Il prossimo 29 luglio, dalle ore 11.00, in diretta sulla pagina facebook e il canale youtube dell'associazione, Antigone presenterà il consueto rapporto di metà anno sulle condizioni di detenzione. Il documento servirà a tracciare un primo bilancio di quanto avvenuto nel sistema penitenziario italiano nella prima parte del 2021, così come emerso dalle visite di monitoraggio delle carceri che l'associazione ha svolto finora. Saranno presentati numeri, dati e informazioni sulle condizioni degli istituti di pena.
Un focus speciale riguarderà anche i procedimenti attualmente aperti - nei quali Antigone è parte attiva - per le ipotesi di violenze all'interno delle carceri.
Sarà inoltre presentato il documento con le proposte di riforma del regolamento penitenziario, che l'associazione ha inviato nei giorni scorsi al Presidente del Consiglio Draghi, alla Ministra della Giustizia Cartabia e ai parlamentari delle Commissioni giustizia di Camera e Senato.
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"Anche per gli episodi avvenuti nel carcere di Torino, a conclusione delle indagini, è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per 25 tra agenti e operatori. Tra i vari reati contestati c'è anche quello di tortura. Antigone, in caso di processo, chiederà di costituirsi parte civile dopo avere presentato un proprio esposto. Ci auguriamo che, come sta avvenendo in altri casi, anche il Governo faccia lo stesso. I fatti oggetto di indagine sono diversi rispetto a quelli accaduti a Santa Maria Capua Vetere ma altrettanto raccapriccianti con responsabilità che toccano la gestione del sistema. Si tratta dell'ennesimo caso emerso negli ultimi mesi, dopo l'emissione dell'ordinanza cautelare per le violanze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e le condanne per tortura ai danni di poliziotti penitenziari nel carcere di Ferrara e San Gimignano. Inoltre ci sono diversi procedimenti aperti, molti dei quali seguiti dalla nostra associazione, per presunte violenze e torture avvenute in altri istituti penitenziari.
Episodi che sono il segno evidente della necessità di profonde riforme all'interno del sistema penitenziario italiano. Va rivisto drasticamente il modello di organizzazione pensando a una formazione diversa e multidisciplinare degli agenti penitenziari. Bisogna prevenire i fatti di tortura attraverso la previsione di video sorveglianza in tutti gli istituti, sottoscrizione di un codice deontologico, predisposizione di linee guida nazionali sull'uso della forza, assunzione di personale civile, fino ad una maggiore generalizzata apertura ai fini di una umanizzazione della pena. Chiediamo al Dap che dia un messaggio netto in questo senso a tutti gli operatori. Antigone ha presentato una proposta di riforma del regolamento penitenziario che va in questo senso".
Queste le dichiarazioni di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
Il 20 settembre del 2000 entrò in vigore l'attuale regolamento penitenziario. Questo documento affianca la legge penitenziaria e può favorire un netto avanzamento della vita interna verso una pena costituzionalmente orientata. È arrivato il momento che il Governo approvi nuove regole che modernizzino la vita carceraria. Antigone ha elaborato e proposto un nuovo regolamento penitenziario che prevede più possibilità di contatti telefonici e visivi, un maggiore uso delle tecnologie, un sistema disciplinare orientato al rispetto della dignità della persona, una riduzione dell'uso dell'isolamento, forme di prevenzione degli abusi, sorveglianza dinamica e molto altro.
Con competenza e lungimiranza, quel regolamento proponeva un’idea di detenzione fondata sul rispetto della dignità della persona e sul progressivo riavvicinamento alla società esterna. Una parte delle norme ha sicuramente contribuito ad elevare gli standard di detenzione nel nostro Paese; un’altra parte però necessita una rivisitazione alla luce dei tanti cambiamenti normativi sociali, culturali, legislativi, tecnologici intervenuti negli ultimi due decenni; infine una terza parte (quella che prevedeva interventi di tipo strutturale) richiede ancora piena attuazione. Purtroppo non poche disposizioni regolamentari sono rimaste lettera morta lungo gli scorsi vent’anni, a cominciare dalle indicazioni edilizie per adeguarsi alle quali era previsto un arco di tempo non superiore ai cinque anni.
Un nuovo regolamento, efficace e in linea con l'attualità dei tempi, significa garantire tanti diritti alle persone detenute: dal diritto alla salute, al diritto ai contatti con i propri affetti, ai diritti delle minoranze (stranieri, donne), ai diritti lavorativi, educativi, religiosi.
Bisogna aver visto, scriveva Pietro Calamandrei su un numero della rivista il Ponte, interamente dedicata al carcere. Quel numero accolse il racconto di numerosi intellettuali che avevano vissuto le carceri fasciste. Bisogna aver visto un carcere, diceva Calamandrei, per comprenderne la funzione sociale e misurarne il divario rispetto agli scopi attribuiti a questo luogo.
Per queste ragioni riteniamo di grande importanza la visita di oggi pomeriggio al carcere di Santa Maria Capua Vetere del Presidente del Consiglio Mario Draghi e della Ministra della Giustizia Marta Cartabia. Vedere in prima persona può essere un modo importante per rendersi conto di quanto le condizioni di detenzione oggi siano afflittive e in molti casi lontane dagli scopi costituzionali della pena. Ci auguriamo che dopo questa visita si riavvii quel processo di riforme che aveva interessato il nostro Paese all'indomani della condanna del 2013 della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.
Lo scorso giugno il Sottocomitato per la prevenzione della tortura e degli altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti delle Nazioni Unite ha pubblicato due pareri di follow-up in materia di detenzione in periodo pandemico. Questi aggiornamenti rappresentano il prosieguo di avvertenze che fin dall’esordio della diffusione del coronavirus Covid-19 la Sottocommissione si era premurata di produrre e sottoporre ai Paesi aderenti all’Opcat (il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura) un parere sui luoghi di detenzione (marzo 2020) e poi ancora un altro parere nell’aprile successivo agli Stati e ai Meccanismi nazionali di prevenzione (NPM). Ad entrambi il Sottocomitato aveva chiesto di fornire informazioni sulle misure che di lì in avanti si sarebbero adottate negli istituti di pena in risposta al pericolo virale.
Sono stati 49 su 90 Stati parte del protocollo, quelli a fornire delle risposte che hanno poi permesso il follow-up. Tra i membri dell’Unione europea le adesioni sono state di 19 paesi su 27 (Non hanno risposto: Belgio, Finlandia, Georgia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca). Mentre sono stati 69 gli NPM che hanno segnalato al Sottocomitato i problemi riscontrati nei sistemi di reclusione di cui sono Garanti nel corso di questa emergenza pandemica.