RELAZIONE INTRODUTTIVA
Gli
eventi di Napoli, Nizza, Praga, Goteborg e Genova hanno messo in luce il
problema della tutela dei diritti fondamentali delle persone fermate a seguito
delle manifestazioni organizzate in occasione di rilevanti vertici
internazionali.
In
particolare, la considerevole documentazione prodotta anche sulla stampa ha reso
evidente alla larga opinione pubblica il rischio che nell’immediatezza di
operazioni condotte per reprimere manifestazioni ove vi sono episodi di
violenza, le forze di polizia impiegate eccedano nell’uso dei mezzi di
contenzione fino a configurare reali abusi, non rispondano a una ben
individuabile catena di comando, tale da rendere successivamente possibile
l’individuazione di responsabilità, non garantiscano i diritti fondamentali
delle persone fermate.
Questa
situazione oltre a configurarsi come lesiva delle garanzie a sostegno del
diritto di ciascuno a esprimere, nelle forme dovute, il proprio dissenso,
finisce col rivelarsi particolarmente lesiva dell’immagine democratica stessa
degli Stati chiamati a ospitare tali eventi e a fronteggiare possibili
situazioni di protesta.
I
fatti di Napoli e di Genova in particolare hanno evidenziato la necessità di
restituire un ruolo di promozione dei diritti di cittadinanza alle forze
dell’ordine. E’ necessario ricomporre quella cesura provocata da eventi
forti, carichi di violenza e a tratti drammatici. Le forze dell’ordine, tutte,
sia quelle militari che quelle civili, hanno un ruolo fondamentale nella tutela
dei diritti umani, nella prevenzione delle violenze, a garanzia della legalità
interna e internazionale.
Va
ribadito che l’uso della forza deve essere sempre proporzionato e non deve mai
trascendere in comportamenti consistenti in trattamenti crudeli, inumani o
degradanti o addirittura in episodi di tortura.
Esiste
oggi un apparato di norme internazionali poste a protezione dei diritti
fondamentali della persona. Esistono altresì norme a livello regionale europeo
e a livello universale in materia di trattamento delle persone fermate,
arrestate o detenute.
Risalgono
al 1979 le norme presenti nella Risoluzione 34/169 adottata il 17 dicembre del
1979 dall’Assemblea Plenaria delle Nazioni Unite . Esse costituiscono un vero
e proprio codice di condotta per gli appartenenti alle forze dell’ordine.
Poche norme, chiare, sui comportamenti ammessi e quelli vietati, sul fine che
deve ispirare l’azione di polizia, sul ruolo importante che le forze
dell’ordine hanno a protezione dei diritti umani. Un ruolo che li obbliga
esplicitamente a non violare mai quei diritti che loro stessi per mandato
istituzionale devono proteggere. Il codice etico voluto dall’Onu è una sorta
di codice di Ippocrate delle forze dell’ordine, che con il presente ddl si
intende rendere vincolante anche nel nostro paese. Così come i giornalisti e
così come i medici anche coloro che hanno il compito di far rispettare la legge
devono avere un proprio codice etico di condotta a cui ispirarsi. In tal modo le
polizie verrebbero sempre più a configurarsi come garanti della sicurezza dei
diritti dei cittadini e non invece come semplici tutori della sicurezza
pubblica. In tal modo verrebbe recuperato un rapporto fiduciario fra cittadini e
istituzioni.
Nessuno
deve sentirsi sopra la legge, anzi tutti devono avere norme comuni e condivise a
cui ispirarsi nel proprio lavoro di polizia.
Norme dirette alla istituzione di un
codice etico di condotta per gli appartenenti alle forze dell’ordine.
Articolo
1
“Hanno
efficacia vincolante nel nostro ordinamento le norme presenti nella Risoluzione
34/169 adottata il 17 dicembre del 1979 dall’Assemblea Plenaria delle Nazioni
Unite concernente l’emanazione di un codice di condotta per gli appartenenti
alle forze dell’ordine.”
|