Un furgone anonimo, come quelli che il comune usa per il trasporto dell’immondizia, si ferma in mezzo ad una via. Alcuni poliziotti scendono, e iniziano a identificare i ragazzini che si trovano per la strada in quel momento. Sono immigrati e molti di loro non hanno documenti. I poliziotti aprono le porte e li caricano a bordo: la destinazione probabilmente la immaginano, tornano dall’altro lato della frontiera, in Marocco. E’ la fine degli anni ’90 e siamo a Ceuta, con Melilla una delle due enclavi che Madrid possiede ancora in terra marocchina. Ceuta non è esattamente un pezzo di Spagna trapiantato sull’altra sponda del Mediterraneo, è qualcosa di diverso, è qualcosa di più. La città autonoma è soprattutto la porta di ingresso per i flussi migratori e per la droga proveniente dal Nord Africa. La criminalità è così importante nell’economia locale, che secondo quanto si racconta in città, quando in passato sono avvenuti arresti importanti di narcotrafficanti, i gioiellieri si sono lamentati per la perdita di clienti. Gli abusi e i rimpatri illegali di minorenni sono uno dei metodi con cui in quegli anni viene gestito l’ordine pubblico in città, sotto il controllo del prefetto Luis Vicente Moro e delle forze speciali di polizia alle sue dipendenze, i "cachorros de Moro", i cuccioli del prefetto.
E’ il 1998 e Moro è inviato dal Governo per porre un freno alla criminalità. A Ceuta in quegli anni il narcotraffico dilaga e la città è governata da politici collusi con la malavita. Se lo scenario è da serie poliziesca, le maniere di Moro non sono da meno. La sua mano dura si scontra fin da subito con le proteste delle associazioni per i diritti umani. L’Associazione Andalusa per i Diritti Umani (Apdha) denuncia subito i maltrattamenti nei confronti dei minori marocchini. Rafael Lara, presidente dell’associazione, ci racconta di come vengono alla luce gli abusi. Alcuni poliziotti, che non si adeguano ai nuovi metodi imposti da Moro, iniziano a denunciare i rimpatri illegali e i maltrattamenti ai danni di minori marocchini. Ma il sistema di potere messo in piedi dal prefetto è molto forte e chi sporge denuncia riceve intimidazioni e viene sospeso dal servizio. Ostacoli di ogni tipo vengono posti anche alle associazioni per i diritti umani, quando cercano di portare avanti denunce contro gli atteggiamenti della polizia. Un giudice, Francisco Tesòn, raccoglie queste accuse e inizia ad indagare sugli abusi. Il prefetto però non sembra gradire. Fa confezionare delle prove false, da cui emerge che Tesòn ha contatti con narcotrafficanti, le fa diffondere dalla polizia e riesce a far pubblicare la notizia sul quotidiano spagnolo più diffuso, El Paìs. Sono passati quasi dieci anni e l’attacco contro il giudice ora si è dimostrato un boomerang. Un tribunale ha dato ragione a Tesòn, che aveva querelato il prefetto: nello scorso ottobre Luis Vicente Moro è stato condannato a due anni per calunnie, insieme ad altri funzionari di polizia suoi complici. Questo potrebbe essere solo il primo passo. Il 5 febbraio è iniziato a Ceuta il processo che si pronuncerà sui maltrattamenti e le espulsioni illegali di minorenni. Grazie alle denunce delle associazioni per i diritti umani e al lavoro della magistratura iniziano ad apparire i tasselli del sistema di potere messo in piedi da Luis Vicente Moro, gli abusi commessi dalla sua gestione dell’ordine pubblico e l’uso arbitrario delle forze di polizia. Ora dalla giustizia si attende una parola definitiva sul prefetto che, inviato a combattere la criminalità, rimpatriava minori a bordo di furgoni dell’immondizia.
Giovanni Vegezzi
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