"Viene da domandarsi tra quanti anni la Lega, alla ricerca del consenso elettorale, modificherà nuovamente la legge per la legittima difesa. Se passeranno 13 anni, come dall'ultima volta che lo fece o stavolta ci metterà meno". Queste le dichiarazioni di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, a seguito dell'approvazione della legge che modifica l'art. 52 del codice penale sulla legittima difesa. La norma, risalente al Codice Rocco di epoca fascista era stata infatti già modificata nel 2006, dal governo di centro-destra, sempre su impulso della Lega.
"La pretesa di immunità per chi dovesse ferire o uccidere un presunto ladro, che la Lega va vendendo da tempo, non esiste - sostiene Gonnella. Dinanzi all'utilizzo di un'arma da fuoco, ancor più quando questo utilizzo provochi la morte di una persona, partirà sempre un'indagine e un eventuale processo. Sarà poi la magistratura a decidere se quell'episodio rientra in ciò che si può definire legittima difesa o meno. Quando questa assenza di impunità che il partito del ministro Salvini va propagandando sarà un'evidenza, allora forse la Lega dovrà tornare a modificare la legge nell'unico modo possibile, quello di intervenire sull'indipendenza della magistratura. Nel frattempo però questo falso messaggio di presunzione assoluta di impunità, potrebbe essere male interpretato dai cittadini, così stimolati ad un uso indebito delle armi".
"Purtroppo questa legge porta con sé un brutto messaggio ai cittadini, invitandoli a difendersi da soli (anche con le armi) piuttosto che rivolgersi alle forze di polizia, che ne escono così fortemente delegittimate nella loro funzione. Ben diversa è stata la reazione in Nuova Zelanda dove, a seguito di un atto terroristico, il governo ha deciso di ridurre il numero delle armi che girano nel paese. Più armi ci sono in giro, più morti avremo".
Giustizia. Mauro Palma presenta la Relazione annuale sulle persone private della libertà davanti alle più alte cariche dello Stato. Il sovraffollamento non è una fake news. Come non lo è l’aumento dei suicidi, l’abuso dell’isolamento disciplinare, l’allungamento della detenzione dei migranti
di Patrizio Gonnella, da il manifesto del 28 marzo 2019
«La sofferenza, sia essa la risultante di proprie azioni anche criminose, del proprio desiderio di una vita diversa e altrove, della propria vulnerabilità soggettiva, merita sempre riconoscimento e rispetto. Merita un linguaggio adeguato, soprattutto da parte di chi ha compiti istituzionali. L’espandersi di un linguaggio aggressivo e a volte di odio, costruisce culture di inimicizia che ledono la connessione sociale e che, una volta affermate è ben difficile rimuovere». Così Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, ha concluso la sua Relazione annuale al cospetto delle più alte cariche dello Stato, tra le quali il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio, il Presidente della Camera, il presidente della Corte Costituzionale e il ministro della Giustizia. A proposito di linguaggio aggressivo echeggiavano nella testa di tutti i presenti a Montecitorio quelle espressioni truci, anti-costituzionali, oggi ricorrenti nella retorica istituzionale, come «marcire in galera» o «buttare la chiave».
Da circa 10 mesi Antonio Consalvo, 33enne di Pordenone, si trova nel carcere di Colombo, la capitale dello Sri Lanka. Nel maggio scorso, mentre faceva scalo all'aeroporto di Colombo, di ritorno in Italia dopo un soggiorno in Thailandia, è stato arrestato perché in possesso di una dose di marijuana. Da allora, stando a quanto riferito dalla madre e da vari quotidiani, non è stato sottoposto ad alcun processo ed è detenuto in condizioni disumane, in una cella condivisa con circa 80 detenuti che fanno i turni per dormire. E' tramite il suo avvocato, Ahmed Munasudeen, che la madre riceve informazioni. A febbraio 2019, le autorità consolari lo avevano visitato due volte. Pare che durante la detenzione abbia contratto una bronchite e un'altra non precisata infezione.
Dopo un appello rivolto a febbraio alle istituzioni affinché si mobilitassero per ristabilire i diritti del figlio, la madre, Lucia Catania, il 5 marzo si è recata nel carcere di Colombo, dove ha potuto incontrare il figlio, il quale le ha chiesto un cuscino e un sapone antibatterico. Aveva irritazioni cutanee sparse e lamentava il mancato avvio del processo. A fronte della evidente fragilità delle garanzie processuali, della frequenza con cui hanno luogo casi di tortura e detenzioni arbitrarie nello Sri Lanka, oltreché della disumanità delle condizioni detentive denunciate da autorevoli organizzazioni internazionali impegnate nella promozione dei diritti umani, auspichiamo che il Governo presti al caso tutta l'attenzione che esso richiede.
Noi continueremo a seguirlo, qualora serva anche giudiziariamente, affinché si arrivi a una rapida scarcerazione e un altrettanto rapido rientro in Italia.
Ramallah, 14 Marzo 2019 - Questa settimana, una delegazione italiana del Garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale e della nostra associazione ha svolto una missione in Palestina per realizzare una tre giorni di formazione rivolta ai funzionari del Ministero della Giustizia e ai suoi partner, allo scopo di presentare e trasferire best practices italiane e metodologie utilizzate nel monitoraggio dei diritti umani nei centri di privazione di libertà.
Questa missione si inserisce nel quadro del progetto Karama: verso un sistema rispettoso dei diritti umani e della dignità delle persone, finanziato da AICS Gerusalemme (Agenzia Italiana per la cooperazione allo Sviluppo), e ribadisce la cooperazione su questo terreno, avviata con la visita dei funzionari del Ministero della Giustizia Palestinese presso l’omologo Ministero italiano a novembre 2014, sul tema “Diritti umani e organizzazione penitenziaria”.
"E' il principio di proporzionalità che deve governare il sistema penale che altrimenti perde razionalità". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, a seguito della sentenza n. 40 della Corte costituzionale depositata in data odierna. Con questa sentenza la Corte dichiara illegittimo l'articolo 73, primo comma, del Testo unico sugli stupefacenti il quale prevedeva una pena minima edittale di 8 anni. Secondo la Corte proprio il minimo previsto per la fattispecie ordinaria (8 anni) e il massimo previsto per quella di lieve entità (4 anni), sarebbero in contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità, ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), oltre che con il principio della funzione rieducativa della pena (articolo 27 della Costituzione). Il minimo edittale diviene quindi ora di 6 anni, mentre resta invariato il massimo della pena, previsto in 20 anni.
"La sentenza della Corte - dichiara Gonnella - è in chiara controtendenza contro le derive populiste nelle quali siamo immersi. Il diritto non può affidarsi a categorie ad esso estranee. Non si possono prevedere pene a caso a seconda degli umori e dei bisogni di consenso. La Corte - sostiene ancora il presidente di Antigone - ci ricorda dunque come in ambito penale il faro debba sempre essere quello della proporzionalità del sistema penale e della funzione costituzionale rieducativa della pena e non l'uso populistico della giustizia che arrivi ad assumere le sembianze di una vendetta".
"Eliminare la lieve entità come proposto da Salvini - conclude Patrizio Gonnella - significherebbe potenzialmente portare in carcere per minimo 6 anni anche coloro che dovessero essere trovati in possesso di pochi grammi di sostanze. Una proposta che si allontana nettamente dalla pronuncia odierna della Corte e che per questo va fermamente respinta al mittente".