44 agenti di polizia penitenziaria sarebbero stati iscritti nel registro degli indagati per le presunte violenze avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere la notte tra il 7 e l'8 aprile scorsi. Episodi su cui Antigone ha ricevuto numerose segnalazioni, tutte congruenti tra loro, sulla base delle quali, dopo una serie di approfondimenti, l'associazione ha potuto ricostruire quanto sarebbe avvenuto, inviando una nota al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e presentando un esposto alla competente Procura della Repubblica. Da quanto ricostruito da Antigone ci si troverebbe di fronte ad episodi di violenza generalizzata, scaturiti dopo la protesta dei detenuti avvenuta a seguito del diffondersi della notizia che uno dei reclusi del reparto "Nilo", addetto alla distribuzione della spesa, sarebbe stato posto in isolamento con febbre alta, affetto da Covid-19. La notizia generò paura e ansia, e queste generano in una protesta che coinvolse circa 150 reclusi. La protesta si sarebbe spenta alla sera, con la promessa di un colloquio con il Magistrato di Sorveglianza che si tenne effettivamente il giorno successivo. Una volta andato via il Magistrato, però, tra le 15 e le 16, decine di agenti sarebbero entrati nel reparto in tenuta antisommossa, con i volti coperti dai caschi, e lì, in gruppi, sarebbero entrati nelle celle prendendo i detenuti a schiaffi, calci, pugni e colpi di manganello. Altri detenuti sarebbero invece stati fatti uscire dalle celle e denudati per delle perquisizioni. Una volta spogliati sarebbero stati insultati e pestati.
Sono stati pubblicati da parte del ministero della Giustizia i dati relativi alla popolazione detenuta in Italia al 31 maggio 2020. Si registra ormai chiaramente come il calo delle presenze si sia fermato, dopo aver rallentato significativamente dalla metà di aprile in poi.
Il calo delle presenze da fine febbraio è a questo punto di 7.843 unità, un dato certamente significativo ma comunque insufficiente per portare le presenze in carcere al livello della capienza regolamentare, che alla stessa data era di 50.472 posti.
A gennaio 2020 l’indice del XVI Rapporto sulle condizioni di detenzione era già pronto. Avevamo a disposizione la più grande massa di dati e informazioni mai raccolta dall’Osservatorio di Antigone nella sua storia ventennale: nel 2019 i nostri Osservatori hanno visitato 98 istituti penitenziari, in ogni angolo del Paese. Praticamente una visita ogni tre giorni.
La fotografia complessiva era quella di un carcere in cui il sovraffollamento stava rapidamente tornando ai livelli del 2013, quando l’Italia fu condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, di un carcere “malato” con un detenuto su quattro in terapia psichiatrica e “anziano” con un quarto dei detenuti sopra i 50 anni.
Poi, improvviso e spaventoso, in Italia si è diffuso il contagio da Covid-19. La pandemia non ha risparmiato gli istituti penitenziari. E così, in pochi giorni, le vite di tutti sono state stravolte, compresa quella di Antigone e del suo Osservatorio.
Abbiamo subito capito che il XVI Rapporto andava rivoluzionato e avrebbe dovuto raccontare “Il carcere al tempo del coronavirus”, analizzando tre mesi di pandemia attraverso un grande racconto collettivo (42 gli autori che hanno contribuito). E così abbiamo provato a intrecciare dati quantitativi (a cominciare dal drastico calo di quasi novemila persone detenute, i contagiati tra operatori e ristretti, la situazione in Europa) e dati qualitativi (una lettura critica delle rivolte dell'8 e 9 marzo, di cosa hanno fatto il legislatore, l’amministrazione, i garanti delle persone private della libertà). Non abbiamo evitato gli argomenti più scomodi e divisivi, come le “scarcerazioni” di persone condannate o accusate per mafia detenute nelle sezioni 41bis e Alta sicurezza.
Il XVI Rapporto è diviso idealmente in tre parti, prima, durante e dopo la pandemia. Il minimo comune denominatore di tutti i contributi è che i diritti e le garanzie del sistema penale e penitenziario non possano essere cancellati o sospesi a data da destinarsi. Anzi, devono essere ciò che guida un sistema complesso anche durante l’emergenza sanitaria. Il Rapporto è a libero accesso di chiunque voglia leggerlo, criticarlo, studiarlo, citarlo. Buona lettura.
Michele Miravalle e Alessio Scandurra
LEGGI IL XVI RAPPORTO "IL CARCERE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS"
LA CARTELLA STAMPA IN ITALIANO E IN INGLESE
La pandemia di Covid-19 ha avuto un impatto enorme sulle nostre vite e su quelle di chi sta in carcere. E' proprio su quanto è accaduto dall'inizio di marzo a oggi nelle carceri italiane che si concentra il nostro XVI Rapporto sulle condizioni di detenzione, che abbiamo intitolato "Il carcere al tempo del coronavirus". In quale situazione si è inserita la pandemia? Quali sono state le risposte istituzionali? Cosa è accaduto negli istituti di pena e cosa è lecito aspettarsi accadrà? Attraverso dati, statistiche e storie, il rapporto farà luce su tutti questi aspetti.
Vista la fase emergenziale in cui ci troviamo, la presentazione avverrà esclusivamente on-line, sui nostri canali facebook e youtube (vi invitiamo a mettere mi piace alla nostra pagina facebook e a iscrivervi al nostro canale youtube: le notifiche vi permetteranno di non perdere l'incontro).
Assieme ai nostri Patrizio Gonnella (presidente), Susanna Marietti (coordinatrice nazionale), Alessio Scandurra e Michele Miravalle (coordinatori dell'osservatorio sulle condizioni di detenzione e curatori del rapporto), ci saranno anche Bernardo Petralia (Capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), Mauro Palma (Garante nazionale persone private della libertà personale), Lucia Castellano (Direttore Generale per l'Esecuzione Penale Esterna e di messa alla prova), Andrea Giorgis (Sottosegretario Ministero della Giustizia).
di Patrizio Gonnella su il manifesto del 9 maggio 2020
La campagna sulle scarcerazioni facili è ricca di imprecisioni, generalizzazioni, nonché profondamente rischiosa. Rischia di fare molto male a tutta la comunità penitenziaria. In primo luogo alla gran massa dei detenuti che con la mafia non c’entra nulla e che ora potrebbe subire un’ondata di chiusure.
Va ribadito che l’affollamento carcerario non consente quel distanziamento fisico che i virologi ritengono decisivo per evitare la diffusione del contagio. La riduzione della popolazione detenuta avvenuta negli ultimi due mesi – da 61 a 53 mila – è frutto, per parti più o meno uguali, di provvedimenti di detenzione domiciliare e mancati nuovi ingressi. Se non ci fosse stata questa riduzione globale nei numeri, ancora insufficiente visto che in alcune celle si vive in sei in meno di 20 metri quadri, forse avremmo avuto decine di nuovi focolai ingestibili, al pari delle Rsa.