Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator 18 Dicembre: per i diritti dei lavoratori migranti, meltingpot.org, 18/12/06

18 Dicembre: per i diritti dei lavoratori migranti, meltingpot.org, 18/12/06

18 Dicembre: per i diritti dei lavoratori migranti

Intervista con Manfred Bergmann, Presidente del Comitato Antirazzista Durban Italia e membro del Comitato organizzativo di Migrants Rights International.

Anche per questo anniversario della Giornata Internazionale per i Migranti(GIM)ci sarà poco da festeggiare. Le politiche migratorie dei paesi cosiddetti “di accoglienza” sono in tutto il mondo, di anno in anno, sempre più rigide e repressive, lo sfruttamento dei lavoratori migranti sembra intensificarsi senza sosta, e al contempo si moltiplica anche il numero di donne e uomini che perdono la vita nel tentativo di attraversare una frontiera o, qualora fossero riusciti ad attraversarla, a seguito delle deportazioni effettuate dai paesi che decidono di espellerli. Ma la data del 18 dicembre segnava in origine una tappa importante sulla strada della promozione e della tutela dei diritti dei migranti. Fu scelta infatti proprio per ricordare il momento in cui le Nazioni Unite approvarono una delle Convenzioni più evolute e innovative in materia di immigrazione.

Abbiamo intervistato Manfred Bergmann, presidente del comitato antirazzista Durban Italia. A lui abbiamo chiesto innanzitutto di spiegarci cosa è successo esattamente il 18 dicembre di sedici anni fa…

[ ascolta l’intervista integrale ]

“Il 18 Dicembre del 1990 fu votata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la Convenzione internazionale per la protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, scritta da tutti gli Stati delegati, preoccupati di proteggere i propri migranti all’estero. Ma, dopo averla votata e licenziata, serviva la firma e la ratifica dei singoli Stati nazionali per poter fare in modo che entrasse in vigore e tutti i paesi conformassero le proprie leggi allo spirito, meno criminalizzante e più rispettoso dei diritti, proprio di questa convenzione(…)”.

Ed è a questo punto che qualcosa si inceppa: il numero legale di paesi che dovevano ratificare la Convenzione per far sì che questa potesse entrare in vigore viene raggiunto solo nel 2003, ma, ad oggi, tra questi paesi non figura nessuno degli Stati facenti parte dell’Unione europea:

“(…) In Europa l’unico Stato che l’ha ratificata è stata la Bosnia, che è uno dei paesi più giovani del continente. Massacrato dalla guerra civile, la maggior parte dei suoi cittadini ha conosciuto l’esperienza dell’ emigrazione lavorativa e quindi ha avuto probabilmente un interesse maggiore a tutelare i propri cittadini all’estero perché la loro situazione documentale poteva essere più problematica.
Il resto dell’Europa ha invece attuato uno sporco gioco. Pensate che a Bruxelles i nostri paesi si scaricano reciprocamente l’accusa di non volere la Convenzione per i migranti lavoratori. In Italia, sia in sede di Commissione Diritti Umani interministeriale(presso il Ministero degli Affari Esteri di Roma alla Farnesina), che nelle varie ambasciate o presso le agenzie internazionali, ci dicono che è l’Europa a non volere questa Convenzione, ma che l’Italia la vorrebbe. Allo stesso modo, quando andiamo a parlare con il Commissario europeo e con i singoli Stati nazionali dell’Europa, tutti raccontano che sono sempre altre nazioni che non vogliono cominciare a firmarla per non creare un precedente che chissà perché incrinerebbe i rapporti fra i paesi dell’Europa occidentale. È una situazione di scarica barile che va spezzata (…)” .

Ma perché una simile Convenzione fa tanta paura? Quali sono le caratteristiche che la rendono tanto inquietante agli occhi dei governatori di tutti i paesi di immigrazione? Uno dei nodi principali è sicuramente il fatto che questo documento ha il merito di considerare i diritti dell’uomo da una prospettiva particolarmente espansiva ed includente, a partire dalla definizione dei soggetti da tutelare, i lavoratori migranti:

“(…) i lavoratori migranti sono indicati nel II paragrafo della Convenzione, che è forse la parte più importante di questo trattato di una settantina di pagine. Nel II paragrafo si identificano alcune figure molto simili a quelle che incontriamo ogni giorno per strada e che la legge italiana inquadra invece in maniera diversa. Prendiamo il caso del “lavoratore indipendente”, che non ha un datore di lavoro ma svolge la sua attività in un’ottica di sussistenza, come nella situazione dei venditori ambulanti. Ecco, queste persone, non sono menzionate e tutelate dalla legge italiana ma lo sono dalla Convenzione.
Rispetto allo status giuridico dei migranti lavoratori, inoltre, la convenzione parla chiaro e invita gli Stati a fare tutti gli sforzi possibili per dare dei documenti validi a chi non ne ha. Anche il linguaggio è diverso da quello che leggiamo nei nostri giornali e nei nostri testi di legge, perché nessun uomo viene definito clandestino e neppure irregolare. Qualcuno di noi potrebbe avere dei documenti che non sono considerati validi nello Stato in cui è ospitato e questo è un modo di definire una persona sicuramente meno offensivo, anche considerando che queste persone spesso sono soggette ad abusi impedonabili e per i quali c’è una sorta di immunità.
Anche nella definizione di chi si intende per membri delle famiglie dei lavoratori migranti Si tiene conto del fatto che il nostro è un mondo che può avere diversi modi di vedere l’unione fra le persone. Ad esempio, secondo diverse legislazioni nazionali, le unioni di fatto sono già legalmente riconosciute, e la Convenzione già nel 1990 aveva previsto che sarebbe aumentato il numero di questi paesi (…)”.

Nella Convenzione si legge infatti che vengono prese in considerazione quelle relazioni “tali da produrre effetti equivalenti a un matrimonio”, ma che il vincolo giuridico non è necessario. Anche da questo punto di vista la Convenzione appare molto più avanzata rispetto alla realtà attuale di molte società occidentali, ad esempio di quella italiana. E proprio l’Italia, se le sue politiche fossero almeno in parte ispirate dal desiderio di difendere i diritti elementari delle persone, dovrebbe avere l’interesse più di altri paesi a incorporare nelle sue leggi i principi della Convenzione in questione. Risale solo a pochi mesi fa uno dei tanti scandali in materia di immigrazione che ha coinvolto il nostro paese e che ruotava proprio intorno alla scoperta sconvolgente di situazioni, nel sud Italia e in particolare in Puglia, in cui i migranti vengono tenuti in uno stato di semischiavitù, continuamente sottoposti a violenza e a volte portati alla morte:

“(…) In Puglia la Sacra Corona Unita non è stata praticamente toccata dalle inchieste nazionali, è la più forte delle nostre mafie da un punto di vista giudiziario. Lì, grazie ad una campagna di stampa per una volta favorevole ai migranti, abbiamo riscontrato 119 sparizioni segnalate dalla polizia polacca. Siamo andati a lavorare a Varsavia con il Comitato Antirazzista Durban e la Piattaforrma Internazionale per la Cooperazione per i migranti con documenti non validi, che si chiama Picum (link Picum) e ha sede a Bruxelles. Abbiamo fatto una relazione a Varsavia all’ufficio dei diritti umani della Osce e abbiamo effettivamente lavorato coi poliziotti polacchi che ci hanno spiegato l’inchiesta dal loro punto di vista: le mafie si sono mischiate a livello transnazionale e gestiscono dei circuiti di schiavitù e semischiavitù. Alcune persone che volevano sottrarsi a questo regime di sfruttamento sono state poi uccise nel nostro paese da gruppi criminali organizzati (…)”.

Nonostante in tutti i principali paesi di immigrazione sia possibile documentare storie altrettanto drammatiche, sembra però che, mentre appare facilissimo siglare accordi bilaterali o internazionali in materia di immigrazione in cui sia in gioco il controllo repressivo del fenomeno, quando si tratta invece di ratificare una convenzione che verte interamente sui diritti come principi da rispettare in modo assoluto indipendentemente dai risvolti economici o politici, gli stati cosiddetti “potenti” si tirino indietro:

“ (…) dicendo di seguire il principio falso della reciprocità, che si basa su questi accordi bilaterali, si dimentica quelli che sono gli impegni multilaterali e cioè la Dichiarazione dei diritti umani o i Patti internazionali del ’67, che tutelano diritti importantissimi per chiunque si ritrovi ad essere un migrante, ad esempio nel nostro paese. Sempre parlando dell’Italia, è significativo come non sia stato ratificato neppure il Protocollo della cosiddetta Convenzione di Palermo del 2000 sul traffico delle persone. Mentre l’Italia spende un sacco di soldi per pattugliare le frontiere sud, quelle marine, ma poi non riecec a decidere cosa ha intenzione di fare coi diritti umani delle persone di cui dichiara di occuparsi in questi pattugliamenti”.

Per i governi dei paesi di arrivo dei migranti, i diritti umani sembrano essere quindi più un fardello di cui liberarsi che un principio a cui ispirarsi quotidianamente nelle loro scelte politiche. Per cercare di rilanciare quanto meno un dibattito sull’urgenza di prendere sul serio “il diritto ad aver diritti” di tutti gli abitanti del mondo ovunque essi si trovino, la gionata del 18 dicembre 2006 è una data di mobilitazione in tutto il mondo. In Italia, tra i vari eventi, ricordiamo il Convegno che si terrà a Roma nel pomeriggio e che indagherà soprattutto gli aspetti economici e cooperativistici della Convenzione del 1990 che, tra le tante cose, chiede ai singoli Stati di agevolare, per i migranti, la costituzione di cooperative e di associazioni e il loro ingresso nei sindacati e nei diversi settori della società civile per vederne più rappresentati i diritti fondamentali.

A cura di Alessandra Sciurba.

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