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Progetto SAVE. Un documento sulla legislazione europea che protegge le vittime

Progetto SaveNei giorni scorsi siamo stati a Timisoara a discutere di possibili azioni di mediazione a sostegno delle vittime. In carcere e fuori è importante che si sostenga chi ne ha bisogno, per via del reato subito e perché in condizioni di vulnerabilità. Lo abbiamo fatto nell'ambito del progetto SAVE per il quale è stato elaborato un'utile documento sulla legislazione europea che protegge le vittime (potete leggerlo qui).

Il progetto SAVE (Supporting Actions for Victims of crime), di cui Antigone è partner, e a cui partecipano anche l'associazione A buon diritto, la Cooperativa Sociale CRISI (Cooperativa Sociale - Centro ricerche interventi sullo stress interpersonale), l'associazione portoghese Animam Viventem e l'organizzazione rumena MISIT, (entrambe esperte in mediazione penale) è finanziato dalla DG Justice della Commissione Europea e ha una durata di 24 mesi. L'apporto specifico di Antigone consiste in particolar modo nella condivisione della conoscenza del sistema penitenziario dei bisogni dei soggetti più vulnerabili del sistema penale.

Tra gli obiettivi del progetto vi sono la condivisione della conoscenza e delle buone pratiche in materia dei diritti delle vittime; la creazione di un modello di servizi di assistenza alle vittime e più in generale l'implementazione della direttiva 2012/29/EU, che stabilisce standard minimi sui diritti delle vittime e sul sostegno la protezione che è necessario apportare loro.

A Campobasso attivato il nostro sportello di assistenza legale per i detenuti

carcere campobassoDal 17 settembre la nostra sede regionale di Antigone Molise ha dato il via ad una attività di sostegno per le esigenze dei detenuti del carcere di Campobasso e per le loro famiglie. Lo Sportello è operativo, per il momento, nelle sole giornate di martedì e giovedì (dalle ore 11 alle ore 13) presso la sede di Via Gioberti 20 (Passaggio a Livello San Pietro, Via Mazzini). Un gruppo di esperti, avvocati, medici, assistenti sociali, assicura consulenza a tutti i detenuti ed alle loro famiglie per l’approccio e la soluzione di problemi legati alle difficili opportunità di gestione.

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Contro la nuova legge sulla legittima difesa, mobilitati con noi!

No Far WestIl 23 ottobre la legge per l’allargamento del regime della legittima difesa inizierà dal Senato il suo iter parlamentare. Questa proposta metterà a rischio la sicurezza, fondandosi sull’assenza totale di bisogni reali di prevenzione criminale

Da qualche mese abbiamo lanciato una petizione popolare con la quale chiediamo al Parlamento di non approvare la legge. Attualmente 27.000 persone la hanno già firmata. In vista dell’approdo al Senato vogliamo rilanciare alcune iniziative per far sentire forte la nostra voce.

Mobilitati con noi. Ecco come puoi farlo: 

  1. Puoi farlo su twitter. Il 23 ottobre a partire dalle ore 10.00, pubblica un tweet con questo testo “Contro la liberalizzazione dell’omicidio, contro il Far West in Italia, no alla legge sulla legittima difesa #NoFarWest”, oppure con un testo a tua scelta. Ricorda solo di utilizzare l’hashtag #NoFarWest. 
  2. Puoi farlo su tutti i social. Cliccando su questo link trovi un foglio A4: stampalo, fatti una foto e condividila sui tuoi account twitter, facebook o instagram, ricordandoti di utilizzare l’hashtag #NoFarWest nel testo che deciderai di scrivere per accompagnare la foto.
  3. Puoi farlo via mail. Sempre già da oggi puoi scrivere ai Senatori della Commissione Giustizia una lettera nella quale gli chiedi di non approvare questa legge. Qui trovi il testo della lettera che abbiamo predisposto noi (insieme agli indirizzi e-mail dei Senatori). Anche in questo caso puoi anche decidere di utilizzare la nostra lettera o scriverne un’altra. 
  4. Puoi farlo sul web. Firmando la nostra petizione e condividendola con i tuoi amici e conoscenti per far aumentare il numero dei firmatari. 

Nei prossimi giorni inoltre organizzeremo altre iniziative per la consegna delle firme raccolte. Ne daremo notizia sul nostro sito e sui nostri account facebook e twitter e attraverso la nostra newsletter. Seguici (o iscriviti) per rimanere aggiornato su questa iniziativa.

Caso Cucchi, quando la verità vince sulla demagogia

Cucchi AnselmoGiustizia. La famiglia di Stefano Cucchi ha creduto fino in fondo nella legge, si è affidata ai giudici e alle istituzioni, si è mossa nel solco della legalità. Viceversa, coloro che hanno detto che per principio erano dalla parte dei carabinieri hanno manifestato una cultura che disprezza la legalità

di Patrizio Gonnella, il manifesto del 12 ottobre 2018

Il processo per l’omicidio di Stefano Cucchi resterà nella storia della giustizia italiana. Una storia fatta di violenza istituzionale, di morte, di coperture, di silenzi, di indifferenza, di opacità ma allo stesso tempo di determinazione, di forza morale, di rottura del muro della reticenza. Verità processuale e verità storica si stanno lentamente approssimando nonostante le umiliazioni e le dichiarazioni di quei politici che hanno urlato nel tempo una verità dogmatica e stereotipata.

Oggi, di fronte alla confessione di uno dei carabinieri che ha ammesso le violenze sul corpo di Stefano, sanno di ridicolo e tragico quelle frasi che si sono sentite nell’etere e lette sui social. C’è chi disse: «É morto perché era anoressico» (Carlo Giovanardi), chi chiedeva alla famiglia di Stefano «dove era quando lui si drogava» (Maurizio Gasparri), chi affermava che Ilaria Cucchi «mi fa schifo» (Matteo Salvini). A nove anni dalla morte di Stefano Cucchi ci sono tre parole, di cui una composta, che vengono esaltate da questa storia: empatia, spirito di corpo, legalità. 

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Caso Cucchi. Finalmente ci avviciniamo alla verità

CucchiA distanza di nove anni dalla morte di Stefano Cucchi, avvenuta il 22 ottobre del 2009 nel reparto carcerario dell'ospedale Pertini, si fa finalmente un passo decisivo verso la giustizia. 

La confessione di uno dei carabinieri attualmente sotto processo, il quale ha chiamato in causa a vario titolo gli altri suoi colleghi, squarcia il muro di omertà che in questi anni si era creato attorno a questo caso e che era stato rotto solo recentemente dalla testimonianza di un altro agente, Riccardo Casamassima. 

Tuttavia questo muro non si sarebbe potuto abbattere se non fosse stato per la determinazione e la grande tenacia dimostrata in questi anni dalla sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, che mai un attimo ha smesso di lottare, e dall'avvocato Fabio Anselmo. 

Finalmente ci avviciniamo alla verità. Ci auguriamo che in tempi brevi si arrivi al termine del processo e alle conseguenti condanne e si restituisca giustizia a Stefano e alla sua famiglia.
Crediamo inoltre  che tutti quelli che propagandavano un'altra verità stereotipata ora dovrebbero chiedere umilmente scusa.

Madri e bambini dietro le sbarre

Madri in carceredi Giuseppe Mosconi, Ordinario di Sociologia del Diritto e Presidente Antigone Veneto

La tragedia del duplice infanticidio di Rebibbia catalizza atteggiamenti di fondo sulla questione carceraria: Per chi vede la pena detentiva come necessaria e inevitabile, si tratta di separare, fin da subito, i bambini dalle madri detenute, tanto più se connotate da stereotipi negativi (drogate o psicolabili).
Per chi è disponibile verso possibili alternative, il rapporto mamma/bambino va preservato e attuato in strutture adeguate, che riproducano quanto più possibile i caratteri di una situazione normale. Ma di fronte al dramma non ha senso contrapporre opzioni di principio, se non si cerca di entrare a fondo nella situazione che viene a crearsi quando una madre è detenuta con i suoi piccoli.

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Approvata la riforma dell'ordinamento penitenziario. Restano deluse le grandi aspettative, ma passi avanti su alcuni temi

carceriOggi il Consiglio dei Ministri ha approvato la riforma dell'ordinamento penitenziario. Le leggi approvate contengono alcuni passi in avanti nella nostra legislazione. Finalmente vi sono norme dedicati ai detenuti minorenni con maggiore attenzione ai loro bisogni educativi.
Tra quelle che salutiamo volentieri vi sono: l'applicazione della sorveglianza dinamica, un più ampio accesso alle misure alternative e di comunità (anche se restano troppi vincoli, come quelli ingiustificati dell'articolo 4bis), una minore possibilità di applicare l'isolamento. 

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Tragedia di Rebibbia. Lettera aperta di volontari, associazioni, operatori

img carcere-650x409La tragedia di Rebibbia: non si aggiungano danni alla tragedia provocata da una mamma detenuta
Lettera aperta di volontari, cappellani, operatori del sociale, del mondo del lavoro, della cultura, dello sport, della salute - Roma, 21 settembre 2018 

La tragedia che si è consumata a Rebibbia ci ha lasciati senza fiato. Un dolore e un orrore che ha travolto tutti: i due bambini innanzitutto, quella madre che forse ancora non è consapevole di quello che ha fatto, tutti gli operatori dell’Istituto, le oltre trecento donne lì detenute, le loro famiglie e anche noi volontari, cappellani, operatori del sociale, del mondo del lavoro, della cultura, dello sport, della salute che ogni giorno entriamo in carcere per dare il nostro contributo affinché la pena risponda sempre più alle finalità dettate dalla Costituzione. 

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Rebibbia: il silenzio necessario, Bonafede e la politica del capro espiatorio

carcere-femminile-rebibbia-romaPatrizio Gonnella da il Manifesto del 20 settembre 2018 

Di fronte a due bimbi morti e alla tragedia immane avvenuta nel carcere femminile di Rebibbia avremmo tutti dovuto chiuderci in un rispettoso silenzio. Di fronte a un fatto di cronaca così terribile il silenzio ha una forza etica imparagonabilmente superiore a chi spreca parole per spiegare, strumentalizzare, sentenziare. 

Una rottura del silenzio, anche da parte mia, è però necessaria per svelare il gioco del capro espiatorio e per restituire dignità a persone che la meritano. 

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Un elettroshock su persone disarmate, è partita la sperimentazione del Taser

Taser ItaliaRepressione. In dodici città italiane viene introdotta l'arma che ha già suscitato proteste negli Stati Uniti, come racconta la maxi inchiesta di Reuters. Altissimo il rischio di abusi.

di Patrizio Gonnella da il manifesto del 06/09/2018

Da ieri una settantina di agenti in dodici città per i prossimi tre mesi (Milano, Napoli, Bologna, Torino, Firenze, Palermo, Genova, Catania, Padova, Caserta, Reggio Emilia, Brindisi) avranno in dotazione una pistola che spara scariche elettriche. La pistola è comunemente chiamata Taser dal nome della prima ditta produttrice (che però oggi si chiama Axon Enterprise). 

L’ESPERIENZA statunitense, fortemente contestata da Amnesty International, dall’American Civil Liberties Union, dai gruppi di advocacy americani Truth Not Tasers e Fatal Encounters, ha evidenziato come quest’arma a partire dal 2000 negli Usa sia stata potenzialmente mortale. Essa non è stata usata come alternativa meno violenta rispetto alle tradizionali pistole che sparano pallottole ma come più facile e meno faticosa alternativa alla parola, alle manette, all’opposizione fisica. 

STRAORDINARIA per cura e ampiezza è la ricerca dei giornalisti della Reuters che la scorsa estate ha pubblicato sul web un’inchiesta approfondita sui danni collaterali da Taser. L’indagine giornalistica è stata costruita a seguito della visione di documenti giudiziari, rapporti di polizia, autopsie, certificati medico-legali e notizie di stampa locali. Dunque in un arco di tempo pari a circa sedici anni, oltre mille sarebbero state le persone morte negli Stati Uniti in scontri con la Polizia a causa dell’uso dell’elettroshock. In ben 153 casi la Reuters ha scoperto che i medici legali hanno esplicitamente citato la pistola Taser come causa della morte. In 442 casi di uso improprio della Taser sono state presentate denunce da parte dei parenti delle vittime che per ora sono costate, in termini di risarcimenti alle istituzioni o alle assicurazioni, ben 172 milioni di dollari. 

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