"Il primo detenuto morto per covid-19 conferma tutte le nostre preoccupazioni sulle conseguenze tragiche di un contagio all'interno delle carceri. Per questo non si può più perdere tempo. Bisogna subito intervenire per ampliare le insufficienti misure previste nel decreto Cura-Italia. Bisogna mandare agli arresti domiciliari almeno altri 10.000 detenuti tra quelli che hanno un fine pena breve e coloro che soffrono di patologie o hanno età per cui un contagio potrebbe essere fatale. Sappiamo che il 67% dei detenuti ha almeno una patologia sanitaria. Di questi l’11,5% era affetto da malattie infettive e parassitarie, l’11,4% da malattie del sistema cardio-circolatorio, il 5,4% da malattie dell’apparato respiratorio. Inoltre che il 62% dei reclusi ha 40 anni o più e che, al 31 dicembre 2019, ben 5.221 persone avevano più di 60 anni. In questo momento di grande sforzo da parte del governo il carcere rischia di essere un luogo a rischio anche per gli operatori. Oltre 120 poliziotti sono già risultati positivi, senza contare medici, infermieri penitenziari e ovviamente i detenuti. Il governo deve intervenire subito".
Queste le dichiarazioni di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
"Abbiamo appreso, dal decreto attuativo del "Cura-Italia", che i braccialetti elettronici messi a disposizione per il controllo delle persone detenute che potrebbero accedere agli arresti domiciliari sono 5.000, di cui 920 già disponibili. Il Provvedimento prevede l’installazione di un massimo di 300 apparecchi a settimana. Numeri ampiamente insufficienti per affrontare l'emergenza coronavirus e le ricadute drammatiche che potrebbe avere sul sistema penitenziario. Con il numero di installazioni attualmente previste, gli ultimi detenuti usciranno dal carcere infatti tra oltre tre mesi, quando ci auguriamo la fase acuta legata al diffondersi del Covid-19 sarà già ampiamente alle spalle". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
"Il Parlamento e il Governo insieme - prosegue Gonnella - devono disinnescare i rischi della bomba sanitaria in carcere, ponendo le condizioni affinché in carceri si assicuri distanziamento sociale a garanzia di detenuti e poliziotti. I detenuti con meno di due anni di pena sono circa 15 mila. Se due terzi di loro oggi uscissero le condizioni sarebbero nettamente migliorate. Si tratta di persone che vanno mandate agli arresti domiciliari entro un paio di settimane e non nell'arco di mesi, con forme di controllo diverse dal braccialetto, altrimenti dal punto di vista sanitario la misura non avrebbe senso. Noi - dice ancora Patrizio Gonnella - abbiamo presentato diversi emedamenti per arrivare all'obiettivo di ridurre in fretta i numeri, e qualsiasi intervento che vada in questa direzione è benvenuto".
“Ieri abbiamo inviato ai parlamentari delle commissioni bilancio e giustizia e a tutti i capigruppo parlamentari una serie di proposte emendative (che è possibile leggere qui) degli articolo 123 e 124 del decreto Cura-Italia. Si tratta di proposte che vogliono far accrescere la possibilità di avere provvedimenti di detenzione domiciliare, liberazione anticipata e affidamento al servizio sociale. Ciò che chiediamo è che vengano approvate affinché le carceri possano tornare ad una situazione di legalità che consenta di affrontare al meglio il diffondersi dei casi di coronavirus. Quello di cui abbiamo bisogno sono posti in terapia intensiva e non nuovi focolai”. Queste le parole di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, a proposito delle proposte che l'associazione ha avanzato insieme a Cgil, Anpi, Arci, Gruppo Abele, Ristretti, Cnvg, Diaconia Valdese, Uisp Bergamo e InOltre Alternativa Progressista.
Il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ieri è andato a riferire alla Camera dei Deputati sulla situazione delle carceri e sulle misure di prevenzione alla diffusione del coronavirus. In questo breve articolo cerchiamo di mettere in evidenza alcune delle informazioni e dei dati forniti dal ministro.
Innanzitutto Bonafede ha comunicato che 1600 smartphone sono stati distribuiti agli istituti e altri 1600 sono in via di acquisizione (anche grazie al contributo importante della Compagnia di San Paolo). Certamente un dato importante. Fin dal primo decreto del governo di sospensione dei colloqui avevamo chiesto di dotare le carceri di telefoni cellulari per poter garantire un contatto telefonico maggiore rispetto al passato. Ci auguriamo che tutte le carceri ora garantiscano ai detenuti un numero di chiamate superiori rispetto alla norma. L'incremento dei colloqui telefonici e delle videochiamate, così come l'innalzamento dei limiti di spesa per ciascun detenuto o la possibilità di ricevere vaglia postali online (misure annunciate dal Ministro) sono importanti, ma da sole non bastano.
Dichiarazione dei principi relativa al trattamento delle persone private della libertà nel contesto della pandemia del Coronavirus (COVID-19).
Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT). Pubblicato il 20 marzo 2020
La pandemia del Coronavirus (COVID-19) ha posto di fronte a sfide straordinarie le autorità di tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa. Ci sono sfide specifiche e impegnative per il personale che lavora nei diversi luoghi di privazione della libertà, tra cui le strutture di custodia di polizia, gli istituti penitenziari, i centri di detenzione per migranti, gli ospedali psichiatrici e le case di cura sociale, così come nelle diverse strutture di nuova creazione dove le persone sono messe in quarantena. Pur riconoscendo l’indiscutibile imperativo di agire con fermezza per combattere COVID-19, il CPT deve ricordare a tutti gli operatori la natura inderogabile della proibizione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti. Le misure di protezione dal virus non devono mai tradursi in un trattamento inumano o degradante per le persone private della libertà. Secondo il CPT, i seguenti principi dovrebbero essere applicati da tutte le autorità competenti responsabili per le persone private della loro libertà all'interno dell'area del Consiglio d'Europa.