Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator "Un mondo chiuso, ma serve dialogo. Vivono se stessi come città nella città", La Repubblica, 13/04/07

"Un mondo chiuso, ma serve dialogo. Vivono se stessi come città nella città", La Repubblica, 13/04/07

Colloquio con il ministro dell'Interno Amato dopo gli scontri di Milano
"C'è ghiaccio nei rapporti con la comunità cinese, ma il caso non è disperato"

"Un mondo chiuso, ma serve dialogo
Vivono se stessi come città nella città"

di VLADIMIRO POLCHI

ROMA - "Quella cinese è una comunità chiusa, con cui è difficile dialogare". Giuliano Amato è nel suo ufficio al Viminale. E' appena tornato da un incontro con il premier Romano Prodi. Sulle agenzie segue l'evolversi degli scontri di Milano: decine di feriti e contusi tra le forze dell'ordine e i cinesi. Auto rovesciate, mezza città bloccata. Il caos per oltre sei ore. Sono le 18:30, sul computer il ministro legge l'e-mail di uno scrittore. Si chiama Stefano Cammelli, esperto di Cina. Scrive un messaggio breve, duro: "I cinesi non amano l'Italia". "Ecco, questo è ciò che sento da tempo - spiega a Repubblica il ministro dell'Interno -, la difficoltà che abbiamo con la comunità cinese: la più chiusa, tra quelle che vivono oggi nel nostro Paese".

Per il responsabile del Viminale gli scontri di Milano sono l'occasione per una più ampia riflessione sul fenomeno migratorio. "Gli immigrati non esistono come categoria generale - sostiene il ministro - ma si presentano sotto diverse tipologie, ciascuna con un proprio atteggiamento". Insomma, non esiste la massa indistinta degli extracomunitari, ma esistono gli indiani, i romeni, i cinesi, gli africani, con proprie caratteristiche e problematiche. Gli uni distinti dagli altri. E con una diversa propensione all'integrazione.

"Alcune comunità - commenta Amato - sono inclini all'integrazione e ottimisticamente rivolte alla sua realizzazione: è il caso, per esempio, degli albanesi e dei marocchini (le due comunità più numerose in Italia, con 348mila e 319mila residenti rispettivamente, ndr)". In altri casi, invece, la convivenza si fa più difficile: "Alcune tipologie di immigrati sentono tutta la frustrazione delle difficoltà all'integrazione. Penso - precisa il ministro - agli islamici orientali, per esempio. In questo caso, l'isolamento nasce come una forma di ripiegamento".
Per quel che riguarda la comunità cinese l'analisi è diversa. Il ministro dell'Interno non nasconde la preoccupazione: "Per i cinesi, isolarsi sembra quasi una condizione prescelta". L'integrazione "è un problema che sembrano non sentire. Per questo, costruire un rapporto con loro diventa davvero difficile".

E' un quadro con poche luci e molte ombre. "Nella mia mappa della presenza dei cinesi in Italia - racconta Amato - ho piantato alcune bandierine felici, ma continuo a registrare delle difficoltà". A tale proposito, il ministro ricorda i suoi corsi alla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa: "Dove insegno, c'è qualche cinese laureato, immigrato di seconda generazione, di Prato: giovani che si adoperano ad aprire quella comunità e la sua organizzazione del lavoro".

Un impegno di cui Amato vede tutta la difficoltà. "In effetti - commenta - questi giovani che tentano di aprire le proprie comunità, sono degli autentici rompighiaccio... e quando serve il rompighiaccio è perché c'è appunto del ghiaccio".

Dietro alla giornata di guerriglia a Milano si nasconderebbe dunque anche un problema di incomunicabilità. "La comunità cinese - sostiene Amato - è quella che più vive se stessa come una città nella città e d'altronde questo vedono tutti i giorni i cittadini". Le Chinatown, insomma, sono diventate isole impermeabili, con cui è difficile entrare in contatto.

I fatti di Milano devono ora far pensare. "Facciamo in modo - si propone il ministro - che gli incidenti ci obblighino a capire questa situazione, perché è senz'altro un problema che dobbiamo porci". Sia ben chiaro, "un problema culturale, guai a scambiarlo per altro, ma pur sempre un problema e come tale bisogna vederlo".

Giuliano Amato liquida come "sciocchezze" i tanti discorsi "sulle presunte differenze tra noi e loro, per esempio la convinzione che noi abbiamo un superiore spirito imprenditoriale. Basta andare a fare una visita a Shanghai per accorgersene. Anche se - aggiunge il ministro - i modi di pensare sono certo molto diversi. Ho visto persone sull'orlo di una crisi di nervi condurre trattative usando il nostro linguaggio e approccio, che non riusciva a passare".

Questa la fotografia della situazione attuale. E il futuro? "Gli scontri di Milano - insiste Amato - dimostrano che con gli immigrati di origine cinese c'è ancora molto lavoro da fare". Una missione senz'altro difficile, ma non impossibile. "Non un'impresa disperata". Con realismo Amato conclude: "Tra le tante imprese che abbiamo davanti, questa resta una delle più complicate, ma senz'altro necessaria".
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