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XV rapporto sulle condizioni di detenzione

Insalubri. La salute incarcerata.

Insalubri. La salute incarcerata.

Insalubri. La salute incarcerata.

1024 561 XV rapporto sulle condizioni di detenzione

Rosalba Altopiedi e Daniela Ronco

 

Insalubri. La salute incarcerata.

Lo ‘sguardo competente’ delle relazioni delle Asl redatte ai sensi dell’art. 11 dell’Ordinamento penitenziario

A fronte della nostra richiesta, e dei relativi solleciti, solo alcune ASL hanno inviato quanto richiesto. Abbiamo, infatti, raccolto solo 56 relazioni (riferite agli anni 2015-2018), di queste 17 riguardano gli istituti della Lombardia, 3 quelli dell’Emilia Romagna e uno a testa per il Piemonte, il Veneto, l’Umbria e la Toscana.

A seguito delle significative revisioni introdotte dal Decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 che ha adeguato la normativa italiana sulla trasparenza al modello c.d. FOIA (Freedom of Information Act) prevedendo una nuova figura di accesso civico, il c.d. “accesso generalizzato” viene riconosciuto espressamente anche nel nostro ordinamento il c.d. “diritto alla trasparenza”, ovvero il diritto di essere informati quale espressione della manifestazione della libertà di informazione, diritto sancito a livello costituzionale all’articolo 21.

In ragione di ciò come associazione Antigone abbiamo inviato nell’agosto 2018 una richiesta ai sensi dell’art. 5 comma 2 del Decreto Trasparenza a tutte le ASL nazionali. Si richiedeva di inviare le ultime tre relazioni che semestralmente sono effettuate presso gli istituti penitenziari siti nel territorio di competenza. È questo un obbligo che deriva dall’art. 11 dell’OP (legge 354/1975) che assegnava al Medico Provinciale il compito di visitare almeno due volte l’anno gli istituti penitenziari allo scopo di accertare lo stato igienico-sanitario delle strutture, l’adeguatezza delle misure di profilassi contro le malattie infettive e, più in generale, le condizioni igieniche e sanitarie dei ristretti negli istituti di pena. Insomma si tratta dei documenti ufficiali che certificano lo “stato di salute” degli istituti penitenziari. Come per molte altre competenze questi obblighi sono passati alle attuali ASL, denominate differentemente nelle diverse regioni che si avvalgono del personale dei Dipartimenti di Prevenzione per tale finalità.

A fronte della nostra richiesta, e dei relativi solleciti, solo alcune ASL hanno inviato quanto richiesto. Abbiamo, infatti, raccolto solo 56 relazioni (riferite agli anni 2015-2018), di queste 17 riguardano gli istituti della Lombardia, 3 quelli dell’Emilia Romagna e uno a testa per il Piemonte, il Veneto, l’Umbria e la Toscana. Le risposte ricevute e soprattutto le mancate risposte rappresentano un segnale importante di quanto si debba ancora fare per dare piena attuazione a quello che è un diritto di tutti i cittadini ad essere informati e un dovere delle istituzioni a fornire le informazioni richieste.

È evidente pertanto che le considerazioni che andremo a svolgere sul contenuto di queste relazioni possono al più rappresentare una prima esplorazione di un campo di studio e ricerca che meriterà un approfondimento futuro.

L’analisi delle relazioni restituisce un quadro molto eterogeneo della realtà considerata, sia in ragione delle differenti modalità con le quali le ASL realizzano il loro mandato istituzionale in materia di vigilanza, sia, come abbiamo evidenziato poco sopra, rispetto alla grande disparità nella risposta su base regionale.

In alcuni casi poi, l’impressione è che siano riprese acriticamente le argomentazioni dello staff penitenziario

Il contenuto delle relazioni ispettive. Gli spazi detentivi.

Rispetto al contenuto delle relazioni le differenze sono notevoli. Ci sono relazioni molto dettagliate che si avvalgono di apposite check-list per la verifica delle strutture e delle condizioni di vita all’interno degli istituti, e altre che, al contrario, sono molto scarne nei contenuti e poco formalizzate nelle modalità di redazione.

Da un punto di vista generale, un aspetto che emerge dalla lettura delle relazioni è che il focus delle stesse riguarda in molti casi l’esame delle condizioni strutturali degli istituti, degli spazi comuni come le mense e le cucine o i laboratori interni e la loro rispondenza alle normative in tema di igiene degli alimenti e sicurezza del lavoro, e, più raramente, le camere di pernottamento (spesso visitate a campione). La verifica della normativa in materia di igiene degli alimenti e di sicurezza del lavoro è, ovviamente, una verifica assolutamente pertinente e in linea con le competenze che sono proprie dei dipartimenti di prevenzione delle ASL, tuttavia, in considerazione della particolarità delle strutture sottoposte a verifiche, ci pare uno sguardo un po’ limitato.

Occorre poi rilevare che spesso, anche a fronte di criticità molto serie evidenziate nel corso delle visite ispettive, gli interventi correttivi non sono attuati con la dovuta urgenza. È il caso ad esempio di quanto accertato nel corso del sopralluogo del giugno 2017 presso la casa circondariale di Biella che, con riferimento alla visita svolta nel luglio dell’anno precedente rileva: “anche se alcune delle prescrizioni… del 5 luglio 2016 sono state ottemperate, permangono le gravi criticità… che dovranno essere risolte opportunamente…”(relazione relativa al sopralluogo effettuato presso la casa circondariale di Biella il 30 giugno 2017).

Di maggiore interesse sono quelle relazioni che si soffermano sulla valutazione delle condizioni di vivibilità in rapporto al numero dei presenti (sovraffollamento) e quelle che connettono le carenze igienico-sanitarie delle strutture alle conseguenze sulla salute e al rispetto delle condizioni di vita dei reclusi.

Un aspetto ricorrente in queste relazioni (non diversamente da quanto come osservatori ci capita di rilevare) è il tema del sovraffollamento. Sono indicativi in tal senso i commenti a margine di alcune verifiche ispettive, ad esempio: “Permane… il disagio dei detenuti causato dal sovraffollamento, la maggior parte delle celle previste per un occupante, vengono utilizzate da due ospiti, con problemi evidenti di vivibilità, privacy e di natura igienico-sanitaria, dovuti all’utilizzo del bagno in cella come deposito degli alimenti utilizzati per il sopravitto” (relazione relativa al sopralluogo effettuato presso la casa circondariale di Bologna, il 30 maggio 2018).

In altri casi gli interventi finalizzati a ripristinare idonee condizioni igieniche possono produrre esiti discutibili: “Nei vari reparti di detenzione i muri separatori sono provvisti di sistemi di dissuasione meccanica per cui nei dei passeggi non vi sono tracce di guano di piccione. La situazione nelle aree di svago è nettamente migliorata, in quanto i detenuti sono impossibilitati, a causa delle doppie grate alle finestre, a gettare rifiuti negli spazi sottostanti”(relazione relativa al sopralluogo effettuato presso la casa circondariale di Bologna il 30 maggio 2018, p. 16). In questo caso, infatti, ciò che è considerato un beneficio dal punto di vista sanitario è ottenuto in virtù di una limitazione strutturale (doppie grate alle finestre) che ovviamente impatta sulle condizioni di vivibilità degli spazi ristretti, in termini di minore luminosità/areazione/visibilità e che viola gli standard internazionali richiamati dal Comitato Europeo per la Prevenzione della tortura.

Si tratta di carenze che riguardano prevalentemente le condizioni di manutenzione delle strutture che si presentano, in molti casi, non rispondenti a standard di vita ritenuti accettabili. Lo stralcio seguente ne è un esempio chiaro: “L’edificio si presenta in condizioni nel complesso analoghe a quelle già rilevate nei precedenti sopralluoghi, nei quali sono state evidenziate carenze riconducibili ad aspetti di ordine manutentivo (es. intonaci scrostati, piastrelle rotte, tracce d’umidità, impianti tecnologici in parte mal funzionanti, necessità di interventi di pulizia straordinaria in alcune zone della struttura), ovvero a limiti strutturali specifici dell’edificio medesimo (es. mancanza spogliatoi docce per detenuti, ridotto dimensionamento delle aule scolastiche). Occorre rilevare, a tale proposito, che l’edificio, risulta essere stato realizzato nel secolo XIX con successivi ampliamenti. La vetustà dell’edificio, pur in presenza di interventi di manutenzione ordinaria continui, non concorre certo a rendere tale struttura perfettamente consona alla destinazione specifica” ”(relazione relativa al sopralluogo effettuato presso la casa circondariale di Varese il 30 maggio 2016, p. 1).

In alcuni casi poi, l’impressione è che siano riprese acriticamente le argomentazioni dello staff penitenziario:A conclusione del sopralluogo, si è apprezzata la gestione della Direzione penitenziaria a tutela della salute della popolazione carceraria e del personale ivi operante” Questa frase ad esempio è posta a chiusura di tutte e tre le relazioni redatte da personale del dipartimento di prevenzione dall’ATS Brianza riferite alla visite presso la casa circondariale di Lecco.

L’organizzazione dei servizi sanitari

In molte relazioni, un focus specifico è dedicato alla verifica dell’organizzazione dell’assistenza sanitaria interna al carcere (operatori e servizi disponibili, adeguatezza dei locali, misure di profilassi, ecc.). Anche in questo caso le difformità sono molte. Vi sono accertamenti che si limitano alla valutazione dei locali destinati alle attività di assistenza sanitaria e/o al rapporto tra personale sanitario e detenuti, ed altre che approfondiscono alcune questioni altamente sensibili in un contesto come quello carcerario. È il caso ad esempio delle verifiche effettuate negli anni 2017-2018 presso la casa circondariale di Modena. Gli accertamenti eseguiti dall’AUSL hanno riguardato tra l’altro l’organizzazione degli screening sia per le malattie infettive che quelli inerenti la prevenzione di patologie oncologiche (quali il PAP Test e la mammografia), sia programmi di educazione sanitaria relativi alla prevenzione delle malattie infettive e all’informazione sull’adozione di corretti stili di vita. Sulla stessa linea le indagini ambientali condotte per valutare il rischio da legionellosi effettuata il 13 dicembre 2016 presso la casa circondariale di Como: “Il controllo programmato in materia di igiene e sicurezza ha riguardato un’indagine per l’intera struttura carceraria prendendo in esame l’impianto idrico della struttura stessa. … Valutati gli esiti dovranno essere attuati gli interventi preventivi come a suo tempo già indicato (nota di questo Dipartimento prot. 88708 del 3/12/2010)”.

Dall’analisi delle relazioni a nostra disposizione, emerge pertanto un quadro di criticità, anche gravi, soprattutto dal punto di vista strutturale che conferma quanto evidenziato nelle visite che eseguiamo in qualità di osservatori. Sono molto diffuse le carenze dal punto di vista igienico-sanitario con ricadute importanti sulle condizioni di salute e vivibilità delle persone ristrette negli istituti. Le verifiche che fanno riferimento (poche in realtà) a un concetto molto ampio di salute (dignità della persona, finalità rieducativa della pena), non sembrano produrre cambiamenti significativi sulla materialità del carcere e, a volte, si ha l’impressione che le Asl facciano proprie le riflessioni del personale penitenziario.

In alcuni casi poi, l’impressione è che siano riprese acriticamente le argomentazioni dello staff penitenziario

“In carcere è tutto sanitario”

In carcere tutto è sanitario” è un concetto che a molti di noi osservatori è stato spesso riportato dai vari operatori (penitenziari e sanitari) con cui abbiamo occasione di parlare durante le visite effettuate negli istituti penitenziari italiani.

Il sovraffollamento, le condizioni delle strutture, le violazioni di svariati diritti (la privacy, l’accesso all’aria aperta e alle attività sportive o al lavoro, l’affettività, ecc.) sono tutti aspetti che riguardano, in una qualche misura, la salute della persona detenuta. Tutti gli aspetti della quotidianità detentiva, in altre parole, impattano sulla salute e sul benessere/malessere personale. Ed è sulla base di questa considerazione che gran parte dei dati raccolti durante le visite ci consentono di avvalorare l’ipotesi dell’insalubrità dell’istituzione carceraria e della sua patogenicità. Che il carcere produca o acuisca la malattia e il malessere non è una novità (Gallo Ruggiero, 1989; Gonin, 1994; Mosconi, 2005; Esposito, 2007) e attraverso l’attività di monitoraggio abbiamo potuto osservarne alcuni degli effetti.

Il tasso di affollamento medio negli istituti visitati è pari al 119,4%, ma con picchi che sfiorano o superano il 200% (in particolare a Taranto, Como, Brescia Canton Mombello, Busto Arsizio e Grosseto).

Permangono, anche in conseguenza del sovraffollamento, varie criticità legate alle condizioni strutturali. Nel 18% degli istituti visitati ci sono celle in cui non sono garantiti i tre metri quadri a persona; nel 7,2% degli istituti il riscaldamento non funziona; in un terzo degli istituti (33,7%) manca l’acqua calda nelle celle, mentre nella maggioranza delle celle (51,8%) continua a non esserci la doccia. Nel 4,8% degli istituti il wc non è in ambiente separato.

Le condizioni di vita negli istituti visitati nel 2018

Fonte: Osservatorio Antigone 2018

Sono garantiti i 3mq in tutte le celle WC in ambiente separato in tutte le celle Riscaldamento funzionante in tutte le celle Acqua calda in tutte le celle Doccia in tutte le celle E’ garantito a tutti un accesso settimanale alla palestra Le celle sono aperte almeno 8 ore nelle sezioni di media sicurezza
SI 59 80 61 45 35 52 63
NO 16 4 6 30 46 24 21
ND 10 1 18 10 4 9 1

la giornata tipo della persona detenuta è scandita da attività svolte per “ammazzare” il tempo piuttosto che per “sfruttarlo”

Permane una situazione piuttosto variegata anche per quanto riguarda l’apertura delle celle per almeno 8 ore al giorno, indicatore, quest’ultimo, di una migliore vivibilità degli spazi rispetto al modello delle carceri chiuse per almeno 20 o 22 ore al giorno, che era la situazione più ricorrente fino al 2013, prima che la Corte Europea dei Diritti Umani, con la sentenza Torreggiani, sollecitasse cambiamenti strutturali e sistematici della gestione della quotidianità detentiva. Tali cambiamenti hanno tuttavia lasciato fuori una quota significativa di sezioni detentive: in circa un quarto degli istituti visitati (24%), esistono sezioni in cui le celle non sono aperte per almeno 8 ore al giorno. Non si registrano peraltro significative differenze tra media e alta sicurezza al proposito.

Il modo in cui viene impiegato il tempo della detenzione è un altro indicatore importante della vivibilità degli istituti durante la carcerazione. Spesso infatti, la giornata tipo della persona detenuta è scandita da attività svolte per “ammazzare” il tempo piuttosto che per “sfruttarlo”  (Matthews, 1999). Negli istituti visitati solo un terzo delle persone detenute lavora (il 28,8% alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e solo il 4,2% alle dipendenze di altri soggetti), il 4,6% segue dei corsi di formazione professionale (nel 38,6% degli istituti non risultano attivati corsi di formazione professionale) e il 26,5% è coinvolto in un qualche corso scolastico. Non tutte le persone detenute hanno inoltre agevolmente accesso alle attività sportive: nel 27,7% degli istituti visitati non tutti hanno un accesso settimanale alla palestra, mentre nel 34,9% non tutti hanno accesso settimanale al campo sportivo.

Una lettura complessiva di questi dati fornisce una fotografia di una quotidianità spesso connotata da sedentarietà, immobilismo, ozio forzato, che contribuiscono a rendere il tempo della detenzione ben più painful e afflittivo rispetto a quanto la mera privazione della libertà personale di per sé comporti.

I dati sugli eventi critici costituiscono l’estrema conferma di un malessere generalizzato presente negli istituti di pena visitati: nei 12 mesi precedenti alle visite effettuate si sono registrati 25 suicidi in 83 istituti, a cui occorre aggiungere 36 decessi per cause diverse dal suicidio e gli altissimi tassi di autolesionismo, che arrivano a sfiorare quasi il 50% nella casa circondariale di Pisa e a superare il 30% negli istituti di Ascoli Piceno, Civitavecchia, Pesaro, Campobasso, Cassino, Castelfranco Emilia e Vigevano. Che suicidio e autolesionismo in carcere siano frutto non solo di malesseri individuali ma attribuibili in gran parte anche al contesto e più specificatamente al “clima” dell’istituto è questione ampiamente affrontata dalle ricerche sociologiche di stampo ambientale sul tema (Liebling, 1992; Boraschi, Manconi, 2006; Buffa, 2012; Miravalle, Torrente, 2016), che si contrappongono alle letture più marcatamente medico-psichiatriche. Ciononostante nel 14,5% degli istituti visitati continua a mancare un protocollo per la prevenzione dei suicidi. Così come continuiamo a registrare l’assenza della cartella clinica informatizzata (che manca nel 63,9% degli istituti visitati) e di spazi adeguati per detenuti disabili (assenti nel 51,8% dei casi).

Il personale medico presente

Il numero settimanale di ore di presenza dei medici per 100 detenuti varia considerevolmente tra i vari istituti visitati, a conferma della grande disomogeneità dell’offerta del servizio sanitario tra regioni e tra territori di competenza delle singole Aziende Sanitarie. Se la presenza media è pari a 67,8 ore a settimana (per 100 detenuti), in alcuni istituti tale dato risulta ben più alto (Ascoli Piceno: 258,5; Arezzo: 232,1; Chiavari: 204,7; Pistoia: 197,7; Gorgona: 176,8) ma in altri significativamente e, in maniera piuttosto preoccupante, più basso (Napoli Poggioreale: 1; Rimini: 9; Spoleto: 10,1; Prato: 12,1; Perugia: 13,3).

Ampia disomogeneità si registra anche rispetto alle ore di presenza di psicologi e psichiatri. Se i livelli medi di presenza segnalati sono comunque piuttosto ridotti in entrambi i casi (psicologi presenti per 13,6 ore a settimana per 100 detenuti, psichiatri per 8,8 ore a settimana per 100 detenuti), registriamo anche in questo caso picchi positivi e negativi.

Per quanto riguarda le presenze di psicologi, i 5 istituti visitati con il numero più alto di ore di presenza settimanale per 100 detenuti sono Vigevano (54,2), Rimini (51,3), Fermo (42,4), Noto (37), Arezzo (35,7), mentre tra gli istituti con meno ore di presenza figurano: Frosinone (0,2), Monza (0,6), Spoleto (1,8), Sassari (1,9) e Reggio Calabria (2,1).

Per quanto riguarda gli psichiatri, invece, i 5 istituti visitati con il numero maggiore di ore di presenza per 100 detenuti sono Rimini (41), Barcellona Pozzo di Gotto (36,7), Arezzo (35,7), Reggio Emilia (32,1) e Pistoia (18,6), mentre tra gli istituti con meno ore di presenza figurano Ancona (0,3), Vigevano (0,5), Frosinone (0,6), Larino (1), Tolmezzo (1,1).

La diffusione del disagio psichiatrico in carcere è confermata dai dati raccolti su terapie e osservazioni. Oltre un quarto (il 26%) dei detenuti presenti negli istituti visitati assume una terapia psichiatrica, mentre circa il 4%  risulta essere stato sottoposto a osservazione psichiatrica nell’anno precedente alla visita effettuata.

Riferimenti bibliografici

Boraschi Andrea, Manconi Luigi (2006), “Quando hanno aperto la cella era già tardi perché…”. Suicidio e autolesionismo in carcere 2000-2004, Rassegna italiana di Sociologia, 1, pp. 117-150.

Buffa Pietro (2012), Il suicidio in carcere: la categorizzazione del rischio come trappola concettuale ed operativa, in Rassegna penitenziaria e criminologica, XV, 1, pp. 7-118.

Esposito Maurizio (2007), a cura di, Malati in carcere. Analisi dello stato di salute delle persone detenute, Franco Angeli, Milano

Gallo Ermanno, Ruggiero Vincenzo, (1989), Il carcere immateriale. La detenzione come fabbrica di handicap, Edizioni Sonda, Torino

Gonin Daniel (1994), Il corpo incarcerato, Edizioni Gruppo Abele, Torino

Liebling Alison (1992), Suicides in Prison, Routledge, London.

Matthews Roger (1999), Doing Time. An Introduction to the Sociology of Imprisonment, Palgrave, London

Miravalle Michele, Torrente Giovanni (2016), La normalizzazione del suicidio nelle pratiche penitenziarie. Una ricerca sui fascicoli ispettivi dei Provveditorati dell’Amministrazione penitenziaria, in Politica del Diritto, n. 1-2, pp. 217-258.

Mosconi Giuseppe, (2005), Il carcere come salubre fabbrica della malattia, in G. Concato, G., S. Rigione, a cura di, Per non morire di carcere, FrancoAngeli, Milano

Ronco Daniela (2018), Cura sotto controllo. Il diritto alla salute in carcere, Carocci, Roma