona ha fatto sapere che intende presentare
appello. Nel complesso circa 3700 persone sono attualmente in attesa di essere
giustiziate nelle carceri statunitensi.
- L'inferno giudiziario di Kirk
Bloodsworth è durato 19 anni, nove dei quali trascorsi in un braccio della
morte. Bloodsworth, 43 anni, era stato nel 1993 la prima persona negli Stati
Uniti ad essere scarcerata grazie ad un test del Dna. Dieci anni dopo, gli
investigatori sono finalmente riusciti a dare un nome al vero autore del delitto
per il quale Bloodsworth ha rischiato di morire con un'iniezione letale. Dopo il
caso Bloodsworth più di 100 persone sono state scagionate dal test del Dna e
scarcerate negli Usa.
Storie di casa nostra
- Dal settembre del 2002 ad
oggi sono 28 i detenuti che sono riusciti ad evadere da 19 diversi istituti
penitenziari italiani. E' il dato che emerge da un'indagine promossa dalla Fp
Cgil comparto sicurezza. Nel 2000, secondo i dati del Consiglio d'Europa, erano
state12 le evasioni avvenute in Italia, una media di due evasioni ogni 10.000
detenuti. Oggi dunque l'incidenza del fenomeno è più che raddoppiata, con una
media di cinque evasi su 10.000 reclusi. E’ evidente che le carceri modello
Castelli non piacciono proprio a nessuno.
- Il ministro della Giustizia
Roberto Castelli presenta l'iniziativa 'Progetto FreeOpera': per la prima volta
una squadra di calcio di detenuti, quella del carcere milanese di Opera, è stata
iscritta a un regolare campionato di calcio, quello Dilettanti. Pare che la
squadra del carcere giocherà in casa tutte le sue partite.
- Un uomo condannato a circa 10
anni per traffico di stupefacenti, detenuto in una delle strutture carcerarie
del milanese ha inviato alla Magistratura di sorveglianza la richiesta di un
permesso premio per gravi ragioni di ordine familiare: l’inseminazione
artificiale per avere un figlio dalla sua compagna. Il detenuto ha chiesto
l'autorizzazione per poter svolgere gli esami ed effettuare l'inseminazione in
una delle strutture pubbliche specializzate di Milano, ma il permesso è stato
negato. Secondo il magistrato, che nei giorni scorsi ha depositato il
provvedimento, poi notificato in carcere, non esistono i presupposti per
ottenere il permesso premio.
- Il Consiglio regionale del
Lazio il 17 settembre ha approvato all'unanimità la legge promossa dal Ds
Angiolo Marroni per l’istituzione di un garante che tuteli i diritti dei
detenuti della regione. L' ufficio del Garante, un soggetto di rappresentanza
meramente formale, sarà composto da tre persone, un presidente e due membri,
eletti dal Consiglio regionale e in carica per cinque anni. Tra i suoi compiti,
quello di intervenire sulla base di segnalazioni di detenuti e di effettuare
visite negli istituti penitenziari. I poteri dell'ufficio del Garante saranno
per lo più di raccomandazione e persuasione nei confronti degli organi dello
Stato e dell'amministrazione penitenziaria, ma in caso di illegittima omissione
dei provvedimenti dovuti, potrà chiedere direttamente che essi vengano messi in
atto. Nelle situazioni più gravi può chiedere anche l'attivazione di un
procedimento disciplinare.
- ''Aiutaci a dare un lavoro ai
carcerati'' è il titolo della campagna di sensibilizzazione ai problemi
carcerari, promossa dalla Società di San Vincenzo De Paoli. L'iniziativa
prenderà ufficialmente il via il 28 ottobre in occasione della giornata
nazionale della Società. ''Ero Carcerato…'' é, invece, il nome del progetto
legato all’iniziativa che si basa sull'accompagnamento del detenuto da dentro a
fuori il carcere, prendendo in considerazione momenti fondamentali del percorso
rieducativo e di reinserimento sociale dello stesso. |