Uno Stato forte, autorevole, autenticamente democratico non può tollerare una pena eliminativa. L’ergastolo ostativo, ossia l’ergastolo senza alcuna prospettiva di rilascio, è infatti una pena di tipo eliminativo. Cancella una persona dalla società vera, libera, per sempre.
Non è in questo senso troppo diversa dalla pena di morte. La decisione della Corte Costituzionale dunque, oltre a essere profondamente giusta, è anche inevitabile. Una pena fino in fondo eliminativa non potrà mai assolvere a quella funzione rieducativa che l’articolo 27 della Costituzione gli attribuisce. L’articolo 27 non dice che la pena deve rieducare solo alcune persone. Afferma che deve tendere alla rieducazione di tutti e che per tutti deve essere conforme a umanità. La Corte Costituzionale, così come aveva già fatto la Corte europea dei Diritti umani nel caso Viola, ha recuperato quel principio di universalità che l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario aveva invece ampiamente derogato.
La pena non deve essere pura afflizione. Non è costituzionalmente ammissibile. L’ergastolo ostativo, nel momento in cui condiziona un’ipotesi seppur residua di ritorno in libertà alla sola collaborazione con la giustizia e non anche al percorso di risocializzazione, va a confliggere con principi inderogabili dello Stato di diritto e dei sistemi penali liberali contemporanei. Si tratta di conquiste oramai presenti in quasi tutto lo spazio europeo e ribadite dalle Corti supreme in non poche occasioni. Tutti i giudici e gli investigatori che sono impegnati nella sacrosanta lotta alle mafie non devono temere decisioni di giudici costituzionali che si limitano a disegnare i confini del potere di punire. È ciò una garanzia anche per loro, oltre che per la tenuta dell’intero sistema.
Anche la Corte Costituzionale si pronuncia contro l'ergastolo ostativo. Il giudizio arriva a due settimane di distanza dalla sentenza della Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che aveva definito inumana e degradante una pena che non prevedesse una possibilità di rilascio. Oggi i giudici della Consulta hanno ribadito questo principio, sostenendo l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 bis, comma 1 dell’Ordinamento penitenziario, laddove preveda la concessione di permessi premio solo in caso di collaborazione con la giustizia, escludendo di fatto altri elementi quali la reale partecipazione ancora in essere con l’associazione criminale e il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata, ciò quando il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo.
di Patrizio Gonnella, su il manifesto del 18 ottobre 2019
Chi ha a cuore lo Stato di diritto non può che essere un garantista. Il garantismo è una forma di protezione dei cittadini dagli abusi di potere delle istituzioni, ivi comprese quelle giudiziarie. Dunque essere garantisti significa credere nella presunzione di innocenza.
Significa credere nella terzietà del giudice e nell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Gli anni berlusconiani sono stati contrassegnati da una distorta nozione di garantismo. La legge Cirielli fu un manifesto del garantismo ai tempi di Berlusconi: prescrizione breve e previsione di garanzie processuali per alcuni (i colletti bianchi), prescrizione lunga e perdita di garanzie per tutti gli altri (tossicodipendenti, autori di piccoli reati di strada, immigrati, ossia i cosiddetti recidivi).
Dopo San Gimignano e Monza, nell'arco di pochi giorni emergere quello che sarebbe un nuovo caso di presunte violenze contro detenuti ad opera di operatori della Polizia Penitenziaria. Stavolta i fatti si riferiscono al carcere di Torino (ne raccontavamo la condizione in questo video), dove sei agenti sono stati arrestati con l'accusa di tortura.
"Nei casi come questo di Torino non resta che augurarsi che si faccia al più presto chiarezza su quanto avvenuto" dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
"Quello che è certo - dice Gonnella - è che avevamo più volte segnalato negli scorsi mesi come il clima all'interno delle carceri stesse andando peggiorando. Come cattivi maestri al potere stessero esacerbando il linguaggio, rendendo comprensivo, se non addirittura benevolo, quell’uso e abuso di una violenza “illegale”, “arbitraria” e “rapsodica”, con il rischio che questa possa venire percepita come parte della pena stessa, nella certezza interiore dell’impunità. Un uso del linguaggio riscontrabile anche su blog informativi della polizia, con detenuti appellati come "bastardi" o nella migliore dell’ipotesi camosci, riproponendo uno slang carcerario antico, offensivo e violento" sottolinea il presidente di Antigone.
"Dopo la notizia delle presunte violenze nel carcere di San Gimignano, il senatore ed ex ministro Matteo Salvini si era recato fuori dal carcere per portare solidarietà agli agenti indagati. Avevamo sottolineato come questo fosse un tragico errore proprio per il messaggio di tolleranza e comprensione verso chi è indagato per quello che è un crimine contro l'umanità, utilizzato in molti regimi autoritari e che le democrazie avanzate devono impegnarsi a combattere", sottolinea Patrizio Gonnella che aggiunge "non è certamente così che si fa un favore ai tanti operatori che svolgono il proprio lavoro nel rispetto del dettato costituzionale".
Sono quasi 600.000 i detenuti nelle carceri dell'Unione Europea. Le donne sono il 5% del totale, mentre gli stranieri un quinto di tutti i detenuti. I paesi con il maggior numero di detenuti in numeri assoluti sono Regno Unito, Polonia, Francia, Spagna, Germania e Italia. Il tasso medio di carcerazione ogni 100.000 è del 118,5 e i paesi con i tassi più alti (fra il 173 e il 234,9) sono soprattutto i paesi dell’est Europa: Lituania, Estonia, Lettonia e Slovacchia. L’Italia è intorno a 100 Il tasso di affollamento nella regione dell’Unione Europea non raggiunge il 100%, il che significa che nel complesso il sistema penitenziario Europa non raggiunge la sua massima capacità, ma le situazioni fra gli stati variano considerevolmente. In particolare i sovraffollati sono Francia, Italia, Ungheria e Romania con tassi fra il 115% e 120%. È importante sottolineare che le capacità dei sistemi penitenziari non sono calcolate tenendo conto degli stessi parametri e in alcuni paesi i metri quadrati considerati sono di più che in altri. Pertanto una perfetta comparazione non è possibile.
Questi sono alcuni dei dati riportati nel rapporto sulle carceri europee presentato lunedì scorso a Roma e curato da Antigone e dallo European Prison Observatory (e che si può leggere qui in inglese e qui in italiano).
“Antigone e la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili sono sconcertate per la sentenza della Corte suprema spagnola che condanna ad oltre 100 anni di carcere gli esponenti della politica e della società civile catalana, sotto processo per il referendum indipendentista del primo ottobre 2017”. A dirlo sono Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone) e Arturo Salerni (Presidente di CILD).
Entrambe le associazioni hanno fatto parte dell’International Trial Watch, osservatorio indipendente di monitoraggio del processo, partecipando ad alcune delle udienze tenutesi presso il Tribunal Supremo di Madrid.
"Il rigetto del ricorso dell'Italia da parte della Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, fa si che la decisione presa dai giudici della stessa Corte di Strasburgo lo scorso giugno, in merito all'ergastolo ostativo, sia definitiva. D'altronde già in altri casi e per altri paesi la Corte aveva sostenuto, legittimamente, che l'ergastolo senza prospettiva di rilascio violasse l'articolo 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti umani, nella parte in cui proibisce i trattamenti crudeli, inumani e degradanti". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone e firmatario di un amicus curie a sostegno del ricorso presentato, contro l'ergastolo ostativo, dal Prof. Davide Galliani dell'Università di Milano. "Viene così restituita finalmente ai giudici la possibilità di una valutazione discrezionale, cancellando quell'automatismo che trasformava questo tipo di ergastolo in una pena senza alcuna speranza di reintegrazione sociale, come invece la Costituzione impone".
I detenuti lavoratori, così come i liberi cittadini, hanno diritto a percepire una remunerazione corrispondente alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, al riposo settimanale e annuale, ai benefici previdenziali e in generale a un trattamento che deve essere mutuato su quello della società libera. A stabilirlo sono state, nel corso degli anni, diverse sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale.
Tuttavia, nonostante queste pronunce, l'Inps, con il messaggio n.909 del 5.3.2019, ha instaurato la disdicevole prassi del mancato riconoscimento della Naspi (già indennità di disoccupazione) a detenuti ed ex detenuti che abbiano svolto lavoro alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria per i loro periodi di quiescenza dal lavoro.
Contro questa pronuncia l'associazione Antigone, alcuni garanti regionali (Lazio, Umbria, Emilia Romagna, Toscana) e il Patronato INCA si sono mossi, contestando tale prassi che illegittimamente diniega prestazioni previdenziali e ricorrendo contro le determinazioni negative assunte dall'INPS.
Dopo l'ennesimo suicidio di un ventenne palermitano, avvenuto solo qualche giorno fa, Pino Apprendi e Lucia Borghi, dell'Osservatorio sulle carceri di Antigone, hanno visitato il carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, ex ospedale psichiatrico giudiziario.
"Dire ex OPG - evidenziano i due osservatori - è un modo di dire, non solo perché arrivando nei pressi della struttura ancora sono collocati due cartelli bene in vista che indicano che stai arrivando in un OPG, ma perché visitando le celle non hai la sensazione di vedere detenuti dietro le sbarre, ma malati e ti chiedi perché. Perché - proseugono Apprendi e Borghi - dal 2015, quando si decise di chiudere definitivamente gli Opg, non si è fatto nulla, o pochissimo, per evitare questo stato di cose".
Di fatto la Regione non ha mai preso in carico del tutto la struttura di Barcellona, dove prestano servizio tre psichiatri, di cui uno dipendente e due a contratto e tre psicologi e dove all'ottavo reparto ci sono oltre 60 malati.
Preso a calci e pugni sul volto nel carcere di Monza. E' quanto denuncia un detenuto che racconta di essere stato aggredito da alcuni agenti penitenziari il 3 agosto scorso nel corridoio della sezione D del primo piano dell'Istituto, davanti alla cella numero 21. Il racconto che l'uomo fa alla compagna, che lo va a trovare in carcere il 7 agosto è circostanziato. E a dimostrazione del pestaggio ci sono gli occhi lividi, il volto tumefatto e i forti dolori che l'uomo lamenta.
Oggi Antigone, che si batte per i diritti in cella, ha presentato sul caso un esposto alla procura della Repubblica presso il tribunale di Monza perché si appuri la verità dei fatti. Nell'esposto il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, riferisce che il detenuto sostiene gli sia stato fatto firmare un foglio in cui dichiarava di essersi fatto male da solo. ''Il medico che lo ha visitato - è scritto nell'esposto - non ha refertato alcuna lesione". In seguito a questo episodio, al detenuto è stata applicata la sanzione disciplinare dell’isolamento per quindici giorni e, durante questo periodo, è stato visto dalla suora che frequenta il carcere.