Carcere e indulto, contrastiamo il Calderoli che è in ognuno di noi |
Patrizio Gonnella e Luigi Nieri |
L’indulto approvato a fine luglio è stato un atto di giustizia sostanziale. Le ragioni, a volta misere, della politica lo hanno trascinato per lunghi anni in dibattiti altrettanto miseri, lasciando nel frattempo le galere strapiene di corpi poveri e umiliati dalla fine dell’era del welfare. Nei giorni immediatamente antecedenti all’approvazione definitiva si è scatenata una discussione politica e giornalistica basata su falsità così palesemente macroscopiche da svelarne facilmente il vero volto truce. In quei momenti sulle pagine dei grandi quotidiani, aldilà della voce isolata di Adriano Sofri, il mondo della cultura si è nascosto ben bene, con i suoi mal di pancia, dietro le parole di Eugenio Scalafari e le martellate di Marco Travaglio. La verità è che un pezzo della sinistra, anche radicale (vedi le posizioni del Pdci), ha celato dietro la tesi della inaccettabile salvaguardia dei potenti (che comunque, va detto e ribadito con l’indulto vengono regolarmente processati, e se condannati, si fanno un po’ di prigione e vengono comunque interdetti dalle loro precedenti funzioni) o della tutela dei lavoratori (mai nella storia dei provvedimenti di clemenza i reati in materia di lavoro sono stati esclusi e mai i datori di lavoro finiscono in galera per crimini di natura evidentemente colposa), un sentimento inconfessabile, una idea antica della pena quale vendetta pubblica e privata. Si è detto a sinistra: Previti stia in galera - gli extracomunitari vengano liberati in quanto vittime di una legge ingiusta. L’argomento è mal posto. Il finto buon cuore girotondino (ben interpretato da Di Pietro) verso i detenuti comuni è stato subito smascherato dopo i primi giorni, quando c’è stata la rincorsa mediatica, sempre nel silenzio di intellettuali e società civile, a raccontare i casi di indultati tornati a delinquere. Come se non si sapesse che sarebbe potuto accadere, visto che quei detenuti erano poveri prima di entrare in carcere e poveri sono usciti dalla porta carraia. Nel frattempo si sono perse le tracce di Previti, per il quale è più che sufficiente la marginalizzazione dalla vita politica ed economica. Chi lo vuole vedere marcire in carcere, ribadiamo, ha una idea della pena quale mera retribuzione e vendetta. La questione penale è quindi primariamente una questione culturale. Negli anni scorsi lo stesso linguaggio della sinistra si è deteriorato mutuando parole d’ordine importate da oltre oceano. Si pensi a quali e quante volte abbiamo sentito evocare la tolleranza zero. La sinistra deve tornare a fare un lavoro culturale per recuperare un proprio rapporto con la nozione di libertà e con il garantismo. Mario Gozzini era un cattolico eletto come indipendente nelle liste del Pci. La sinistra storica ha sempre in sé avuto almeno due anime. Insieme a chi, partendo dall’articolo 27 della Costituzione, difendeva con vigore una idea di diritto penale minimo, c’era chi votava la legge Reale o i braccialetti elettronici. La sinistra deve saper guardare alla società partendo dalle persone, da tutte le persone e dai loro diritti fondamentali, con uno sguardo mite e non violento. L’indulto ci ha costretti a misurarci con i sentimenti più profondi, quelli che senza filtri vengono fuori nell’opinione pubblica di sinistra contraria. Bisogna contrastare il Calderoli che è in ognuno di noi. Per farlo è necessario un lavoro culturale che non contrapponga più i diritti sociali ed economici a quelli civili e politici. I diritti umani sono interdipendenti e indivisibili. E fra i diritti primi fra tutti vi sono il diritto alla vita e quello all’integrità personale. Entrambi fortemente a rischio in un sistema penitenziario iper-affollato di stranieri, poveri, persone con problemi psichiatrici, tossicodipendenti. Tutte persone espulse dal nuovo welfare delle opportunità. Il 75% della popolazione detenuta è composto da extracomunitari e meridionali. I tassi di alfabetizzazione ci ricordano l’Italia del secondo dopo-guerra. Chi ha votato a favore del provvedimento di clemenza ha avuto il merito di non cedere agli argomenti facili e non lungimiranti di un pezzo della sinistra. Va costruita una sinistra europea moderna, che creda in una società umanocentrica, che sia consapevole che le prigioni sono una invenzione della modernità e che la post-modernità deve individuarne le vie del superamento. Nils Christie, teorico abolizionista, diceva che se ogni poliziotto si portasse a casa un detenuto avremmo risolto il problema delle prigioni. Non si tratta di liberarsi dalle carceri ma di liberarsi dalla necessità delle carceri. I detenuti di domani non sappiamo ancora chi saranno. Sappiamo chi sono i detenuti di oggi. E sappiamo che le carceri, anche le più pulite e ben gestite, sono sempre luoghi della pena e delle pene. Lo sapevano i nostri costituenti quando scrivevano che la detenzione non deve mai consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Alcuni di loro in carcere c’erano stati. Gramsci e Pertini sarebbero ben felici nel vedere che nel carcere di Turi, che li ha visti prigionieri, ora di prigionieri ce ne sono molto pochi perché l’indulto li ha quasi liberati tutti.
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