Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator La nostra vita che se ne va

La nostra vita che se ne va

di Stefano Anastasia

«L’ottanta per cento di noi è imputato …, e viviamo stipati in tre persone in uno spazio di 7 metri quadrati (tre persone, non una!), e usufruiamo di 3 ore “d’aria” al giorno, dentro una vasca di cemento e acciaio …. Precisiamo: nei 7 metri quadrati c’è il posto occupato da tre brande, dal water, dagli armadietti, dal lavandino, da un minitavolino con relativi sgabelli e dagli oggetti personali – pertanto lo spazio calpestabile si riduce a meno di 2 metri quadrati per tre persone, per 24 ore di fila. Questa non è una formula chimica, è la nostra vita che se ne va». Così scrivono i detenuti del carcere di Vicenza al loro magistrato di sorveglianza, al Comune e al Vescovo della città, alla stessa direzione dell’Istituto dove sono ristretti.

 

Sperano in qualche intervento istituzionale. A modo loro, credono nel principio di legalità: quello secondo cui, essendo accusati - più spesso che condannati – di aver commesso un reato, sono costretti in carcere; quello secondo cui spetta loro un trattamento umano e dignitoso, che non aggiunga nulla alla già penosa condizione della privazione della libertà.

Non sappiamo se i detenuti di Vicenza hanno avuto già una risposta dalle autorità interpellate. Certo non le avranno dal Parlamento, ormai aggrovigliato su stesso, a discutere di una proposta di legge inutile, che – forse – potrebbe dare più speditamente la detenzione domiciliare a qualche centinaia di persone. Si parla di una platea di potenziali beneficiari ridotta ormai a circa 2000 persone, su una eccedenza di presenze che è circa quindici volte tanto. Ciliegina senza torta, muove i primi passi la nuova legge sulle detenute madri: qualche ulteriore agevolazione normativa per mamme e bambini, ma senza il becco d’un quattrino per mettere su le case-famiglia che l’Amministrazione penitenziaria e i tartassati enti locali dovrebbero allestire per loro.
Ancora una volta ha vinto la Lega, che ha fatto della incarcerazione di massa la chiave del suo successo elettorale nel nord impaurito e incattivito. La patata bollente resta nelle mani del Ministro della Giustizia, incapace di farsi valere nella compagine governativa e responsabile politicamente del prossimo collasso delle carceri italiane. Finisce così, per chi una volta ci ha creduto, il mito del partito liberale di massa: se alle prime prove (il decreto Biondi, chi se lo ricorda?) ne liberavano cento per salvarne uno, ora gli basta salvarne uno (magari facendolo ministro e garantendogli il “legittimo impedimento” dal processo) e che gli altri restino in galera!

P.S.: scrivono anche altro i detenuti di Vicenza, riservatamente; ma sono fatti che spetterà alla Procura della Repubblica accertare …

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