di Patrizio Gonnella su il manifesto del 26/07/2022
«Difendiamo chi ci difende». Così si è espressa nel 2018 Giorgia Meloni sui social proponendo di cancellare l’attuale legge sulla tortura in quanto impedirebbe alle forze dell’ordine di svolgere il proprio lavoro. Ancora più esplicito Edmondo Cirielli, Questore della Camera per Fd’I e autore di quella infausta legge sulla recidiva che produsse a partire dal 2006 eccessi di sovraffollamento carcerario: «Cancelleremo questa orribile norma sul piano giuridico che criminalizza e discrimina le Forze dell’Ordine».
E lo dichiarò, non a caso, dopo il rinvio a giudizio di cinque agenti della Polizia Penitenziaria accusati di tortura nei confronti di un detenuto di nazionalità straniera nel carcere di San Gimignano. Il tutto mentre Matteo Salvini li andava a incontrare fuori dal carcere toscano, definendo l’incontro interessante e commovente.
Nel 2022, in un Paese solidamente democratico, dunque, c’è chi ritiene che si debba empatizzare con i presunti torturatori e non con i torturati.
Giusto per capire cosa rischia il nostro ordinamento giuridico, sempre Fd’I ha proposto, addirittura, una modifica dell’articolo 27 della Costituzione aggiungendo il seguente periodo: «La legge garantisce che l’esecuzione delle pene tenga conto della pericolosità sociale del condannato e avvenga senza pregiudizio per la sicurezza dei cittadini». Altro che funzione rieducativa della pena.
Dunque, se mai la coalizione di destra dovesse vincere con maggioranza ampia, ci si deve attendere che metta mano a quella norma scritta da personalità straordinarie della storia italiana che avevano vissuto l’onta e il terrore delle carceri fasciste. Sarebbe una rottura drammatica che ci porrebbe fuori dalla legalità internazionale e dalla storia del pensiero giuridico liberale, nel nome di un populismo penale dai contorni pericolosi.
"La calda estate delle carceri" è il titolo del Rapporto di metà anno dell'associazione Antigone che, come consuetudine, fa il punto su quanto avvenuto nei primi mesi negli istituti di pena italiani.
Il rapporto sarà presentato il prossimo giovedì 28 luglio, dalle ore 10.00, con una diretta streaming sulla pagina Facebook e il canale Youtube della nostra associazione.
Il caldo che ha colpito il nostro paese (e non solo) non poteva non avere ripercussioni anche sulle carceri. In carcere non esiste l'aria condizionata, le finestre spesso sono schermate e non consentono un adeguato passaggio di aria, in molti istituti le docce non sono nelle celle, in alcuni manca addirittura l'acqua in alcune ore della giornata. Il sovraffollamento fa il resto.
Le visite che l'osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione ha effettuato in questi primi mesi del 2022 sono servite anche a documentare questa situazione.
Numeri, dati, statistiche, approfondimenti e storie saranno illustrate nel rapporto.
Anche nel 2022 si rinnova l'appunamento con la Summer School organizzata dalla nostra associazione insieme al Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Torino. La VI edizione, che si terrà per la prima volta ad Avigliana, si pone in continuità con gli eventi degli scorsi anni, in modalità residenziale in grado di coinvolgere un pubblico potenzialmente ampio e di delineare lo specifico orizzonte formativo proposto. Relativamente a questa edizione, la Scuola si propone di esaminare il tema dei luoghi di privazione della libertà e della loro psichiatrizzazione con un approccio multidisciplinare.
Le iscrizioni scadono il 26 agosto. Tutte le informazioni sulla Summer School, il programma, i costi, la possibilità di usufruire di borse di studio, si possono trovare sul sito dell'Università di Torino (a questo link).
A inizio giugno, durante la visita nel carcere di milanese di San Vittore dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone, abbiamo incontrato 8 donne in stato di gravidanza. Un numero altissimo, che non ha pari nel resto del Paese. Oltretutto in un carcere dove manca un servizio ginecologico e medici specialisti.
Ci avevano raccontato anche di una nona ragazza, all’ottavo mese di gravidanza, portata d’urgenza in ospedale qualche settimana prima. Oggi apprendiamo che proprio quella ragazza all’arrivo in ospedale, il 30 maggio scorso, ha perso il suo bambino.
Quella giovane donne sapeva che la sua gravidanza aveva delle complicanze e che il suo bambino sarebbe probabilmente nato prima del nono mese. I medici le avevano raccomandato di recarsi immediatamente in ospedale in casi di dolori. Nel frattempo è stata arrestata.
"La legge italiana - sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - permette che la donna in caso di gravidanza possa non entrare in carcere ed essere sottoposta a diversa misura. Si tratta di una scelta di civiltà, che tutela la salute della donna e del bambino".
"Sul caso specifico - dichiara ancora Gonnella - chiediamo si faccia piena luce, accertando le responsabilità e chiarendo cosa è davvero successo quel 30 maggio nel carcere di San Vittore e quanto tempo è trascorso da quando la donna ha iniziato a lamentare dolori al suo ricovero in ospedale. Vanno chiarite le modalità di trasporto della donna in ospedale: se sia stato fatto sotto controllo medico e in ambulanza oppure se la donna sia stata ammanettata e accompagnata in ospedale scortata solo dalla polizia penitenziaria. Serve inoltre - conclude Gonnella - che si riservi maggiore attenzione alla tutela della gravidanza".
di Patrizio Gonnella su il manifesto del 5 giugno 2022
RIFORMA PENITENZIARIA. È trascorso quasi da un anno da quel 14 luglio in cui la ministra Marta Cartabia e il Presidente Mario Draghi tennero una conferenza stampa fuori dal carcere di Santa Maria Capua Vetere per stigmatizzare le violenze brutali e di massa che erano avvenute in quell’istituto di pena nel 2020 in pieno lockdown.
A Perugia il Gip ha ordinato alla procura di indagare sul perché i pubblici ministeri di Viterbo hanno archiviato una denuncia di tortura, che meritava, per la sua credibilità, un’adeguata investigazione. Un giovane egiziano, dopo essere stato presumibilmente torturato, si suicidò. Dunque, si rompe il muro corporativo e la magistratura indaga sulle proprie omissioni e inerzie.
È trascorso quasi da un anno da quel 14 luglio in cui la ministra Marta Cartabia e il Presidente Mario Draghi tennero una conferenza stampa fuori dal carcere di Santa Maria Capua Vetere per stigmatizzare le violenze brutali e di massa che erano avvenute in quell’istituto di pena nel 2020 in pieno lockdown. Una violenza che si contrasta con una rivoluzione culturale, con la formazione ma anche con nuove regole di vita penitenziaria, moderne e innovative. Il capo del Governo disse parole inequivocabili: «Le indagini in corso ovviamente stabiliranno le responsabilità individuali. Ma la responsabilità collettiva è di un sistema che va riformato. Il Governo non ha intenzione di dimenticare».