L’EDITORIALE: La Riforma che non vuole nessuno: come il Governo stravolge la
Giustizia Minorile
di Vincenzo Scalia
Le politiche di tolleranza zero
degli ultimi anni hanno avuto nella giustizia minorile uno dei noccioli duri.
Nel Regno Unito il governo laburista di Tony Blair ha puntato sulle nuove
disposizioni in materia di giustizia minorile previste dal Crime and Disorder
Act per accattivarsi le simpatie di quella porzione di opinione pubblica che
invocava a gran voce misure di legge ed ordine. La Francia non è stata da meno,
coi nuovi provvedimenti che abbassano l’imputabilità a 13 anni e coinvolgono la
polizia nella gestione delle scuole, in particolare quelle dei quartieri a
rischio.
L’Italia sembrava immune da
questa ondata di panico morale. E’ vero, il nostro sistema giudiziario minorile
non è immune da pecche. Basti pensare alla sovrarappresentazione di migranti e
nomadi all’interno degli IPM (Istituti Penali Minorili), che si aggira attorno
al 57%, circa il doppio rispetto alla percentuale relativa agli istituti
penitenziari per adulti. Eppure, neanche se aggiungiamo a questo dato i problemi
relativi alle carenze di risorse, il sistema giudiziario minorile italiano può
essere dipinto a tinte fosche. La carcerazione costituisce una risorsa
utilizzata come extrema ratio, il numero di minori denunciati e condannati è tra
i più bassi nei paesi occidentali, al punto che studiosi stranieri, una volta
tanto, propongono il nostro sistema come modello di riferimento.
Gli ultimi due anni sembrano
tuttavia segnare un’inversione di tendenza, per svariate ragioni. In primo
luogo, il governo insediatosi dopo le elezioni del 2001 vede endemicamente come
fumo negli occhi l’esistenza di una magistratura indipendente, per cui non perde
occasioni per realizzare, a più riprese, quegli interventi che ne modifichino la
natura da corpo preposto a giudicare i cittadini secondo le leggi dello stato
del diritto a mero registratore di cassa degli umori politici del momento,
veicolati dal governo e dai suoi interessi di bottega. Dalle rogatorie al lodo
Maccanico, gli esempi di questo tipo abbondano. In secondo luogo, a fornire il
destro al governo, nel caso della giustizia minorile, intervengono alcuni fatti
eclatanti degli ultimi anni. L’omicidio di Erika ed Omar, quello di Desirèe, il
delitto di Como, amplificati ad arte dagli imprenditori morali mediatici,
solleticano gli umori più reazionari di certe forze politiche. In questo caso è
la Lega ad avere bisogno di tutelare i propri interessi di bottega. I delitti
sopraccitati sono avvenuti tutti nella cosiddetta Padania, retroterra elettorale
di Bossi e compagni. Non è perciò casuale che sia intervenuto l’ingegnere
Ministro della Giustizia in persona ad apporre la firma al progetto di legge di
riforma della giustizia minorile.
Il pacchetto Castelli è una
mostruosità giuridica, ma per dirlo con più forza dobbiamo leggerci dentro. In
primo luogo, perché prevede l’abolizione del Tribunale per i Minori, trasferendo
la competenza di giudizio degli imputati minorenni alla giustizia ordinaria.
Oltre a costituire un caso unico in Europa, avrebbe l’effetto di produrre un
intasamento ulteriore del lavoro dei Tribunali ordinari, e di abolire quelle
garanzie che l’attuale legislazione minorile prevede per i minori imputati. In
secondo luogo, incentivando l’uso della risorsa penale e l’applicazione di pene
più lunghe, finirebbe per minare i già delicati equilibri che regolano il
funzionamento del sistema penale e minorile. In terzo luogo, i minori condannati
a lunghe pene detentive o inseriti precocemente nel circuito penale, privati di
ogni contatto con la società o marginalizzati nel periodo più delicato della
crescita, sarebbero più facilmente suscettibili di intraprendere una carriera
criminale. In quarto luogo, la separazione tra penale e civile ridurrebbe
sensibilmente la possibilità di realizzare interventi più articolati nei
confronti dei minori a rischio. In altre parole, ci troveremmo di fronte alla
definitiva affermazione della sfera penale come strumento di regolamentazione di
problematiche sociali che necessitano di altri tipi di risorse. Educatori e
assistenti sociali diventerebbero figure residuali e il cerchio della tolleranza
zero si chiuderebbe definitivamente. Gli operatori di giustizia minorile
sottolineano da tempo i rischi insiti nel pacchetto Castelli, in parte perché
mossi dalla preoccupazione per le loro sorti, in parte perché consapevoli, coi
loro saperi specialistici, dei rischi insiti in questi cambiamenti. Non bisogna
lasciarli soli. Una battaglia per lo stato di diritto, per l’uguaglianza dei
cittadini di fronte alla legge, contro gli abusi del potere, non può trascurare
la questione minorile. Dopo i migranti, un’altra categoria debole politicamente
rischia di diventare, attraverso un provvedimento tanto inopportuno quanto
liberticida, il cavallo di Troia per la riduzione delle già precarie libertà
civili dei cittadini di questo paese. La società, la politica, debbono muoversi,
prima che sia troppo tardi.
OSSERVATORIO PARLAMENTARE
a cura di Francesca D’Elia
Giustizia minorile
L’Aula di Montecitorio, dopo
aver avviato l’esame della proposta di legge di iniziativa governativa recante
“Delega al Governo per l’istituzione delle sezioni specializzate per la famiglia
e per i minori, nonché per la disciplina dei procedimenti in materia di
separazione dei coniugi e di divorzio” (Atto Camera 2517/A), ha rinviato l’esame
della stessa a data da destinarsi, a causa di un nuovo contrasto apertosi nella
maggioranza. La riforma punta (o puntava, per chi si dice convinto
dell’affossamento del provvedimento - Ds e Margherita-) principalmente ad
un'unificazione delle competenze in materia di minori e all’attribuzione delle
stesse ad un'unica istituzione giudiziaria specializzata.
In particolare, l'articolo 1
del provvedimento in esame, dispone l'istituzione delle sezioni specializzate
presso i tribunali e le corti di appello, alle quali sono attribuite tutte le
controversie di competenza dei tribunali per i minorenni (soppressi dal comma 3
dello stesso articolo) in materia civile, penale e amministrativa, nonché quelle
attualmente devolute alla competenza del giudice tutelare e del tribunale
ordinario in materia di rapporti di famiglia e di minori e quelle relative allo
stato e alla capacità delle persone.
La ratio della riforma proposta
sarebbe quella di razionalizzare gli interventi giurisdizionali e di definire un
nuovo ruolo del giudice della famiglia. Il provvedimento in oggetto attribuisce
ad un unico organo giudiziario la cognizione su tutte le tematiche riguardanti
la famiglia e i minori, eliminando la ripartizione della competenza a conoscere
delle cause aventi ad oggetto il diritto di famiglia dei minori che attualmente
interessa tre diversi organi giurisdizionali: il tribunale ordinario, il
tribunale per i minorenni e il giudice tutelare. L’originaria proposta
governativa intendeva unificare solamente le competenze in ambito civile e
amministrativo; l'ampia discussione in Commissione giustizia, (protrattasi per
oltre un anno e mezzo) ha invece portato il Governo all’accoglimento della
proposta emendativa orientata all'unificazione della giurisdizione non solo in
materia civile, ma anche in ambito penale.
Si punta alla creazione di un
giudice fortemente specializzato: punto saliente della riforma, infatti, è la
specializzazione, la quale, è garantita in primis per le modalità
dell'assegnazione (effettuata direttamente dal Consiglio superiore della
magistratura, sottraendo così i magistrati alle modifiche tabellari da parte del
presidente del tribunale), ed inoltre per i requisiti di professionalità
richiesti per l'assegnazione dei magistrati alle sezioni istituende, (indicativi
di una seria e stabile competenza nelle materie del diritto di famiglia e dei
minori). La proposta di legge, inoltre, reca un articolo che prevede
espressamente, oltre all'iniziale formazione di base, la necessità di attivare
un percorso permanente di formazione, per cui è previsto che il Consiglio
superiore della magistratura debba organizzare corsi annuali di aggiornamento
per i magistrati che andranno a comporre le sezioni specializzate presso le
corti di appello ed i tribunali. Nella materia civile, la sezione specializzata
deciderà in composizione monocratica in tutte le materie che attualmente sono di
competenza del giudice tutelare e in alcuni casi specifici (ad es. sulle
capacità dell’emancipato, del tutore, sull’impugnazione del riconoscimento, etc.);
deciderà invece in composizione collegiale (con tre magistrati togati) in ogni
altra materia civile. In materia penale, invece, la sezione giudicherà con tre
magistrati, di cui due togati ed uno onorario. La riforma proposta ha anche
l'obiettivo di razionalizzare le procedure in materia di separazione e divorzio,
sia tramite modifiche volte ad una più rapida definizione dei procedimenti, sia
attraverso l'omologazione dei riti in materia. Nei prossimi giorni capiremo se,
quello che è stato disposto, è realmente un rinvio “sine die”.
Ultimi dati sull’applicazione
dell’indultino: circa 1811 gli attuali beneficiari
In data 7 ottobre, l'Ufficio
Informatico e Statistico del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (Dap)
ha diffuso gli ultimi dati sull’applicazione dell’indultino: dall’entrata in
vigore della legge (dunque, a poco più di un mese dall’approvazione), circa
1.811 detenuti avrebbero già beneficiato della misura.
La previsione dei 5.000/6.000
beneficiari (stima effettuata nel corso dell’iter del provvedimento) non trova
per il momento riscontro nei fatti; ciò soprattutto per le modifiche restrittive
approvate nel corso dell’esame del testo da parte del Senato.
Ultime sulla proposta di legge
concernente il “difensore civico delle persone private della libertà personale”
Continua l’esame delle proposte
di legge sul “difensore civico delle persone private della libertà personale”.
Allo stato, i lavori della commissione Affari Costituzionali della Camera (nel
corso dei quali sono intervenuti anche i primi firmatari delle proposte-
Finocchiaro, Mazzoni e Pisapia), rivelano un orientamento abbastanza favorevole
sui testi, ma ci sono delle riserve (avanzate dalla Lega, nella persona dell’on.
Dussin, e da Forza Italia, in quella dell’on. Saponara) rispetto all’attività
del difensore civico nei centri di permanenza temporanea per gli stranieri, nei
commissariati di pubblica sicurezza, nonché nelle caserme dei carabinieri
(luoghi dove, nel tempo, si sono verificati episodi di violenza)., Il difensore
civico, dunque, troverebbe un consenso allargato qualora la sua ”competenza”
fosse limitata ai soli istituti di pena, ipotesi restrittiva contro la quale si
è espresso, in particolar modo, l’On. Pisapia nella seduta del 7 ottobre.
Considerate le riserve espresse da Lega e Fi, non solo sul punto illustrato, ma
anche sull’eventuale sovrapposizione dell’attività del difensore civico delle
persone private della libertà personale a quella della magistratura di
Sorveglianza, il relatore (l’On. Francesco Nitto Palma), nella seduta della I
Commissione del 14 ottobre, ha affermato che riterrebbe opportuno -prima di
arrivare a testo unificato- svolgere alcune audizioni (tra le quali, esponenti
del Ministero della Giustizia, del Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria, magistrati di Sorveglianza e associazioni che svolgono attività
in carcere) e ha proposto la visita di una delegazione della Commissione in una
struttura carceraria per verificare "con la garanzia di ampi margini di
riservatezza" le condizioni di vita dei detenuti.
Indagine conoscitiva sulla
Sanità penitenziaria
Nella riunione del 30 luglio
2003 dell'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi delle
Commissioni riunite II (Giustizia) e XII (Affari Sociali) della Camera, era
stata convenuta l'opportunità di procedere ad un'indagine conoscitiva sulla
sanità penitenziaria.
Il 7 ottobre le Commissioni
riunite hanno quindi deciso per l’avvio dell’indagine in oggetto (che dovrebbe
concludersi entro il 31 marzo 2004) che nasce dall'esigenza di approfondire la
conoscenza della situazione sanitaria all'interno degli Istituti penitenziari,
soprattutto alla luce dello stato di attuazione della riforma introdotta dal
decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230 recante «Riordino della medicina
penitenziaria a norma dell'articolo 5 della legge 30 novembre 1998, n. 419», che
ha previsto il progressivo trasferimento alle Regioni delle funzioni sanitarie
in ambito penitenziario, al fine di migliorare un servizio fino ad allora
gestito dal Ministero della Giustizia.
La sperimentazione è stata
avviata, in una prima fase, nelle Regioni Toscana, Lazio e Puglia e,
successivamente, nelle Regioni Emilia-Romagna, Campania e Molise. Al fine di
valutare l'esito di questa fase sperimentale era stata anche costituita, in data
16 maggio 2002, con decreto del Ministro della Giustizia, d'intesa con il
Ministro della Salute, una commissione di studio.
Ci fa piacere che, nel
programma dell'indagine conoscitiva, oltre ad essere contemplate una serie di
verifiche in loco dello stato della sanità penitenziaria (prendendo a campione
alcuni istituti penitenziari delle diverse aree territoriali), siano state
opportunamente previste una serie di audizioni dei soggetti coinvolti dalla
riforma in questione, tra i quali figura anche l’associazione Antigone.
RECENSIONE del libro Scarcerare la società di Alain Brosset
di Tilde Napoleone
Scarcerare la società racconta
e spiega alcune favole contemporanee e lo fa attraverso una ricerca e una
riflessione sul carcere, sul suo ruolo e sulla sua inutilità.
Portati fino ad ora a
considerare il carcere come il punto più alto della nostra crescita umana e
democratica, a parere del nostro autore, invece, il carcere e non è e non sarà
mai in regola con gli obblighi umanitari. Si, è vero, in carcere non scorre più
il sangue, non si assiste più, se non in casi sporadici, alle torture, grazie al
carcere non si uccidono più i corpi. Ma in carcere però i corpi sono conservati,
abbandonati, reclusi ed esclusi, interiormente distrutti. Il paradosso è tutto
qui. Il carcere non fa vedere, per questo tranquillizza, ma non è per questo più
umano. L’invisibilità non consente le repliche, le proteste, se non quando
qualche avvenimento raccapricciante viene posto sotto i riflettori mediatici.
Prima, la gente poteva vedere il sangue scorrere e poteva crescere nel rifiutare
pratiche via via considerate troppo disumane. E vedendo, sono nate le proteste,
le lotte, il rifiuto di chi non tollerava più tanta violenza. Invece la
segregazione, l’istituzionalizzazione nasconde e pacifica le coscienze di chi
pensa di avere raggiunto la migliore soluzione possibile. Ma Brossat ci ricorda
che questo modo di pensare è solo l’interiorizzazione dello sguardo del
poliziotto e di quello dello stato. E’ lo Stato, è il poliziotto che sentono il
bisogno di difendere l’ordine costituito, di difendere quella scala di valori
che ha voluto darsi. Ma quest’ordine, noi, tutti non l’abbiamo votato. La
divisione che il carcere rende eterna e che ormai viene data per scontata tra
chi è giusto e chi non lo è, tra chi è asociale e chi non è, tra il ladro e chi
non ruba, non deve essere data per scontata. E’ relativa, è frutto di scelte su
cui discutere. La discussione da iniziare non è “Esiste una soluzione migliore
del carcere?”, ma “Chi incarceriamo e perché lo facciamo?”, “A quali valori
diamo priorità?”. Il carcere decide chi è il “rifiuto”, secolarizza una verità
che tale non è e in questo senso è un’istituzione politica.
Le questioni come l’avvicinare
il carcere alla società, umanizzarlo, riempirlo di senso per il detenuto, sono
“temi dell’approccio illuminato, riformatore e filantropico del XIX secolo”. Il
problema, sostiene Brossat, è invece come eliminarlo, in quanto una delle
peggiori espressioni di disumanità, mascherata da parvenza democratica. “Non ci
sono più i ferri, né la ruota, né il patibolo, né il rogo. Niente. Ciò che
rimpiazza tutto è il tempo, una vita amputata del tempo. Non si uccide, si
lascia morire. Il carcere separa e separa quella parte di noi, altrettanto
selvaggia e potenzialmente criminale, che solo casualmente siamo riusciti a
domare. Noi non siamo, ci dice Brossat, così lontani dal criminale che vogliamo
respingere. Ma è proprio per questo che lo isoliamo di più, con più forza,
riproponendo continuamente questo rito che ci dona la salvezza e ci racconta la
favola della nostra innocenza. Brossat fa questa considerazioni partendo da
avvenimenti che la Francia ha conosciuto, prendendo spunti dalla storia
carceraria, facendo parlare autori come Foucault, Benjamin, Arendt, Levi Strass
e infine dando voce al punto di vista di chi è solitamente muto, di chi il
carcere l’ha vissuto e il cui sguardo deve essere ripreso per non accettare
passivamente solo lo sguardo del poliziotto.
Brevi
Storie di casa nostra
- Il Sindaco di Roma Walter
Veltroni ha nominato Garante delle persone private della libertà personale del
Comune di Roma Luigi Manconi, che si insedierà agli inizi di novembre presso gli
uffici preposti all’interno del XIV Dipartimento del Comune di Roma.
- Anche il Comune di Firenze
avrà un Garante a tutela delle persone private della libertà personale. Lo ha
deciso il Consiglio comunale con l'approvazione all'unanimità della delibera con
cui si istituiscono anche i compiti e le finalità di questo incarico che dovrà
in seguito essere assegnato dal Sindaco. Dopo Roma, Firenze è il primo comune ad
aver istituito il Garante.
- Il 13 dicembre dalle ore 9.00
alle 14.00 presso l’Aula Magna della Facoltà di studi giuridici dell’Università
A. Moro di Bari, si terrà il Convegno Nazionale di Antigone dal titolo “I
diritti umani sono universali: per un difensore civico delle persone private
della libertà personale”.
- Audizione dell’Associazione
Antigone il 30 ottobre presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera
in relazione alla Pdl sul difensore civico nazionale delle persone private della
libertà personale.
- Audizione dell’Associazione
Antigone nei prossimi giorni presso la Commissione Giustizia della Camera in
relazione alla situazione della sanità penitenziaria.
- Patrizio Gonnella,
coordinatore nazionale dell’Associazione Antigone, è stato convocato dalla
Commissione Affari Sociali del Comune di Milano in relazione all’istituzione del
garante delle persone private della libertà personale, l’audizione è prevista il
prossimo 29 ottobre.
- E’ in corso uno sciopero
della fame, su iniziativa dell'associazione Papillon, da parte dei detenuti del
Nuovo Complesso di Rebibbia e di Regina Coeli, insieme ai detenuti di altre 40
carceri italiane. In particolare, i detenuti affetti da Aids nel braccio G14 del
carcere di Rebibbia protestano pacificamente per le loro condizioni di vita
all'interno delle strutture penitenziarie, nonché per richiamare l'attenzione
sulla mancata applicazione della legge sull'incompatibilità carceraria per i
malati gravi. I malati di Aids reclusi nel carcere di Rebibbia sono quasi una
trentina.
- Prevedere reparti riservati
ai detenuti negli ospedali pubblici; costruire rapidamente nuove prigioni
ricorrendo al leasing; trasferire in zone periferiche le carceri oggi situate in
edifici storici dei centri urbani per vendere poi gli edifici liberati dalla
precedente destinazione d’uso ai privati. Questi i punti salienti toccati dal
ministro della Giustizia nel corso del dibattito sulla Finanziaria 2004. Visto
che per Castelli la costruzione di nuovi edifici carcerari è indispensabile per
rendere civile la detenzione, il Guardasigilli non ha esitato a tirare le
orecchie al ministero delle Infrastrutture, che finora si è occupato della
costruzione di nuove carceri con risultati non sempre incoraggianti, visto che
il tempo medio richiesto è di dieci anni. La soluzione prospettata dal ministro
Castelli è stata quella del ricorso alla formula del leasing e la creazione
della già nota ‘Dike Edifica SpA.
- Giovanni Tinebra, direttore
del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, concorde con il ministro
Castelli circa la necessità di “una seria politica di edilizia penitenziaria”,
sostiene che per la realizzazione delle nuove strutture bisogna sbrigarsi.
Intanto l’Amministrazione penitenziaria stessa vorrebbe indietro le vecchie
strutture dell'Asinara e di Pianosa, per “un carcere aperto e senza sbarre”, nel
rispetto dei vincoli ambientali.
- Sebastiano Ardita, direttore
generale dell’area trattamentale del Dap, invece, ha annunciato l’approvazione
di un progetto pilota che interesserà quattro strutture penitenziarie dal
prossimo anno, ma che presto sarà esteso a tutta Italia. Si tratta dell’acquisto
delle attrezzature mediche necessarie per la telemedicina, a fibre ottiche, e
della formazione del personale medico ed infermieristico della polizia
penitenziaria.
- Un detenuto della provincia
di Lecco, che sta scontando una pena di 4 anni e 6 mesi per tentato omicidio,
aveva finalmente ottenuto i tanto sospirati arresti domiciliari. Una volta
lasciato il carcere e giunti davanti all’abitazione dell’interessato, però, gli
agenti che lo scortavano a casa hanno trovato la porta chiusa: non c’era nessuno
ad aspettarlo. Con un rapido dietrofront l’uomo è stato riportato in carcere.
- Un giovane detenuto tunisino,
invece, agli arresti domiciliari in attesa del processo che lo vede coinvolto
per lesioni aggravate e resistenza a pubblico ufficiale, si è presentato alla
vicina caserma dei carabinieri di Alzano Lombardo chiedendo di essere arrestato
per il reato di evasione dagli arresti domiciliari. Processato per direttissima
ha spiegato al Giudice che preferiva stare in galera, piuttosto che sopportare
un giorno di più sua cognata, che viveva nell’appartamento in cui era recluso.
Il giovane è stato assolto dal reato di evasione, ma è stato comunque
accontentato: aspetterà il processo dietro le sbarre del carcere di Bergamo.
Dall’Inghilterra
- E' durata poco la libertà di
Stephen Gough, 44 anni originario dell'Hampshire nel sud dell'Inghilterra,
conosciuto dalla cronaca britannica come ''il nudista girovago'': l'uomo,
appassionato sostenitore del naturismo, è stato arrestato pochi minuti dopo
essere uscito di prigione in quanto passeggiava, appunto, nudo. Gough aveva
pianto disperato in tribunale quando, indossando soltanto un asciugamano in
vita, era stato condannato a 36 giorni di prigione, ma nonostante ciò l'accanito
nudista ha rifiutato di coprirsi quando è stato rilasciato, per cui nel giro di
pochi minuti è stato riportato in cella in un carcere delle Highlands scozzesi,
che l'uomo sta tentando di attraversare a piedi in costume adamitico.
- All’interno del carcere
inglese di Lewes una trentina di detenuti si erano impadroniti di un’intera ala
del penitenziario. L’intervento delle unità speciali di polizia ha messo fine
alla rivolta, le cui ragioni sono da ascrivere alle condizioni di vita
esasperanti all’interno dell’istituto. Il carcere di Lewes, del resto, è stato
più volte criticato nel rapporto annuale del Board of Visitors, una commissione
di sorveglianza indipendente, per l’elevato tasso di suicidi, la diffusione di
droga e le condizioni di vita ‘umilianti, insalubri e degradanti’ dei detenuti. |