Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator Giustizia, smantellata la riforma Castelli, di G.Di Lello, Liberazione 11/10/06

Giustizia, smantellata la riforma Castelli, di G.Di Lello, Liberazione 11/10/06

Giustizia, smantellata la riforma Castelli
Giuseppe Di Lello
In Senato abbiamo affrontato e, speriamo, risolto la spinosa questione della responsabilità disciplinare dei magistrati con un accordo con il centrodestra sulla cui bontà occorre spendere qualche riflessione.

A fronte di una responsabilità per il loro operato - nell’esercizio delle funzioni e/o nella vita privata - affidata alla giurisprudenza del Csm e all’arbitrio dei vertici giudiziari, da anni i magistrati reclamavano una “tipicizzazione” delle condotte rilevanti sotto il profilo disciplinare. Il governo di centrodestra nella scorsa legislatura aveva varato una riforma complessiva dell’ordinamento giudiziario, con un annesso codice disciplinare che, anziché specificare e rendere tassative quelle condotte, allargava a dismisura il campo dell’azione disciplinare con norme assolutamente vaghe e generiche. Il giudice, in buona sostanza, con la riforma Castelli, nella vita civile poteva ritenersi “salvo” solo se accettava di escludersi dalla stessa o di parteciparvi come soggetto muto e inerte, mentre nell’esercizio delle funzioni doveva stare attento a cosa pensava e cosa scriveva senza nessuna autonomia di giudizio o di critica.

Su tutto ciò, sia ben chiaro, la riforma Castelli è stata smontata punto su punto, a cominciare dal cancellato incipit dell’art.1 (“il magistrato, anche fuori dall’esercizio delle proprie funzioni, non deve tenere comportamenti, ancorchè legittimi, che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell'istituzione giudiziaria”) per finire con la norma di “chiusura” dell’art. 3, anch’essa cancellata (ogni altro comportamento tale da compromettere l’indipendenza, la terzietà e l’imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell’apparenza). E’ ovvio che, mantenendo queste due norme generiche e onnicomprensive, tutto l’impianto della tipicizzazione sarebbe risultato vano proprio perché qualunque comportamento non previsto dagli specifici illeciti sarebbe stato riconducibile ad una di esse!

Abbiamo eliminato altre norme o troppo generiche (“il perseguimento di fini estranei ai suoi doveri ed alla funzione giudiziaria”) o limitatrici del diritto di critica, costituzionalmente protetto anche se riferibile all’attività giudiziaria (“la pubblica manifestazione di consenso o dissenso in ordine a un procedimento in corso quando, per la posizione del magistrato o per le modalità con cui il giudizio è espresso, sia idonea a condizionare la libertà di decisione nel procedimento medesimo”).

Non abbiamo potuto evitare il divieto di iscrizione a partiti politici (già previsto da anni nell’ordinamento interno dell'Associazione nazionale magistrati) perché ci è stato opposto il chiaro dettato dell’art. 98 della Costituzione che prevede la possibilità di stabilire limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per i magistrati.

Su questa base di rigida definizione degli illeciti si è poggiata la obbligatorietà dell’azione disciplinare, essendo illogico rinviare alla facoltatività, ovvero alla arbitrarietà, dei vertici giudiziari il perseguimento di condotte ben specificate: sarebbe stato come prevedere la discrezionalità dell’azione penale.

L’allarme di “intasamento” della sezione disciplinare del Csm per l’obbligatorietà della relativa azione è stato fugato con la possibilità di archiviazione data al Procuratore Generale “quando il fatto addebitato non costituisca condotta disciplinarmente rilevante o quando forma oggetto di denuncia non circostanziata”.

Abbiamo, infine, ottenuto di abolire quella mostruosità di una azione disciplinare seguita anche dal “delegato” del ministro che, nell’ottica del centrodestra, avrebbe segnato un controllo costante dell’esecutivo sull’operato dei giudici.

La maggioranza nella trattativa si è mostrata compatta e ciò ha scoraggiato il centrodestra dal tentare forzature o insistere su punti per noi irrinunciabili. Questo è stato un buon segnale, ma va anche detto che il vero segnale lo si è dato sia ai magistrati - fornendo loro un codice comportamentale che li tutela e non li limita come soggetti impegnati nella vita professionale e anche in quella civile - che ai cittadini, i quali ora sapranno con precisione quali comportamenti debbono attendersi dai magistrati quando vengono presi negli ingranaggi dei processi, civili e penali.

Questo “accordo” ha poi permesso di poter sospendere senza grandi pericoli di imboscate il decreto legislativo più importante, quello sull’accesso in magistratura, sulla separazione delle carriere e sulla progressione per concorsi costanti.

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