Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator Il far west che brucia i cuori delle città, La Repubblica, 4/10/06

Il far west che brucia i cuori delle città, La Repubblica, 4/10/06

Il moltiplicarsi di episodi di violenza nei centri urbani mostra
le zone d'ombra della convivenza tra cittadini e nuovi immigrati

Il far west che brucia
i cuori delle città

di EDMONDO BERSELLI



NON è l'Italia delle banlieue. Non c'è un'insurrezione generalizzata, di tipo parigino, con le auto incendiate ogni notte dalla furia della rivolta metropolitana. Nelle nostre città c'è un fenomeno sociale e urbano nuovo, di tipo più "americano": quartieri che progressivamente vedono addensarsi l'immigrazione clandestina, con effetti spettacolari di degrado e illegalità, a cui segue la fuga dei residenti storici, dopo una convivenza resa nevrotica dall'aggravarsi quotidiano delle condizioni civili.

Il caso di Torino, con la "guerra dei pusher" e la resistenza violenta di spacciatori e tossicodipendenti contro le forze dell'ordine è forse l'acme di uno stato di intollerabilità sociale: un'area di 640mila metri quadri tra Corso Giulio Cesare e lo Stura, lo spaccio di droga gestito dagli immigrati africani, la sassaiola contro la polizia, un annegato e un disperso nel torrente, 33 arresti in 24 ore, pneumatici accatastati per bloccare le strade come in una guerriglia urbana. "Tossic park", lo chiamano a Torino, e il nome sembra di per sé una sentenza irrevocabile.

Un pezzo di città che ha guadagnato una sorta di extraterritorialità, un Bronx che fronteggia senza inibizioni la città ufficiale, presentabile, borghese.
Ma ovviamente non è una specialità torinese. A Milano la zona prospiciente la Stazione centrale è un'area ad altissimo quoziente di criminalità, e il campo comunale del Triboniano, zona Nord della capitale morale e morattiana è in attesa dell'azione di sgombero continuamente agitata dalle autorità: doveva raccogliere 230 zingari Rom, è diventato una concentrazione assurda di clandestini, oltre 600 persone, decisamente al di là dell'invivibilità e della decenza.

A Padova, la zona di via Anelli è assurta alla celebrità sul piano europeo per il "muro" eretto in poche ore per separare la città della droga dalla città normale. A Sassuolo, la zona di via Adua è divenuto un altro caso nazionale, dopo il filmato girato con il cellulare che mostrava il pestaggio di un carabiniere e un poliziotto ai danni di un maghrebino: e il quartiere Braida è passato alle cronache perché il portiere di un condominio in sfacelo, ad altissimo tasso di clandestinità, si avventura nei corridoi solo con un rottweiler al guinzaglio.

Nel centro di Firenze, a due passi dal duomo, le viuzze fra piazza San Lorenzo, il grande mercato ortofrutticolo e il complesso di Sant'Orsola sono una specie di suk, frequentatissimo dai turisti di giorno e pericoloso di notte, teatro di violenze, aggressioni e molestie se non autentici tentativi di stupro.

E poi Roma, con il raid incendiario contro il bar dei romeni, "padroni" della borgata del Trullo, dopo una lunga vicenda di occupazione che aveva portato all'esasperazione i vecchi abitanti della zona, disperati per le maratone notturne e i faccia a faccia diurni. Oppure Bologna, con il degrado di Piazza Verdi e delle vie vicine alle due Torri, "un centro storico in condizioni inaccettabili, non compatibili con un livello europeo di convivenza urbana", come aveva ricordato il politologo Piero Ignazi, e che era stato sottoposto a una legislazione d'emergenza da parte del sindaco Sergio Cofferati, con il coprifuoco alcolico e misure di controllo che non sembrano avere dato risultati incisivi.

Già, Bologna. L'alone di socialità e civiltà. Ma ora anche di disagio urbano e violenza diffusa. Gli stupri nei parchi, l'identificazione degli immigrati come i colpevoli perfetti anche di violenze immaginarie. Ce n'è abbastanza per far dire al cardinale Carlo Caffarra, che Bologna è "una città disgregata", segnata in profondità da "un grave malessere sociale". Ma non è detto che i verdetti morali siano utili per descrivere, e quindi comprendere, la nuova realtà delle "città nelle città", i nuclei di disagio, di dolore e di crimine incistati nel tessuto urbano.

Asher Colombo, un sociologo che a fini di studio ha frequentato per anni la comunità degli immigrati illegali nei pressi della Stazione centrale di Milano, tende infatti a relativizzare il grado di allarme sociale determinato dalla presenza delle enclave extralegali nelle città italiane: "Non abbiamo traccia, nelle indagini, di un incremento della percezione di insicurezza da parte dei cittadini a causa dell'immigrazione. Non c'è la paura generalizzata dell'immigrato. Anzi, si potrebbe sostenere che in molti casi si è formata un'abitudine alla convivenza almeno con i regolari".

E allora, dov'è il problema? Semplice: quasi in ogni città si formano nuclei d'insediamento illegale che tendono ad attrarre ulteriore immigrazione clandestina, in concentrazioni talora parossistiche. Il panorama urbano si riempie di quelli che un sociologo come Marzio Barbagli identifica come "segni di degrado, o di inciviltà: cioè violazioni di norme, talvolta non scritte ma ampiamente condivise, riguardanti l'uso dello spazio pubblico: lo spaccio di droga, il commercio delle prostitute, la presenza dei mendicanti, dei senza fissa dimora, degli ubriachi, le scritte sui muri, le cabine del telefono danneggiate, le strade sporche".

Ciò determina un fenomeno ben visibile, esemplare a Padova in via Anelli e a Porta Palazzo a Torino, ossia l'esodo degli abitanti, che svendono le loro residenze al primo offerente. E nello stesso tempo si assiste a forme speculative selvagge gestite da italiani, come gli affitti altissimi in nero, che gli immigrati accettano per subaffittare a loro volta ai connazionali, ottenendo da 400 a 500 euro mensili per un posto letto, in un circuito collusivo di sfruttamento per cui da illegalità nasce continuamente illegalità.

Non ci sono ricette, formule, soluzioni immediate su come si possa fronteggiare un fenomeno del genere, in cui la "casbah" illegale fronteggia i quartieri ristrutturati della piccola borghesia metropolitana e confini immateriali dividono le comunità. La politica degli sgomberi fa esplodere contrasti politici seri all'interno delle maggioranze di centrosinistra. A Bologna, Cofferati si è guadagnato la fama di "sceriffo" per gli sgomberi della favela di extracomunitari in via Roveretolo, estrema periferia fra la tangenziale e l'autostrada, e l'abbattimento delle baracche dei romeni sul lungo Reno, giustificando queste operazioni con una questione di contrabbando d'oro, commercio di droga e, nel caso del lungo Reno, di sfruttamento attraverso il lavoro nero, ma guadagnandosi aspre censure dalla sinistra "sociale".

Se a Milano le giunte di centrodestra sono state vocalmente favorevoli alla mano dura, come poche settimane fa con lo sgombero di un edificio occupato da irregolari in via Cavezzali, i sindaci emiliani tendono a graduare gli interventi di sgombero alternandoli con l'azione dei servizi sociali.

Ma è proprio nel settore dei servizi che si manifesta l'attrito fra italiani e immigrati. "Spesso più che la criminalità - dice ancora Asher Colombo - l'insofferenza verso gli stranieri sorge quando vengono percepiti come "rivali nel welfare", in quanto approfittano di quelle risorse di servizio sociale che stanno diventando sempre più scarse per gli autoctoni. I cittadini che precipitano nelle graduatorie degli asili nido o sono costretti alle code al pronto soccorso maturano frustrazioni che poi tendono a proiettare sul piano della convivenza".

Infatti Tiziana Caponio, che ha appena pubblicato con il Mulino una ricerca dedicata ai casi di Milano, Bologna e Napoli (Città italiane e immigrazione), segnala che anche le giunte di sinistra dovranno fare i conti con politiche restrittive, quindi potenzialmente generatrici a loro volta di nuovi conflitti.
Ma più che il faccia a faccia sociale, è il faccia a faccia fisico, sulla scena metropolitana, a disegnare il modello della convivenza difficile. Si sta realizzando in via informale, senza alcuna deliberazione ufficiale, ciò che i criminologi chiamano "zoning", la definizione di aree urbane a bassa legalità, che conviene circoscrivere più che bonificare e riqualificare. Sacche abitative e circuiti commerciali sotto la soglia della legalità. Città nelle città, per l'appunto. Forse, più che un problema di disintegrazione civile, è un caso di impermeabilità anche culturale: che alla fine potrebbe prendere l'infamante, per tutti, etichetta di ghetto.

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