Il difensore civico di Antigone

Il difensore civico di Antigone

1024 541 Un anno in carcere - XIV rapporto sulle condizioni di detenzione a cura di Associazione Antigone

Giulia Cianchini, Elia De Caro, Matteo Falcone, Alessandro Monacelli, Stella Noviello, Sara Pantoni, Claudia Pomata, Claudia Tozzi

La regola e la pratica – La quotidianità detentiva vista attraverso la lente dei casi sottoposti al Difensore Civico di Antigone

Il Difensore Civico delle persone private della libertà di Antigone nasce nel 2008 nella persona di Stefano Anastasia al quale è subentrata, nel 2011, Simona Filippi. Attualmente il ruolo di Difensore Civico è svolto da Elia De Caro e dal suo staff. Un gruppo di volontari, composto da avvocati e studenti universitari, si riunisce tutti i venerdì per coadiuvare il Difensore nello studio dei casi.

L’ufficio in questione è stato creato al fine di tutelare i diritti delle persone private della libertà che contattano l’Associazione, personalmente o tramite familiari, illustrando problematiche relative all’esecuzione della pena.

Le richieste riguardano i temi più disparati: trasferimenti ritenuti ingiusti, accesso negato alle cure mediche, sostegno per avere una misura alternativa, condizioni di detenzione inumane e degradanti, denuncia di violenze. Ogni singola segnalazione viene approfondita per decidere come procedere.

In particolare, sono numerose le richieste che provengono da parte di chi, detenuto in un luogo spesso assai distante dalla residenza dei propri familiari, vorrebbe ottenere un trasferimento in un istituto che consenta di svolgere regolari colloqui con i propri cari. È del resto evidente che la detenzione in Regioni lontane da quella di origine implica una rilevante difficoltà negli spostamenti e rende di fatto impossibile coltivare adeguatamente le relazioni familiari.

Vengono altresì segnalate richieste di trasferimento in istituti ove è possibile svolgere attività lavorative qualificanti e equamente remunerate, o ancora in istituti ove è possibile svolgere degli studi a livello di scuole superiori o di corsi universitari.

Invero, in tema di trasferimenti mette conto segnalare che non di rado l’Amministrazione competente ad esaminare le istanze di trasferimento non risponde entro i termini fissati dalla Circolare del 20.02.2014 N. 3654/6104. Con tale documento si stabilisce che l’Amministrazione dovrebbe fornire una risposta all’istanza di trasferimento entro il termine ordinatorio di 60 giorni e comunque non oltre il termine perentorio di 180 giorni.

Per vero, abbiamo notato che le segnalazioni più ricorrenti attengono alla violazione del principio di territorialità della pena e alla violazione del diritto alla salute. Infatti, nel 2017 i casi seguiti in merito alla violazione del principio di territorialità fissato ex art. 42 O.P. sono stati 27, mentre solo nel 2018 sono già pervenute 23 richieste di aiuto relative a tale problematica.

Sono stati invece 15 i casi seguiti nel 2017 che riguardavano il diritto alla salute e la possibilità di ricevere adeguate cure in ambito penitenziario, con una crescente domanda in relazione alla salute psichica.

Al fine di illustrare in maniera chiara l’attuale stato dei diritti dei detenuti, di seguito riportiamo brevi report redatti da alcuni dei volontari dello Staff del Difensore Civico in cui si descrivono segnalazioni che potrebbero arrivare da qualunque carcere italiano. Storie che costituiscono la patologia e non la normalità di un sistema, ma storie vere, in carne ed ossa.

L'adeguatezza degli spazi

Nelle istituzioni penitenziarie le manifestazioni psicopatologiche sono particolarmente frequenti. Esse possono essere la continuazione o l’aggravamento di disturbi psichici preesistenti oppure rappresentare una risposta di tipo psicotico ad eventi particolarmente traumatizzanti dal punto di vista psicologico, quali l’entrata in carcere, l’attesa di giudizio, la previsione di condanna o la sentenza stessa.

Tali problematiche sono spesso accompagnate da esigenze di carattere pratico. A riguardo, raccontiamo brevemente la storia di detenzione di Arnaldo (nome di fantasia), ristretto da tre anni in una Casa Circondariale.

Il Sig. Arnaldo, nel giugno del 2017, scriveva una lettera al Difensore Civico di Antigone, nella quale chiedeva assistenza per vedersi garantita l’allocazione all’interno di una cella singola, come già aveva disposto il Magistrato di Sorveglianza competente.

Seppur per alcuni difficilmente comprensibile e non in linea con il sentito trinomio “carcere-solitudine-depressione”, tale richiesta è una delle più frequenti in ambito penitenziario, soprattutto per detenuti come il Sig. Arnaldo affetti da disturbi psichici di vario genere.

Il sovraffollamento e la mancanza di strutture adeguate impedivano, tuttavia, di collocare in cella singola il Sig. Arnaldo, che al gennaio 2018 risultava ancora ristretto con altri detenuti.

Egli, pertanto, decide di scrivere al Garante nazionale dei diritti delle persone detenute, al direttore dell’istituto, al Magistrato di Sorveglianza, nonché nuovamente al Difensore Civico di Antigone.

Il Magistrato di Sorveglianza, attesa la delicata situazione, dispone l’allocazione in cella singola del Sig. Arnaldo, anche al fine di prevenire possibili atti di discontrollo degli impulsi. In alternativa, si legge nella disposizione giudiziaria, se questioni logistiche e/o di sicurezza dovessero impedire l’esecuzione del provvedimento, il detenuto dovrà necessariamente essere trasferito presso altro istituto, ove le sue esigenze (di salute) possano essere soddisfatte.

Il caso è stato preso in carico dallo Staff che ha proceduto a redigere un’istanza di ottemperanza, finalizzata a dare attuazione al surriferito provvedimento del Magistrato. Ad oggi purtroppo non sono ancora pervenute notizie in merito alla vicenda che appare di estrema gravità, a causa del delicato quadro psichico del detenuto.

Arnaldo infatti ha più volte espresso la volontà di farla finita, di sottrarsi una volta per tutte allo strazio della sua psiche e dell’ambiente in cui è destinato a vivere; proprio per il suo “urlo disperato”, il cosiddetto “rischio suicidario”, forse il Sig. Arnaldo verrà accontentato e allocato in una cella singola.

La detenzione e il diritto alla salute

La salute, diritto fondamentale tutelato all’art. 32 della Costituzione italiana, deve essere garantito a tutti gli individui, senza eccezione. Nel caso di soggetti sottoposti alla privazione della libertà personale il rispetto del diritto alla salute si inserisce nella tutela più ampia assicurata ai detenuti e agli internati in forza dell’art. 27, comma 3, della Costituzione che prevede il divieto di trattamenti inumani e degradanti.

Nel nostro lavoro di volontariato, la garanzia di questo diritto è centrale e ricorrente. Infatti molto spesso arrivano segnalazioni da parte di detenuti che lamentano la mancanza di un’adeguata assistenza sanitaria nelle strutture penitenziarie, dovuta, si afferma, ad una carenza di personale e di strumentazioni necessarie a prestare le opportune cure.

Nello specifico, occorre illustrare la storie di due detenuti, emblematiche di questa situazione.

Un primo caso è quello del Signor Felice (nome di fantasia), che ci contatta a seguito di un trasferimento per raccontarci quello che lui stesso ha definito “un incubo”. Nelle lettere inviate si descrivono episodi di violenza a cui avrebbe assistito nel precedente penitenziario che hanno fortemente inciso sul piano psicologico e aggravato la sua salute già precaria.

Il detenuto infatti versa in una situazione di salute molto delicata, poiché risulta affetto da gravi problemi cardiaci e di deambulazione. Per questi motivi avrebbe bisogno sia di visite cardiologiche di controllo, che non vengono effettuate, sia di prestazioni fisioterapiche, necessarie per riprendere la corretta funzionalità dell’arto.

Invero, a causa di carenze strutturali, non è possibile effettuare i cicli di fisioterapia nell’istituto ove attualmente si trova il detenuto, ragione per cui i medici gli hanno fornito un opuscolo con degli esercizi da fare nella cella. La soluzione peraltro appare impraticabile atteso che la superficie della cella, destinata ad accogliere due detenuti, appare insufficiente anche a causa del mobilio che si trova all’interno.

Un altro caso interessante da cui è possibile evincere le problematiche sopradette, riguarda il Signor Achille (nome di fantasia), il quale ci ha contattato per chiedere aiuto in merito al suo delicato quadro clinico. In particolare ci riferisce di essere costretto su una sedia a rotelle poiché invalido al 100% e di avere gravi patologie renali.

Per questi motivi necessiterebbe di assistenza specifica ed adeguata, che invece non viene prestata per una totale mancanza di cure, nell’indifferenza del personale medico.

Tutto ciò, seppur già sufficiente a tracciare un quadro preoccupante, è stato aggravato da un episodio specifico: il detenuto lamentava dei forti dolori addominali e renali, dovuti a un’operazione precedente al suo ingresso in carcere, e per questo si recava in infermeria. Qui sarebbe stato visitato approssimativamente da un infermiere che non prescriveva le dovute cure. In seguito a tali mancanze, il detenuto ha avuto un blocco renale.

Dal quel momento, il detenuto ha frequentemente necessità di mettere il catetere, operazione che deve svolgere autonomamente, in condizioni igienico sanitarie precarie, che lo espongono al rischio di infezioni o ferite.  

Alla luce di tale sommaria analisi dei casi analizzati, ne deriva un quadro critico e allarmante. Si ravvisano infatti palesi violazioni dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione e, conseguentemente, dei diritti previsti dalla legge sull’Ordinamento Penitenziario.

A leggere le segnalazioni che giungono numerose dagli istituti di pena presenti in tutta Italia, si ha l’impressione di assistere ad un evidente svilimento di quanto previsto dall’art. 1 della Legge sull’Ordinamento Penitenziario, il quale impone che il trattamento penitenziario debba essere conforme ad umanità e assicurare il rispetto della dignità della persona. Tale disposizione risulta essere violata ogni volta che le necessarie cure vengano negate o ritardate.

La pena nella pena

Sono numerose le segnalazioni che pervengono al nostro Ufficio e dalle stesse emerge sempre un carattere ricorrente indipendentemente dalla tipologia della richiesta: quello di sentirsi trascurati e sottoposti ad una pena ulteriore a quella della detenzione ovvero un ridotto diritto di accesso ai diritti: da quello della salute a quello al lavoro a quello all’unità familiare.

In tali casi il nostro ufficio provvede a inviare richieste al DAP o ai provveditorati dell’Amministrazione penitenziaria sollecitando l’adozione di provvedimenti o una risposta alle varie richieste dei detenuti, oppure predisponiamo dei modelli di istanza di trasferimento per i detenuti aiutandoli ad individuare le strutture penitenziarie più prossime alle loro famiglie o ove ricevere adeguate cure o svolgere attività lavorative o di studio, inviamo segnalazioni alle Autorità Garanti in relazione a segnalazioni di maltrattamenti, predisponiamo dei modelli di ricorso per la detenzione inumana e degradante e i rimedi compensativi di cui all’art 35 ter O.P., valutiamo le condizioni di salute con volontari medici al fine di comprendere si vi sia la possibilità di percorsi alternativi al carcere ed in tali casi ci interfacciamo con i difensori delle persone che ci inviano le segnalazioni.

Nell’ultimo anno aumentano le segnalazioni relativi al disagio psichico di molti detenuti ed alla carenza di adeguati interventi di riabilitazione cura piuttosto che di contenimento per tali persone.

Di converso segnaliamo con favore l’intervenuto adeguamento delle mercedi per il lavoro penitenziario che sta contribuendo, al di là della costante difficoltà di accesso allo stesso, a migliorare le condizioni economiche dei detenuti e delle loro famiglie.

Talvolta assistiamo anche al racconto di episodi più gravi quali maltrattamenti subiti o omissioni da parte dell’Amministrazione che concretano delle vere e proprie lesioni personali o integrano l’imposizione di trattamenti inumani e degradanti.

In tali casi si sta rivelando preziosa l’istituzione sempre più capillare di Autorità Garanti delle persone private della libertà e dell’istituzione a livello nazionale del garante dei detenuti, istituzioni con le quali stiamo predisponendo dei protocolli di collaborazione al fine di rendere più fluida la segnalazione di casi dove appare necessario un approfondimento e un intervento.

Va detto che in questi anni l’Amministrazione penitenziaria ha fatto sensibili passi in avanti nel cercare di garantire migliori condizioni di vita ai detenuti e diversi sono stati gli interventi legislativi che han provato a ridurre il ricorso al carcere e a riportare il numero dei detenuti ad un livello compatibile con la capienza degli Istituti.

Aspetto questo che assume centrale importanza perché come segnalato nel nostro precedente rapporto del 2017 il sovraffollamento comporta l’acuirsi dei problemi dell’istituzione penitenziaria diminuendo le possibilità dei detenuti di avere accesso al lavoro ed aumentando i tempi con cui si ha una risposta alle proprie richieste in tema di salute e di accesso alle misure alternative e ad altri benefici penitenziari.

Ciò in quanto all’aumento dei detenuti non corrisponde un aumento delle dotazioni finanziarie e delle risorse umane destinate agli istituti e la carenza di personale e di risorse rimane un punto critico del sistema carcere, spesso nel nostro lavoro di volontariato ci imbattiamo in frequenti casi dove la risposta o meglio la ragione del mancato rispetto di alcuni diritti della popolazione detenuta viene attribuito alla carenza di risorse, di spazi e di personale.

Un “vorrei ma non posso” che si fa fatica ad accettare soprattutto in una stagione che si era aperta con ottimi auspici con l’istituzione degli stati generali dell’esecuzione penale e che si avvia ad una conclusione con l’auspicabile approvazione di una piccola parte della delega sull’esecuzione penitenziaria.

Spiace notare che sia scomparso il tema dell’affettività ma comunque l’approvazione dei decreti comporterebbe un innalzamento delle tutele della popolazione detenuta e di chi lavora in carcere e non frustrerebbe le attese e speranze degli stessi.

In ogni caso continueremo a volgere la nostra attività cercando di non concentrarci solo sulla singola segnalazione ma cercando anche di inserirla all’interno delle dinamiche che attraversano l’istituzione carcere cercando di dare una risposta alle esigenze del singolo e nel contempo di intravedere le dinamiche che attraversano il carcere al fine di individuare possibili interventi di miglioramento e di effettiva tutela della dignità umana e realizzazione della finalità rieducativa che la nostra Costituzione assegna alla pena.