Anche il carcere sta subendo le conseguenze della seconda ondata della pandemia di Covid-19, con numeri peraltro più ampi rispetto a quanto non sia avvenuto nei mesi di marzo e aprile. Il numero dei detenuti e degli operatori positivi sta raggiungendo le 1.000 unità per ciascuna di queste categorie, con ritmi di crescita che destano preoccupazione. In circa il 40% degli istituti del paese c'è stato almeno un caso di positività tra le persone recluse e, in alcuni casi, abbiamo assistito a veri e propri focolai. Nonostante questa situazione, il tasso di affollamento è ancora preoccupante. Ci sono circa 7.000 detenuti in più rispetto ai posti letto disponibili. Se si considera poi che alcune sezioni sono state liberate per essere destinate a diventare spazi per accogliere i contagiati, la situazione può essere considerata ancora più difficile rispetto a quanto non ci dicano questi numeri.
Per questo c'è bisogno di misure drastiche e urgenti. E sono quelle che hanno chiesto Antigone, Anpi, Arci, Cgil, Gruppo Abele, in una lettera indirizzata al governo e ai parlamentari della commissione giustizia di Camera e Senato, a cui hanno aderito anche Amnesty International-Italia, Acat, Ristretti, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia-CNVG, CSD - Diaconia Valdese, Uisp Bergamo, InOltre Alternativa Progressista.
Le misure proposte sono volte innanzitutto a ridurre in maniera incisiva la popolazione detenuta e a mettere in sicurezza le persone sanitariamente a rischio, ma anche a rendere non rischiosa e piena di senso la vita in carcere.
Detenzione. Come esistono i negazionisti del Covid, così esistono i negazionisti dell’afflittività e patogenicità del carcere. Con pragmatismo e senso di umanità bisognerebbe, in tempi strettissimi, evitare che le carceri arrivino a produrre lo stesso numero di morti e disastri già visti nelle Rsa.
di Patrizio Gonnella su il manifesto del 20 novembre 2020
Se c’è un luogo in conflitto ontologico con il Covid, esso è il carcere. A chiunque affermi che sia il posto più sicuro del mondo rispetto al rischio di contrarre il virus, suggerirei una passeggiata per le sezioni del carcere di Brescia, che ha il doppio dei detenuti rispetto alla capienza regolamentare. O per i corridoi dell’istituto di Latina, che stipa 151 detenuti nei soli 77 posti previsti. O ancora a Taranto, che nei 304 posti letto regolamentari rinchiude 552 persone. O a Poggioreale, a Napoli, dove 2.177 detenuti devono dividersi i 1.571 posti disponibili, con celle che ospitano fino a 12 detenuti, talvolta prive di doccia, con letti a castello anche su tre livelli, e in qualche caso con wc vicino a dove si dorme.
LA NOSTRA MAPPA E' ALLA FINE DEL TESTO - Antigone sta provvedendo in queste ore a una mappatura di quanto avviene nei singoli istituti (lo stato dei contagi e le eventuale misure che le direzioni stanno adottando per contrastare i contagi).
Se sai qualcosa su quel che sta accadendo nel carcere della tua città o in quello dove conosci qualcuno scrivici all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Le tue informazioni saranno preziose.
di Jacopo Ricca, da la Repubblica del 28 ottobre 2020
Sarà la procura generale di Torino a completare le indagini e mandare a processo gli agenti della polizia penitenziaria del carcere di Ivrea, accusati di aver pestato e vessato i detenuti. «Le indagini espletate dalla Procura della Repubblica di Ivrea appaiono, sotto vari profili carenti» scrive il procuratore generale Francesco Saluzzo che, ieri, ha firmato il provvedimento di avocazione di tre delle quattro inchieste sulle violenze per le quali il procuratore capo di Ivrea, Giuseppe Ferrando, aveva chiesto l'archiviazione. Parole pesanti quelle sottoscritte da Saluzzo e dal sostituto Otello Lupacchini.
Da anni il garante dei detenuti eporediese, Armando Michellizza prima e ora Paola Perinetto, e l'associazione Antingone si battono perché non si spenga la luce su quando è accaduto nel carcere tra il 2015 e il 2016. «Ci abbiamo riflettuto bene prima di chiedere l'avocazione perché era qualcosa di non scontato. Sui 4 procedimenti però abbiamo visto un rallentamento eccessivo e azioni che non venivano fatte dalla procura di Ivrea» racconta l'avvocata Simona Filippi che difende l'associazione Antigone. «C'è molta soddisfazione per la decisione della procura generale che ha deciso tre delle quattro richieste di avocazione» aggiunge l'avvocato Marialuisa Rossetti che rappresenta il garante di Ivrea. C'è attesa rispetto alla quarta richiesta di avocazione, quella che riguarda la repressione violenta delle proteste nel carcere, avvenuta tra il 25 e il 26 ottobre 2016, e denunciata per prima da Repubblica che aveva raccolto una lettera dei detenuti pubblicata da InfoAut. La procura di Ivrea aveva ritenuto che non ci fossero elementi per chiedere un processo, ma ha sempre manifestato soddisfazione perché con l'indagine si sono fermati gli episodi di violenza. La procura generale di Torino però non è dello stesso avviso: «Contrariamente a quanto si sostiene nella richiesta di archiviazione, è presente documentazione medica in ordine alle lesioni riportate dal detenuto giunto in infermeria per essere medicato per escoriazioni e sanguinamento nasale» quando, scrivono Saluzzo e Lupacchiotti «presentava numerose escoriazioni su gambe, braccia e polsi (manette) e, interrogato riguardo all'origine di dette lesioni, ha riferito di essere stato immobilizzato a trasporto di peso da alcuni agenti di polizia penitenziaria. Nessuna indagine è stata svolta, al fine di circostanziare i fatti e i maltrattamenti con riguardo».
Il 26 luglio 2012 Alfredo Liotta, un uomo di 41 anni, morì nel carcere di Siracusa dove era detenuto. A distanza di oltre otto anni dal fatto cinque degli otto medici imputati per la sua morte sono stati condannati ieri, in primo grado, per omicidio colposo.
"Il caso venne portato a conoscenza del difensore civico di Antigone da parte della moglie del detenuto. Il nostro ufficio - dichiara l'avvocato Simona Filippi - una volta acquisite tutte le carte sullo stato di salute dell'uomo presentò un esposto alla Procura della Repubblica di Siracusa nel quale si sottolineava come il personale medico e infermieristico che si succedeva dal detenuto, non avesse saputo individuare e comprendere i sintomi né il decorso clinico di Alfredo Liotta e che tali carenze conoscitive ne avessero determinato il decesso. Quell'esposto consentì di riaprire il caso sulla morte dell'uomo e portò nel marzo 2017 al rinvio a giudizio dei medici".
"Nel corso del dibattimento, a cui Antigone ha partecipato quale parte civile, è stato accertato che i medici del carcere di Siracusa che si sono succeduti nella cella di Liotta negli ultimi 20 giorno della sua vita - prosegue l'avvocato Filippi - sono rimasti completamente passivi davanti alle sue patologie. L'uomo soffriva di diverse problematiche: epilessia, anoressia, depressione, emorroidi. Per venti giorni non aveva più bevuto né mangiato e questo, assieme alla perdita di sangue dovuta alle emorroidi, portò alla sua morte. Il tutto senza che i medici siano intervenuti in alcun modo".
"Il caso di Liotta - sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - chiama in causa il tema della salute in carcere, come bene supremo da tutelare. La morte del detenuto fu un vero e proprio caso di abbandono terapeutico. La vicenda pone anche il caso di quanto sia lungo e complesso avere giustizia quando si è detenuti. Una giustizia che serve alla famiglia e che speriamo aiuti a costruire un mondo più solidale e attento alle fragilità".
"Alle condanne di ieri - conclude l'avvocato Filippi - si è riusciti ad arrivare anche grazie al lavoro della giovane Giudice che ha condotto il processo che, attraverso un dibattimento serrato, ha permesso di evitare la prescrizione dei reati".