"Oltre il virus" è il titolo del XVII Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione che presenteremo giovedì 11 marzo alle ore 11.00 in diretta sulla nostra pagina facebook e il nostro canale youtube.
Il Covid-19 ha colpito duro anche il sistema penitenziario. Abbiamo assistito a migliaia di contagi, sia tra i detenuti che gli operatori; allo scoppio di focolai; ad alcuni decessi. La pandemia ha messo in risalto tutte le criticità che da tempo denunciavamo. Ha isolato ancora di più il carcere dal resto della società. Gli sforzi delle istituzioni, come ovvio che sia, si sono concentrati in questa fase sul contenimento del coronavirus. Tuttavia bisogna guardare oltre il Covid-19. Con la sua scomparsa, che ci auguriamo avverrà presto, anche grazie alla somministrazione dei vaccini, non spariranno i problemi del sistema penitenziario e la pandemia deve rappresentare, in questo senso, l'occasione per non tornare indietro.
Parteciperanno: Bernardo Petralia, Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria; Gemma Tuccillo, Capo Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità; Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale.
Questo articolo è stato pubblicato nell'inserto speciale per i 30 anni di Antigone, all'interno del manifesto del 17 febbraio 2021.
La nostra giustizia penale è classista: nelle carceri ci sono tossicodipendenti immigrati e condannati per reati di strada. Il diritto penale - almeno luogo dell’uguaglianza davanti alla legge - è diventato il luogo della massima disuguaglianza
di Luigi Ferrajoli
Fu Rossana Rossanda a decidere il nome. Perché Antigone?
Perché quel nome alludeva al punto di vista esterno – il punto di vista della giustizia, della morale e della politica – con cui intendevamo guardare alle durezze e alle iniquità del diritto penale, alle involuzioni inquisitorie dei processi e alle condizioni di illegalità delle nostre carceri. Allora, alla nascita della prima serie della rivista – nel 1985, sei anni prima della nascita dell’Associazione, nel 1991 – la nostra critica si rivolgeva alla legislazione e alla giurisdizione d’eccezione, che in quegli anni avevano ridotto il già debole sistema delle garanzie del corretto processo.
Il nostro richiamo ad Antigone si identificava perciò con l’opzione per il garantismo penale contro le degenerazioni indotte dall’emergenza del terrorismo e manifestatesi nelle leggi eccezionali e in taluni grandi processi di stampo inquisitorio, a cominciare da quello del 7 aprile contro l’Autonomia operaia.
Si trattava di una battaglia in difesa delle garanzie penali e processuali proprie dello stato di diritto. Ed è sintomatico dell’arretratezza del nostro sistema politico il fatto che quella battaglia, puramente liberale, fosse condotta da quella che allora era la sinistra cosiddetta estrema.
Ma l’Antigone che Rossana volle come nome della nostra rivista e alla quale dedicò, proprio in quegli anni, uno splendido saggio, simboleggiava molto di più.
Le parole di Mario Draghi, pronunciate oggi alla Camera dei Deputati, rappresentano un importante segnale di attenzione verso il mondo penitenziario che, nell'ultimo anno, ha vissuto momenti molto difficili a causa dei provvedimenti adottati per rispondere all'emergenza Covid. Provvedimenti che hanno portato ulteriori chiusure in un luogo di per sé già chiuso e comportato, di conseguenza, un aggravamento della pena detentiva.
Non è scontato che un Presidente del Consiglio tratti di questo tema durante un dibattito sulla fiducia, annunciando l'intenzione di riservare particolare attenzione al mondo penitenziario. In particolare Draghi ha sostenuto come non dovrà essere trascurata la condizione di tutti coloro che lavorano e vivono nelle carceri, spesso sovraffollate ed esposte a rischio e paura del contagio e particolarmente colpite dalla funzione necessarie a contrastare la diffusione del virus.
Un'apertura importante dunque che, insieme alla nomina di Marta Cartabia al Ministero della Giustizia, ci sembra di buon auspicio affinché la dignità umana e l'idea di una giustizia non vendicativa possano essere il faro che guiderà l'operato del nuovo governo. E' importante che la giustizia ritrovi quella mitezza che dovrebbe caratterizzarla.
10 agenti di polizia penitenziaria del carcere di Ranza a San Gimignano sono stati condannati per tortura e lesioni aggravate in concorso. Per loro una pena che va dai 2 anni e 3 mesi ai 2 anni e 8 mesi.
"E' la seconda volta in poche settimane (il primo caso riguardava un agente in servizio nel carcere di Ferrara) che i giudici applicano la legge per la quale Antigone ha combattuto vent'anni per ottenerla e che, dal 2017, punisce questo crimine contro l'umanità", dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
L'episodio oggetto delle indagini e del processo si è tenuto nell'ottobre 2018 nel carcere toscano. 5 agenti penitenziari erano stati rinviati a giudizio lo scorso mese di novembre e per loro si aspetta il rito ordinario in un procedimento nel quale Antigone è costituita parte civile. Durante quella stessa udienza era stato giudicato, con rito abbreviato, un medico del carcere, condannato a 4 mesi di reclusione per rifiuto di atti d'ufficio, per non aver visitato e refertato la vittima.
"Ricordiamo l'ex Ministro dell'Interno Matteo Salvini in visita fuori dal carcere di San Gimignano per portare solidarietà agli agenti della polizia penitenziaria all'epoca indagati. Chiediamo oggi, alla luce di queste condanne, che Salvini chieda scusa alle vittime e alla giustizia italiana" conclude Gonnella.
Questo articolo è stato pubblicato nell'inserto speciale (che puoi leggere qui) che il manifesto ha pubblicato il 17 febbraio 2021, in occasione del 30° compleanno della nostra associazione.
Giustizia. Nessuno, giudice o custode, ha nella propria disponibilità la dignità e i diritti fondamentali delle persone arrestate o detenute. Ci disse un capo dell’amministrazione penitenziaria: «La tortura sta nel terzo mondo». Poi ci furono: carcere di Sassari e Global Forum di Napoli, scuola Diaz e Bolzaneto... e tanti fatti di «cronaca».
di Mauro Palma, Stefano Anastasia, Patrizio Gonnella
Ha ancora senso, dopo trent’anni, interrogarsi sull’intuizione che si ebbe nel 1991 quando si decise di dar vita a un’associazione volta alla tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale. Quel che è accaduto negli ultimi tre decenni ci racconta di quanto quell’intuizione sia servita a controbilanciare la progressiva esondazione delle politiche criminali e, più genericamente, repressive.
I numeri della popolazione detenuta sono un indice di questa presenza ingombrante: se nel ‘91 i detenuti erano poco più di 30 mila, oggi – nonostante le scarcerazioni dovute all’emergenza pandemica in corso – sono oltre 53 mila, avendo nell’arco del trentennio quasi raggiunto il picco dei 70 mila. E nel frattempo si è moltiplicata per dieci l’area penale esterna, senza però che questo aumento abbia parallelamente scalfito la crescita della pena detentiva e, quindi, i numeri del carcere.
Sono passati trent’anni lungo i quali abbiamo assistito e fatto opposizione a una diffusa deriva securitaria.
Mentre con sguardo miope si osservava estasiati, sia da destra che da sinistra, il modello della zero tolerance proposto oltreoceano dall’allora sindaco di New York Rudolph Giuliani, Antigone si affidava a un’ostinata razionalità affinché non si trascinasse nella questione criminale ciò che avrebbe dovuto avere solo ed esclusivamente rilevanza sociale: l’immigrazione, la povertà diffusa, l’uso di sostanze stupefacenti. Intellettuali che «si baloccano con Cesare Beccaria»: così ci siamo sentiti qualificare su qualche giornale mainstream quando contrastavamo uno dei tanti pacchetti sicurezza che se la prendeva con i lavavetri al grido che i rumeni sono tutti delinquenti. All’epoca Rudolph Giuliani andava di moda, era considerato un totem. Oggi è trattato come l’avvocato pazzo di Trump.
Noi siamo invece rimasti fedeli a quell’opzione garantista che sa scorgere le possibili derive del potere di punire.
Il prossimo 18 febbraio la nostra associazione compie 30 anni. Avremmo voluto festeggiare questo anniversario insieme alle persone che in questi tre decenni hanno attraversato e incrociato la nostra strada. Purtroppo la pandemia in corso ci impedirà di farlo come avremmo voluto, di persona. Tuttavia ci teniamo a non perdere l'occasione di stare insieme.
Per questo, abbiamo deciso di spostarci su Zoom, per un grande brindisi collettivo ad Antigone. Saremo felici di avere con noi le persone che hanno accompagnato dall’interno il percorso della nostra associazione, ma anche le tante persone che ci hanno seguiti da fuori e che negli anni hanno apprezzato la voce di Antigone.
Una carrellata di voci, una carrellata di bicchieri alzati dietro gli schermi. Vi invitiamo a iscrivervi e, se lo vorrete, a proporre il vostro brindisi. “Io brindo ad Antigone perché tutela i più deboli”, “io brindo ad Antigone perché rende le carceri più trasparenti”, “io brindo ad Antigone perché....”: sarà bello ascoltare dalla voce degli amici le cose importanti che Antigone ha saputo lasciare in questi 30 anni. A tutti coloro che si iscriveranno a proporre un brindisi sarà data la parola a turno dal moderatore con chiamata nominale. Vi preghiamo di proporre brindisi di pochi secondi al fine di lasciare a tutti lo spazio per brindare.
I primi tre brindisi saranno riservati ai tre presidenti che hanno accompagnato l'Associazione in questi, primi, 30 anni: Mauro Palma, Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella.
Per partecipare è necessario registrarsi tramite questo form.
I focolai interni alle carceri italiane si sono andati moltiplicando durante questa seconda ondata di Covid-19. Secondo i dati forniti dall’Amministrazione Penitenziaria, al 16 gennaio 2021 si contano tra gli altri 109 detenuti positivi al virus nel carcere di Milano Bollate, 59 a Milano San Vittore, 54 a Roma Rebibbia NC, 35 a Roma Regina Coeli, 53 a Sulmona, 40 a Napoli Secondigliano, 40 a Palermo, 29 a Lanciano. Al totale di 718 detenuti positivi, in crescita dall’inizio del 2021, vanno aggiunti i 701 operatori penitenziari che hanno contratto il Covid-19.
Se guardiamo a cosa sta accadendo oltreoceano, vediamo che l’American Medical Association ha chiesto che i detenuti vengano inseriti tra le categorie che devono ricevere il vaccino in via prioritaria. Anche in Canada alcune centinaia di detenuti ristretti nelle carceri federali sono stati tra i primi destinatari del vaccino anti Covid-19. Sentimenti di odio, risentimento, paura non devono giocare alcun ruolo in una tale decisione.
Il carcere è di per sé un luogo capace di acuire i rischi per la salute. Numerosi studi mostrano come i detenuti costituiscano uno dei gruppi sociali maggiormente a rischio in relazione alla sfera sanitaria e all’attuale pandemia.
I motivi scientifici per inserire le persone detenute tra le categorie prioritarie in relazione al vaccino non mancano. A questi si affiancano motivi etici di primaria importanza per una democrazia avanzata che voglia vedere nella pena uno strumento non di mera afflizione bensì di riconduzione della persona all’interno del tessuto sociale.
A partire dallo scorso marzo i detenuti sono stati costretti a vivere in uno stato di isolamento che si è andato a sommare a quello di per sé prodotto dalla carcerazione. Paura e solitudine hanno reso la pena più gravosa e afflittiva di quanto fosse mai stata dalla nascita della Repubblica.
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