I no-cpt sfidano la «zona rossa»
Oggi a Bologna il corteo nazionale contro i centri per immigrati. Tante adesioni, ma i partiti del centrosinistra disertano. Gli attivisti contro i divieti della questura
Cinzia Gubbini
Inviata a Bologna
In piazza perché i centri di permanenza per migranti vanno chiusi. «Se non ora quando?», è il leit motiv della manifestazione nazionale che partirà oggi pomeriggio alle 14,30 da piazza Nettuno a Bologna. La domanda è retorica fino a un certo punto, perché in nuce c'è la delusione che anche nelle realtà più movimentiste si registra verso un governo che sui cpt ha tentennato. Troppe le dichiarazioni sul fatto che i centri «sono indispensabili», come ricorda anche la piattaforma. Considerata moderata la mediazione sullo «svuotamento» di quelle che molti considerano delle vere e proprie «galere etniche».
Una caterva le adesioni al corteo, prevalentemente da realtà di base e centri sociali del nord e del sud d'Italia, e perfino da Inghilterra, Austria, Spagna. L'appoggio arriva anche da personalità del mondo della cultura e dello spettacolo, dallo scrittore bolognese Carlo Lucarelli a Stefano Benni, Erri De Luca, Marco Revelli, Moni Ovadia e Renato Sarti, fino a gruppi musicali come i Subsonica e gli Assalti frontali. E' un mondo che si muove rivendicando la necessità di parlare delle migrazioni a partire dalla messa in discussione dei confini, entrando inevitabilmente in rotta di collisione con qualsiasi entità statuale.
Non è invece prevista la partecipazione neanche di un parlamentare della coalizione di centrosinistra. Mentre fino all'ultimo c'è stato con la questura un tira e molla per il percorso del corteo. La Digos ha ordinato di non superare il civico 48-50 di via Mattei. Al 60 c'è il centro di permanenza temporanea bolognese. Ma i promotori della manifestazione hanno già annunciato che «violeranno i confini». Qualche scaramuccia perfino per il concentramento del corteo: vietata piazza Maggiore, ci si sposterà nella vicina piazza Nettuno.
Nicola Grigion, da Padova, racconta che all'assemblea per lanciare l'iniziativa di oggi pomeriggio si è toccato proprio il tasto del controllo: «Il governo parla, e bisognerà vedere se lo farà, di svuotare i cpt. Ma mentre li svuotano sono le città che cominciano ad assomigliare ai cpt». Grigion ricorda, ovviamente, il muro di via Anelli costruito dalla giunta Zanonato (di centrosinistra), ma anche il fenomeno delle «ronde padane» che perlustrano di notte in nome della «sicurezza» le cittadine del nord est, per non parlare dei «vigilantes» bolognesi (che avevano una convenzione con il Comune e sui quali è stata aperta un'inchiesta): «Si articola un nuovo e più raffinato sistema di controllo su tutti - osserva Grigion - che viene gestito attraverso l'apertura di continue crisi: le br, gli stadi, la clandestinità. Solo in questo modo possono essere rilegittimate quelle azioni politiche che impongono la "governance" della libertà di movimento».
La via di fuga da questo sistema apparentemente inattaccabile è, anche, la costruzione e la rivendicazione di nuove forme di cittadinanza. «Il focus, ormai deve essere spostato - osserva Anna Simone della Rete no cpt di Bari, dove la settimana scorsa si è svolta un'affollata assemblea all'università per discutere della manifestazione - Il cpt deve essere riconosciuto come un anello di una catena più lunga che contiene la guerra, la lotta al terrorismo, la gestione delle politiche d'integrazione. Quello che tentiamo di fare è un salto di qualità: creare uno spazio di dibattito pubblico sulla cittadinanza, che deve partire dalla residenza e riconfigurarsi al di fuori dei confini statuali».
Chi migra, allora, diventa il simbolo di tutti coloro che sono legati a un'esistenza precaria, e proprio per questo più controllabili. Ovvia la polemica contro le politiche annunciate dal governo Prodi, che sicuramente tentano di gestire in modo più illuminato i flussi migratori ma non mettono in discussione le «regole» di fondo. Tanto che la piattaforma della manifestazione le bolla come «in continuità con la Bossi-Fini» (tenendo lontano il Prc). Ma il corteo di oggi, il primo a carattere nazionale sull'immigrazione da quando si è insediato Prodi, per i promotori segna anche «la fine di un ciclo politico». L'ambizione della manifestazione è, come spiega Gianmarco De Pieri del centro sociale bolognese Tpo, «seppellire il movimento no global a cui tutti abbiamo partecipato e riconnettersi alle nuove mobilitazioni che, in Italia come nel resto del territorio europeo, hanno ormai una nuova faccia». Soggetti diversi, poiché «non ci sono più le istituzioni di movimento» ma «le persone, quelle che vivono le città e i territori, da Venaus a Vicenza». I temi non sono più quelli «altermondialisti, ma biopolitici fino in fondo». Il rapporto con la rappresentanza politica cambia di paradigma, «non chiediamo più la democrazia partecipata ma quella assoluta, una partecipazione piena e gestita dal basso». Detto questo, nello specifico delle rivendicazioni antirazziste, secondo i promotori della manifestazione, si tratta di «seppellire anche l'antirazzismo». Perché «non ha più senso parlare di antirazzismo in senso stretto, bisogna pensarsi, tutti, come cittadini europei e squadernare l'attività politica oltre e contro l'antirazzismo. Oggi in piazza non staremo lì a difendere gli immigrati. Ma anche noi stessi. Rivendichiamo, a partire dalla chiusura dei cpt che statuiscono la legittimità della detenzione amministrativa, i diritti di tutti».
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