La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla possibilità di perseguire i presunti autori di torture anche laddove non sia possibile notificare gli atti ai soggetti chiamati a rispondere di queste accuse, nello specifico nel caso di Giulio Regeni, ci dice una cosa fondamentale, cioè che la tortura va sempre perseguita.
La Consulta scrive che «non è accettabile, per diritto costituzionale interno, europeo e internazionale» la paralisi senza fine del processo per l'impossibilità di notificare gli atti a causa della mancata cooperazione del Paese di appartenenza degli imputati. Una situazione che si risolverebbe in "un'immunità de facto", che offende tra l'altro i diritti inviolabili della vittima (art. 2 Cost.) e il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in un quadro in cui la codificazione della tortura "è connaturata alla radicale incidenza di tale crimine sulla dignità della persona umana".
Anche a fronte di tale pronuncia chiediamo ancora una volta a Governo e Parlamento di archiviare definitivamente ogni proposito di modifica o, peggio ancora, abolizione del reato di tortura che, come ricorda la Consulta, va sempre e ovunque perseguita.
Il tema della sanità penitenziaria è un tema centrale per quanto riguarda l'esercizio di uno dei principali diritti della persona, stabilito anche dall'articolo 32 della Costituzione: quello alla presa in carico sanitaria e quindi alla salute.
Il carcere, come anche il mondo esterno, risente molto dai tagli e dalle difficoltà che il Servizio Sanitario Nazionale subisce. Con l'unica differenza che, per chi è recluso, non c'è la possibilità - anche laddove ci siano le risorse economiche - di affidarsi a visite specialistiche private. Questo comporta tempi di attesa a volte anche di alcuni mesi.
Inoltre, non in tutte le carceri, l'assistenza medica o infermieristica è fornita per tutte e 24 le ore della giornata. Spesso, al fianco dei medici di medicina generale, mancano gli specialisti o la loro presenza è prevista solamente per poche ore. Un tema che ha bisogno di essere rimesso al centro dell'agenda e su cui, alcune delle persone detenute nella Casa di Reclusione di Rebibbia hanno voluto accendere una luce con un loro appello (che puoi leggere qui).
APPELLO. Non c’è Paese democratico al mondo che, per salvare un manipolo di poliziotti accusati di questo reato, abbia cambiato in corso le regole del gioco mettendo mano al delitto. Deputati e senatori della Repubblica non si rendano complici di questo misfatto giuridico.
di Patrizio Gonnella su il manifesto del 12/10/2023
È di due giorni fa la notizia delle accuse di tortura nei confronti di 23 agenti di polizia penitenziaria a Cuneo. Ancora una volta, in alcuni commenti, piuttosto che soffermarsi su quanto accaduto si evoca la necessità di mettere mano alla legge che proibisce la tortura. È come se a seguito di una persona ammazzata si discutesse di abolire il reato di omicidio. Chiunque assecondi, promuova, voti un provvedimento di legge che cancella o modifica l’articolo 613-bis, introdotto nel codice penale nel 2017, si renderà complice di un atto di impunità di massa. Esistono vari disegni di legge pendenti a riguardo e pare sia intenzione del Governo mettere mano alla norma.
In premessa va ricordato che la legge contro la tortura fu approvata dopo un’intollerabile attesa di quasi trent’anni. Era il 1988 quando l’Italia si era impegnata a prevedere un reato che punisse i torturatori, ratificando la Convenzione dell’Onu. Per trent’anni, in particolare a destra, c’era chi aveva remato contro la codificazione del delitto di tortura affermando che non andassero criminalizzate le forze dell’ordine alle quali bisognava lasciare le mani libere.
Tra i prossimi pacchetti di riforme del governo potrebbero esserci anche misure di intervento sul reato di tortura. Amnesty International Italia e Antigone hanno già espresso la loro preoccupazione su una decisione che potrebbe avere un impatto sui reati perseguibili e le pene dei processi per sospetto di tortura, sia per processi attualmente in corso, sia quelli che hanno già visto condanne in primo grado. Una preoccupazione crescente anche facendo riferimento all’ultimo caso di presunte torture che sarebbero avvenute nel carcere di Cuneo e che vedrebbe accusati 23 agenti penitenziari in servizio presso questo istituto di pena.
Il reato di tortura è stato introdotto nel codice penale italiano solo nel 2017, dopo quasi 30 anni di attesa dalla ratifica della Convezione delle Nazioni Unite contro la tortura. Non risulta alcun altro caso in cui tale reato, la cui previsione è oggetto di un obbligo internazionale, sia stato abrogato.
Lo scorso 19 settembre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto-legge n. 124 “Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonché in materia di immigrazione”. All’interno sono incluse le norme che riguardano l’aumento dei tempi di trattenimento nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) e l’apertura di ulteriori strutture, almeno una per regione nelle intenzioni del Governo.
Il decreto ha così iniziato il suo iter di conversione in legge in Parlamento. A tal proposito, nei giorni scorsi, dalla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati è giunta la richiesta di presentare dei documenti che potessero essere utili alla discussione. Insieme alla Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD) abbiamo perciò deciso di presentare un testo (che si può leggere qui) che evidenziasse le molte criticità che il sistema della detenzione amministrativa ha evidenziato nei suoi 25 anni di storia.