In data 11 settembre 2019 una delegazione di Antigone ha fatto visita alla casa circondariale di San Vittore "Francesco di Cataldo". La struttura contava 1076 detenuti presenti, e oltre il 62% di stranieri, con una significativa sofferenza legata al sovraffollamento (capienza regolamentare 798), considerate le chiusure del 2° del 4° raggio e del Conp (Centro di osservazione neuropsichiatrica) che riducono sensibilmente questa cifra, facendo salire il sovraffollamento oltre il 160%. In tale data la delegazione ha potuto constatare la presenza nel centro clinico della casa circondariale di una persona che versa in gravi condizioni di salute, già dichiarate incompatibili con la detenzione dal magistrato di sorveglianza competente.
di Patrizio Gonnella da il manifesto del 15 agosto 2019
Stupirsi della violenza significa fare il gioco del fascismo, scriveva Walter Benjamin. La violenza è parte costitutiva dei rapporti di potere presenti nella società. La violenza è il cuore del diritto penale e della risposta punitiva dello Stato. È questa una violenza regolamentata, strutturata, limitata. La passione per le punizioni, che ha tragicamente permeato di sé il mondo contemporaneo, richiede però un tasso di violenza ulteriore, una violenza “illegale”, “arbitraria”, “rapsodica”. In momenti storici e politici come quello attuale, quando si sentono ministri evocare espressioni quali «marcire in galera» oppure ammiccare a coloro che bendano e legano un indagato durante un interrogatorio, quell’uso e abuso di una violenza “illegale”, “arbitraria” e “rapsodica” viene percepito come parte della pena stessa, nella certezza interiore dell’impunità e del giudizio comprensivo, se non addirittura benevolo, dei cattivi maestri al potere. D’altronde basta leggere alcuni siti informativi di polizia o le loro pagine social per capire di cosa stiamo parlando: i detenuti sono chiamati bastardi o nella migliore dell’ipotesi camosci, riproponendo uno slang carcerario antico, offensivo e violento.
di Patrizio Gonnella, da il manifesto del 30 luglio 2019
Nelle caserme e nei commissariati nessun fine giustifica i mezzi. La retorica sostanzialista nel lavoro di polizia è quella per cui tutto è lecito pur di ottenere giustizia o di raggiungere rapidamente la verità.
Si tratta di una retorica pericolosa, fuori dall’arco di ciò che è lecito in una democrazia. Il confine ai poteri di polizia è ciò che distingue un regime illiberale da uno Stato costituzionale di diritto. In quest’ultimo nessuno deve abusare dei propri poteri di custodia. Uno Stato forte è quello che reprime il crimine nel rispetto delle proprie regole. Le immagini che hanno fatto il giro del mondo della persona arrestata, bendata e ammanettata, evocano la retorica sostanzialista delle mani libere.
È del tutto privo di senso logico, strumentale, nonché istituzionalmente scorretto giustificare la condotta dei carabinieri, così come ha fatto il ministro degli Interni Matteo Salvini quando ha scritto che: «A chi si lamenta della bendatura di un arrestato, ricordo che l’unica vittima per cui piangere è un uomo, un figlio, un marito di 35 anni, un Carabiniere, un servitore della Patria morto in servizio per mano di gente che, se colpevole, merita solo la galera a vita. Lavorando. Punto».
Questo breve post del ministro merita almeno tre diverse considerazioni.
Con due suicidi negli ultimi due giorni sono diventati 28 i detenuti che si sono tolti la vita nelle carceri italiane dall'inizio dell'anno. Un numero che segna un vero e proprio dramma del sistema penitenziario del nostro paese. Gli ultimi due detenuti ad uccidersi sono stati un polacco di 32 anni nel carcere di La Spezia e un rumeno di 37 anni nel carcere di Reggio Calabria. Proprio in questo istituto l'Osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione aveva trovato una situazione complicata, in particolare riferimento al sostegno psicologico che, dei penitenziari visitati nel 2018, era risultato tra quelli più carenti. Erano state rilevate infatti solo 2,1 ore di presenza degli psicologi per 100 detenuti a fronte di una media nazionale di 13,5.
Anche il personale di polizia penitenziaria era risultato molto carente. Mentre la media nazionale da noi rilevata era di 1,8 detenuti per ogni agente nel carcere di Reggio Calabria Arghillà erano 3,8.
Oggi è stato presentato un rapporto attraverso il quale abbiamo voluto fotografare il sistema penitenziario italiano in questi primi mesi del 2019. Ciò che emerge è il perdurare dello stato di sovraffollamento. Al 30 giugno 2019 i detenuti ristretti nelle 190 carceri italiane erano 60.522. Negli ultimi sei mesi sono cresciuti di 867 unità e di 1.763 nell’ultimo anno. Il tasso di sovraffollamento è pari al 119,8%, ossia il più alto nell’area dell’Unione Europea, seguito da quello in Ungheria e Francia. Il Ministero della Giustizia precisa che i posti disponibili nelle carceri italiane sono 50.496, un dato che non tiene conto delle sezioni chiuse. Ce ne sono ad Alba, a Nuoro, a Fossombrone e in tantissimi altri istituti. Il carcere di Camerino è vuoto dal terremoto del 2016 ma tutti i posti virtualmente disponibili sono contegiati. Secondo il Garante nazionale delle persone private della libertà alla capienza attuale del sistema penitenziario italiano vanno dunque sottratti almeno 3.000 posti non agibili. A Como, Brescia, Larino, Taranto siamo intorno a un tasso di affollamento del 200%, ossia vivono due detenuti dove c’è posto per uno solo. Nel 30% degli istituti visitati dalla nostra associazione in questi primi mesi dell'anno sono state riscontrate celle dove non era rispettato il parametro minimo dei 3 mq. per detenuto, al di sotto del quale si configura per la giurisprudenza europea il trattamento inumano e degradante.