Con la sentenza n. 96 del 2025, la Corte costituzionale lancia un messaggio preciso al decisore politico: trattenere una persona all’interno di un CPR significa limitare la sua libertà personale. E questo non può avvenire senza che siano garantiti diritti fondamentali, come previsto dall’articolo 13 della Costituzione.
Al momento, però, manca una legge che stabilisca con chiarezza come si debba svolgere questa privazione della libertà: le regole attuali sono generiche e spesso affidate a regolamenti o circolari amministrative e questo lascia spazio ad abusi e violazioni costanti dei diritti. Questa lacuna normativa mette a rischio i diritti delle persone trattenute nei CPR e crea una situazione di grande incertezza. Non esiste, infatti, una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale, né sono previste adeguate tutele giurisdizionali per chi si trova in queste strutture.
"La sentenza ci da ragione - sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. La libertà personale è oggetto di riserva di legge assoluta. È sacra. Non si può trattare una persona presente in Italia senza un titolo di soggiorno che non ha commesso reati peggio di un detenuto. Non si può negargli i diritti alla salute, alla integrità psicofisica, alla dignità. Certo avremmo preferito una sentenza che smantellasse un sistema che crea dolore illegalmente ma è un passo comunque importante. Antigone aveva presentato un proprio atto di intervento davanti alla Consulta proprio per evitare che si creasse un sistema di discriminazioni e abusi".
La Corte Suprema di Cassazione, nella sua relazione sulle novità normative (la n. 33/2025 del 23 giugno 2025) sul recente "decreto sicurezza" (decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, convertito in legge il 9 giugno 2025, n. 80), ha bocciato la riforma su tutti i fronti.
Il decreto sicurezza lo avevamo definito il più grande attacco alla libertà di protesta nella storia della Repubblica italiana e la Corte in qualche modo ribadisce le tante problematiche che avevamo ravvisato. La Relazione della Corte di Cassazione non è una sentenza, ma un'analisi approfondita delle nuove norme, con la quale la Corte Suprema, ha evidenziato tutti i profili di criticità delle norme.
La relazione, riprendendo i numerosi documenti di critica al decreto, ha sottolineato i diversi profili di criticità, non solo sul contenuto del provvedimento, ma anche sulla forma e sui vizi dell’adozione di un decreto legge in assenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza e della disomogeneità dei contenuti.
La giustizia minorile è in crisi. Le associazioni lanciano un appello urgente: "torni la cultura educativa"
La giustizia minorile italiana sta vivendo una fase di regressione drammatica. Un sistema un tempo all’avanguardia in Europa sta oggi rinnegando i suoi stessi principi fondativi, virando verso una logica esclusivamente punitiva e abbandonando il suo approccio educativo.
L’Associazione Antigone, Defence for Children Italia e Libera, hanno lanciato un appello urgente per fermare la deriva repressiva e riaffermare il ruolo della giustizia minorile come spazio di accompagnamento, reinserimento e tutela.
Dal 2022 a oggi, il numero di giovani detenuti negli Istituti Penali per Minorenni (Ipm) è aumentato del 55%, passando da 392 a 611 presenze. Un'impennata dovuta in larga parte al cosiddetto Decreto Caivano che, entrato in vigore nel settembre 2023, ha ampliato la possibilità di custodia cautelare per i minorenni e ridotto l’utilizzo delle misure alternative al carcere. Numeri che sarebbero ben superiori se non fosse che molti giovani anche quando hanno compiuto il reato da minorenni e che potevano permanere in Ipm fino ai 25 anni sono invece stati trasferiti in carceri per adulti al compimento della maggiore età, pratica che il Decreto Caivano ha grandemente facilitato in chiave punitiva nel totale disinteresse per il percorso educativo del giovane.
Tutto questo, nonostante nel 2023 le segnalazioni a carico di minorenni siano diminuite del 4,15%.
È stato presentato oggi a Roma il XXI Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia, intitolato “Senza respiro”. Un titolo che non è una metafora, ma una fotografia lucida di un sistema penitenziario al collasso, dove detenuti, operatori e istituzioni sono sempre più in affanno.
Nel 2024 l’Osservatorio di Antigone ha visitato 95 istituti penitenziari per adulti e la maggior parte degli istituti penali per minorenni in tutta Italia, da Bolzano ad Agrigento. Il quadro emerso è drammatico: sovraffollamento record, carenza di personale, diritti compressi e una deriva punitiva che mette a rischio la tenuta costituzionale del sistema.
Al 30 aprile 2025 i detenuti in Italia erano 62.445, a fronte di una capienza regolamentare di 51.280 posti. Ma considerando i posti non disponibili (oltre 4.000), il tasso reale di affollamento è del 133%, con circa 16.000 persone che non hanno un posto regolamentare. 58 carceri su 189 hanno un tasso di sovraffollamento superiore al 150%. Gli istituti più affollati al momento sono Milano San Vittore (220%), seguito da Foggia (212%) e Lucca (205%). In tutti e tre i casi ci sono più del doppio delle persone che quelle carceri potrebbero e dovrebbero contenere.
Negli ultimi due anni la popolazione detenuta è cresciuta di oltre 5.000 unità, mentre la capienza effettiva è diminuita di 900 posti. Negli ultimi mesi ogni sessanta giorni sono entrate in carcere 300 persone in più. Dinanzi a quanto sta accadendo l’unica risposta dell’Esecutivo passa da un piano per l’edilizia penitenziaria che, proprio per i numeri e per la loro crescita, non può essere in alcun modo la soluzione. Considerando che mediamente un istituto in Italia ospita 300 persone, ogni due mesi dovremmo aggiungere un nuovo carcere al piano di edilizia.
La società civile lancia la Contro-Conferenza nazionale sulle droghe. Si terrà a Roma il 7-8 novembre 2025 in contemporanea con quella governativa
Mentre il governo si appresta a mettere in scena la propria Conferenza Nazionale sulle Droghe, blindata e priva di confronto, la società civile reagisce: il 7 e 8 novembre si terrà a Roma una Contro-Conferenza nazionale autoconvocata, promossa dalla rete di realtà impegnate nella riforma delle politiche sulle droghe.
Con lo slogan "Sulle droghe abbiamo un piano. Fermiamo la guerra alla droga, contro il governo della paura garantiamo diritti civili e sociali", l’iniziativa nasce in risposta a un contesto sempre più repressivo: dal decreto anti-rave al decreto Caivano, dalle modifiche al codice della strada fino al Decreto Sicurezza che restringe le libertà individuali e criminalizza anche la canapa industriale. Una deriva autoritaria che ignora evidenze scientifiche e strumenti fondamentali come la Riduzione del Danno, disconosciuta dal Sottosegretario con delega alle politiche sulle droghe Alfredo Mantovano.
"Le misure alternative al carcere sono sicure e producono sicurezza. Sono meno dell'1% quelle che vengono revocate per la commissione di nuovi reati, mentre la recidiva è del 70% per chi sconta l'intera pena in carcere. Mettere in discussione questi strumenti per un singolo caso di cronaca è sbagliato e anche pericoloso proprio per la sicurezza, specie se si considera che sono circa 100.000 le persone che oggi stanno eseguendo una qualche misura di comunità". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
Al 15 Marzo 2025 risultavano 97.009 le persone che stavano eseguendo una qualche misura di comunità nel nostro paese, un numero in crescita da molti anni e senza il quale le carceri italiane sarebbero esplose da tempo. Del totale, l’89,1% erano uomini e il restante 10,9% donne. Nel corso del loro svolgimento queste misure possono essere revocate per una serie di motivi (la persona perde il lavoro, o resta senza casa, ma anche per comportamenti non corretti o per la commissione di nuovi reati). La media delle revoche è stata nel 2024 del 12,6% del totale delle misure, assai più bassa, dell’8,2%, se si guarda al solo lavoro all’esterno (art. 21). Dai dati più recenti disponibili risulta che la percentuale di revoche dovuta alla commissione di nuovi reati si attesta sotto l’1%, e solo una parte minoritaria di questi riguarda reati contro la persona.
Qualcuno – magari fra quelli che dicono “buttate le chiavi e lasciateli in galera” – dirà che non sono fatti nostri, che non ne sappiamo nulla. Ma pure se non se ne parla mai, anche nelle carceri c’è il lavoro. Duro, sfruttato, sfruttatissimo, mal retribuito, concesso dalle direzioni come un privilegio non come un diritto.
Perché in carcere sono i detenuti a pulire le celle, i corridoi, a portare il vitto, a scrivere le domandine, a tagliare l’erba nei cortili. Con un salario che serve a pagare la permanenza dietro le sbarre e, nel migliore dei casi, a mandare pochi euro a casa. Per quelle famiglie che contavano solo sulle entrate di chi ora è privato della libertà.
Sì, in carcere, a Rebibbia c’è il lavoro. Ed è duro, sfruttato. Senza diritti. Ecco perché chiediamo a chi sta fuori di andare a votare al referendum di giugno. Di andare a votare sì, per abrogare le norme che hanno ridotto i diritti sul lavoro, i diritti delle persone che vivono in questo paese. Magari – perché non sperarlo? - far crescere i diritti “fuori da queste sbarre” avrà ricadute anche per chi vive e lavora dietro quelle sbarre.
I detenuti della redazione di Radio Rebibbia - Jailhouse Rock
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