“Antigone e la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili sono sconcertate per la sentenza della Corte suprema spagnola che condanna ad oltre 100 anni di carcere gli esponenti della politica e della società civile catalana, sotto processo per il referendum indipendentista del primo ottobre 2017”. A dirlo sono Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone) e Arturo Salerni (Presidente di CILD).
Entrambe le associazioni hanno fatto parte dell’International Trial Watch, osservatorio indipendente di monitoraggio del processo, partecipando ad alcune delle udienze tenutesi presso il Tribunal Supremo di Madrid.
"Il rigetto del ricorso dell'Italia da parte della Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, fa si che la decisione presa dai giudici della stessa Corte di Strasburgo lo scorso giugno, in merito all'ergastolo ostativo, sia definitiva. D'altronde già in altri casi e per altri paesi la Corte aveva sostenuto, legittimamente, che l'ergastolo senza prospettiva di rilascio violasse l'articolo 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti umani, nella parte in cui proibisce i trattamenti crudeli, inumani e degradanti". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone e firmatario di un amicus curie a sostegno del ricorso presentato, contro l'ergastolo ostativo, dal Prof. Davide Galliani dell'Università di Milano. "Viene così restituita finalmente ai giudici la possibilità di una valutazione discrezionale, cancellando quell'automatismo che trasformava questo tipo di ergastolo in una pena senza alcuna speranza di reintegrazione sociale, come invece la Costituzione impone".
I detenuti lavoratori, così come i liberi cittadini, hanno diritto a percepire una remunerazione corrispondente alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, al riposo settimanale e annuale, ai benefici previdenziali e in generale a un trattamento che deve essere mutuato su quello della società libera. A stabilirlo sono state, nel corso degli anni, diverse sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale.
Tuttavia, nonostante queste pronunce, l'Inps, con il messaggio n.909 del 5.3.2019, ha instaurato la disdicevole prassi del mancato riconoscimento della Naspi (già indennità di disoccupazione) a detenuti ed ex detenuti che abbiano svolto lavoro alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria per i loro periodi di quiescenza dal lavoro.
Contro questa pronuncia l'associazione Antigone, alcuni garanti regionali (Lazio, Umbria, Emilia Romagna, Toscana) e il Patronato INCA si sono mossi, contestando tale prassi che illegittimamente diniega prestazioni previdenziali e ricorrendo contro le determinazioni negative assunte dall'INPS.
Dopo l'ennesimo suicidio di un ventenne palermitano, avvenuto solo qualche giorno fa, Pino Apprendi e Lucia Borghi, dell'Osservatorio sulle carceri di Antigone, hanno visitato il carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, ex ospedale psichiatrico giudiziario.
"Dire ex OPG - evidenziano i due osservatori - è un modo di dire, non solo perché arrivando nei pressi della struttura ancora sono collocati due cartelli bene in vista che indicano che stai arrivando in un OPG, ma perché visitando le celle non hai la sensazione di vedere detenuti dietro le sbarre, ma malati e ti chiedi perché. Perché - proseugono Apprendi e Borghi - dal 2015, quando si decise di chiudere definitivamente gli Opg, non si è fatto nulla, o pochissimo, per evitare questo stato di cose".
Di fatto la Regione non ha mai preso in carico del tutto la struttura di Barcellona, dove prestano servizio tre psichiatri, di cui uno dipendente e due a contratto e tre psicologi e dove all'ottavo reparto ci sono oltre 60 malati.
Preso a calci e pugni sul volto nel carcere di Monza. E' quanto denuncia un detenuto che racconta di essere stato aggredito da alcuni agenti penitenziari il 3 agosto scorso nel corridoio della sezione D del primo piano dell'Istituto, davanti alla cella numero 21. Il racconto che l'uomo fa alla compagna, che lo va a trovare in carcere il 7 agosto è circostanziato. E a dimostrazione del pestaggio ci sono gli occhi lividi, il volto tumefatto e i forti dolori che l'uomo lamenta.
Oggi Antigone, che si batte per i diritti in cella, ha presentato sul caso un esposto alla procura della Repubblica presso il tribunale di Monza perché si appuri la verità dei fatti. Nell'esposto il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, riferisce che il detenuto sostiene gli sia stato fatto firmare un foglio in cui dichiarava di essersi fatto male da solo. ''Il medico che lo ha visitato - è scritto nell'esposto - non ha refertato alcuna lesione". In seguito a questo episodio, al detenuto è stata applicata la sanzione disciplinare dell’isolamento per quindici giorni e, durante questo periodo, è stato visto dalla suora che frequenta il carcere.
"Con la sua presenza odierna fuori dal carcere di San Gimignano speriamo Salvini non si esprima per portare solidarietà agli agenti di polizia penitenziaria accusati di tortura. Qualora lo facesse mostrerebbe uno scarso rispetto per la legge e lo Stato. Sarebbe inaccettabile che un senatore, ex ministro dell'Interno, invii implicitamente un messaggio di tolleranza e comprensione verso chi è indagato per quello che è un crimine contro l'umanità, utilizzato in molti regimi autoritari e che le democrazie avanzate devono impegnarsi a combattere". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
"Solitamente - aggiunge Gonnella - siamo lieti quando un parlamentare fa visita ad un carcere. Abbiamo anche lanciato una campagna che mira ad includere i Sindaci tra le autorità autorizzate in pianta stabile ad entrare negli istituti di pena. Per sostenere questa proposta abbiamo effettuato, finora, visite congiunte con i primi cittadini di Livorno, Torino, Palermo e Bologna. Calamandrei settanta anni fa scriveva che bisogna aver visto per comprendere cosa significa la privazione della libertà e quale sia la composizione delle nostre carceri. Dunque - sottolinea ancora il presidente di Antigone - è positivo quando i decisori politici decidono di vedere con i loro occhi. Ci auguriamo che Salvini non si fermi alle porte del carcere ma le superi, non facendo l'errore tragico di portare solidarietà a presunti torturatori, ma approfittando del suo potere ispettivo per rendersi conto delle condizioni dei detenuti e delle carceri e di come, in alcuni casi, gli standard minimi di dignità non siano purtroppo rispettati".
Nei casi di tortura l'accertamento della verità è una corsa contro il tempo. Una corsa che deve essere facilitata dalle istituzioni. Una corsa che richiede la rottura del muro del silenzio da parte di tutti gli operatori che hanno visto gli abusi e le violenze.
In questo caso siamo rinfrancati dalla prontezza del lavoro della magistratura e dalla collaborazione del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. In Italia finalmente i giudici dal 2017 hanno a disposizione una legge (seppur migliorabile) che proibisce e punisce la tortura. E' stata questa una battaglia ventennale di Antigone. Siamo ai primi casi di applicazione di questa legge.
Nelle scorse settimane Antigone aveva presentato un esposto alla procura di Monza per fatti analoghi avvenuti nel carcere della città brianzola. Anche in quel caso abbiamo assistito a un immediato intervento delle istituzioni (garante nazionale delle persone private della libertà e provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria). Anche in quel caso decisive potrebbero essere le registrazioni delle telecamere nelle sezioni di isolamento.
Chiediamo, dunque, che a San Gimignano come a Monza si arrivi rapidamente alla definizione del processo nell'interesse della giustizia e della legalità.
In data 11 settembre 2019 una delegazione di Antigone ha fatto visita alla casa circondariale di San Vittore "Francesco di Cataldo". La struttura contava 1076 detenuti presenti, e oltre il 62% di stranieri, con una significativa sofferenza legata al sovraffollamento (capienza regolamentare 798), considerate le chiusure del 2° del 4° raggio e del Conp (Centro di osservazione neuropsichiatrica) che riducono sensibilmente questa cifra, facendo salire il sovraffollamento oltre il 160%. In tale data la delegazione ha potuto constatare la presenza nel centro clinico della casa circondariale di una persona che versa in gravi condizioni di salute, già dichiarate incompatibili con la detenzione dal magistrato di sorveglianza competente.
di Patrizio Gonnella da il manifesto del 15 agosto 2019
Stupirsi della violenza significa fare il gioco del fascismo, scriveva Walter Benjamin. La violenza è parte costitutiva dei rapporti di potere presenti nella società. La violenza è il cuore del diritto penale e della risposta punitiva dello Stato. È questa una violenza regolamentata, strutturata, limitata. La passione per le punizioni, che ha tragicamente permeato di sé il mondo contemporaneo, richiede però un tasso di violenza ulteriore, una violenza “illegale”, “arbitraria”, “rapsodica”. In momenti storici e politici come quello attuale, quando si sentono ministri evocare espressioni quali «marcire in galera» oppure ammiccare a coloro che bendano e legano un indagato durante un interrogatorio, quell’uso e abuso di una violenza “illegale”, “arbitraria” e “rapsodica” viene percepito come parte della pena stessa, nella certezza interiore dell’impunità e del giudizio comprensivo, se non addirittura benevolo, dei cattivi maestri al potere. D’altronde basta leggere alcuni siti informativi di polizia o le loro pagine social per capire di cosa stiamo parlando: i detenuti sono chiamati bastardi o nella migliore dell’ipotesi camosci, riproponendo uno slang carcerario antico, offensivo e violento.
di Patrizio Gonnella, da il manifesto del 30 luglio 2019
Nelle caserme e nei commissariati nessun fine giustifica i mezzi. La retorica sostanzialista nel lavoro di polizia è quella per cui tutto è lecito pur di ottenere giustizia o di raggiungere rapidamente la verità.
Si tratta di una retorica pericolosa, fuori dall’arco di ciò che è lecito in una democrazia. Il confine ai poteri di polizia è ciò che distingue un regime illiberale da uno Stato costituzionale di diritto. In quest’ultimo nessuno deve abusare dei propri poteri di custodia. Uno Stato forte è quello che reprime il crimine nel rispetto delle proprie regole. Le immagini che hanno fatto il giro del mondo della persona arrestata, bendata e ammanettata, evocano la retorica sostanzialista delle mani libere.
È del tutto privo di senso logico, strumentale, nonché istituzionalmente scorretto giustificare la condotta dei carabinieri, così come ha fatto il ministro degli Interni Matteo Salvini quando ha scritto che: «A chi si lamenta della bendatura di un arrestato, ricordo che l’unica vittima per cui piangere è un uomo, un figlio, un marito di 35 anni, un Carabiniere, un servitore della Patria morto in servizio per mano di gente che, se colpevole, merita solo la galera a vita. Lavorando. Punto».
Questo breve post del ministro merita almeno tre diverse considerazioni.