Sono 13 i procedimenti e i processi per violenze e torture – tra quelli attualmente in corso – in cui Antigone è impegnata direttamente con i propri avvocati. Il dato è stato illustrato questa mattina a Roma, durante la presentazione di “È vietata la tortura”, XIX rapporto di Antigone sulle condizioni detenzione. Nonostante l'evidenza che la tortura in carcere esista e solo dal 2017 possa essere perseguita grazie all'approvazione di una legge specifica, dalla maggioranza di centro-destra sono arrivate proposte di abolizione del reato o di modifica dell'articolo 613-bis. Due ipotesi pericolose – ha spiegato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – perché rischierebbero di far saltare i processi attualmente in corso e di lasciare impunito chi si macchia di questo crimine.
Il rapporto di Antigone, che ogni anno fa il punto sullo stato delle carceri italiane, lancia un allarme sul sovraffollamento, un problema ormai endemico del sistema penitenziario, certificato anche dai tribunali di sorveglianza che, solo nel 2022, hanno accolto 4.514 ricorsi di altrettante persone detenute (o ex detenute), che durante la loro detenzione hanno subito trattamenti inumani e degradanti, legate soprattutto alla mancanza di spazi.
Nel 2022, dai dati raccolti dall'osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone nelle 97 carceri visitate in tutto il paese, nel 35% degli istituti c'erano celle in cui non erano garantiti 3 mq. calpestabili per ogni persona detenuta. Mentre il tasso di affollamento, al 30 aprile 2023, era pari al 119%, con circa 9.000 persone di troppo rispetto ai posti realmente disponibili. In alcune regioni la situazione è ancor più preoccupante.
"È vietata la tortura" è il titolo del XIX Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione che sarà presentato a Roma il prossimo martedì 30 maggio, alle ore 10.00, presso la Federazione Nazionale Stampa Italiana (Corso Vittorio Emanuele II, 349).
Nel 2022, l'anno con il più alto numero di suicidi mai registrato nelle carceri italiane, l'osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone ha effettuato circa 100 visite in altrettanti istituti penitenziari. Un lavoro di monitoraggio capillare, dal Sud al Nord del paese, dalle carceri più grandi a quelle più piccole, che offre il quadro della situazione del sistema penitenziario italiano, delle sue problematiche e delle riforme necessarie. Dal sovraffollamento che ormai è un problema endemico, allo stato della sanità penitenziaria che in molti casi è al di sotto degli standard a causa dell'assenza di risorse e personale. Dal mancato riconoscimento del diritto all'affettività, con anche un ritorno al passato per quanto riguarda chiamate e videochiamate, fino ai presunti episodi di violenze e torture che hanno portato all'apertura di nuovi procedimenti. Il rapporto conterrà al suo interno numeri, dati, statistiche, approfondimenti e storie su questi e altri temi.
Per accedere non è necessario accreditarsi ma, per ragioni organizzative, si chiede comunque di confermare la propria presenza scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
di Patrizio Gonnella su il manifesto
Il carcere è sofferenza, solitudine, disperazione. È un grande rimosso sociale. Quando se ne parla ci si affida a stereotipi e banalizzazioni. Non possiamo comprendere cosa sia il carcere per chi lo subisce e per chi lo vive solo attraverso le categorie della politica criminale. Il carcere è afflizione. A volte il carcere è morte. Così è stato nel caso dei due detenuti morti nell’istituto di Augusta. A seguito di un lungo sciopero della fame durato 40 e 60 giorni.
Non possiamo che ringraziare Mauro Palma, Garante nazionale delle persone private della libertà personale, per avere sottratto le loro storie all’oblio dove erano state confinate. Poco sappiamo di loro, nulla sapevamo della loro protesta e delle loro rivendicazioni. Sono morti nel silenzio e in silenzio. Sono morti senza avere l’opportunità di essere ascoltati. Non è importante se le loro richieste fossero o meno legittime.
Nel loro caso non si è creato alcun dibattito. Ogni giorno sono alcune decine i detenuti che dichiarano di fare lo sciopero della fame. A volte aggiungono anche lo sciopero della terapia, così mettendo a rischio le loro vite. Capita che lo facciano per piccole questioni di vita penitenziaria o per grandi rivendicazioni di giustizia. Nell’uno o nell’altro caso, nel giusto o nello sbagliato, meritano ascolto. Sempre.
«Coi grandi occhi trasparenti neri, per vedere nell’ombra, stai sotto la lampada e senti il tempo vuoto che ti ingombra». E’ questo l’inizio di una poesia di Carlo Levi, medico, pittore, scrittore arrestato a Torino nel 1934. Al confino a Gagliano scrisse Cristo si è formato a Eboli. E al confino di Ventotene Altiero Spinelli, insieme a Ernesto Rossi, scrisse il Manifesto per un’Europa libera e unita. I fascisti, nonostante la loro smania persecutrice, violenta, vendicatrice, non sono riusciti a togliere la voce, il pensiero critico, la voglia di resistenza a tutti i dissidenti imprigionati.
Ed è incredibile che a più di novant’anni dall’entrata in vigore del codice Rocco, permeato di sotto-cultura fascista, ancora nei tribunali si applichino quelle norme. Abbiamo ancora in vita un codice penale scritto da un giurista illiberale, la cui retorica forbita non ha mai inteso occultare l’ideologia autoritaria del tempo. Ricordava Pietro Calamandrei che «nell’inasprire il sistema penale e penitenziario, il ministro era ben d’accordo col suo padrone».
La sentenza della Corte costituzionale arrivata nella serata di oggi dà ragione alla Corte di assise d'appello di Torino che aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del Codice penale, che non consente che ai recidivi vengano riconosciute circostanze attenuanti prevalenti sulle aggravanti, in modo da consentire una quantificazione della pena adeguata alla minore gravità del reato in concreto commesso. Il caso riguarda Alfredo Cospito ed un suo attentato del 2006 ad una caserma di Carabinieri nel quale nessuno rimase ucciso o ferito, reato previsto dal Codice Rocco di epoca fascista e per il quale, in assenza della possibile valutazione di circostanze attenuanti, la pena prevista è solo quella dell'ergastolo.
In merito alla questione di costituzionalità Antigone aveva presentato un Amicus curiae a sostegno delle ragioni esposte nella ordinanza di rimessione.
"Con la sentenza di oggi la Consulta stabilisce definitivamente che la pena deve corrispondere alla gravità del reato. Non è possibile trattare allo stesso modo casi in cui ci sono morti e casi in cui, invece, non ci sono stati neanche feriti" dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. "Passo passo - sottolinea ancora Gonnella - la legge ex Cirielli, che era obbrobrio giuridico in evidente conflitto con l'articolo 27, è stata demolita. Ci auguriamo che la rideterminazione della pena, a questo punto conseguente, porti anche il ministro della Giustizia Nordio ad una rivalutazione relativa al regime 41-bis in cui Cospito è attualmente detenuto".