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Dalla A alla Z, l’anno difficile delle carceri

01pol2f01-carcere-regina-coeli-gettyimages-450584470di Patrizio Gonnella su il manifesto del 31 dicembre 2022

Dalla “A” di Antigone alla “Z” di Zaki (Patrick) passando per la “E” di ergastolo, la “S” di sovraffollamento o la “T” di Tortura. Quella di Antigone, nella versione sofoclea, è la lotta della giustizia contro la legge, della fraternità contro il potere. Portare un nome tragico è una grande responsabilità. Il 2022 è stato l’anno in cui è iniziato il più grande processo in Europa per tortura, anche a seguito di un esposto di Antigone presentato nel 2020 per le violenze a Santa Maria Capua Vetere. Il 2022 è stato anche l’anno delle cento visite fatte in carcere. 

Beccaria. Sul finire dell’anno sette ragazzini sono scappati dall’istituto penale per minori Beccaria di Milano. Erano imputati per reati di strada. Si è scatenato un assurdo putiferio mediatico e politico come se fossero sette serial killer. Nel frattempo sono stati tutti ripresi. Non erano una minaccia alla sicurezza dello Stato. Chissà cosa avrebbe detto l’illustre Cesare se avesse saputo che un carcere per ragazzi avrebbe portato il suo nome. 

Custodia. cautelare Un terzo dei detenuti è in custodia cautelare. Molti di loro sono poveri, immigrati, tossicodipendenti, segno di una giustizia classista inclemente verso chi non ha risorse per una buona difesa tecnica. 

Dap. Il 2022 ha visto al vertice dell’amministrazione penitenziaria Carlo Renoldi e Carmelo Cantone. Un magistrato e un dirigente di grande valore. Il ministro Carlo Nordio ha nominato un nuovo capo Dap, il giudice Giovanni Russo a cui auguriamo buon lavoro. 

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Carceri. Antigone: "Il 2022, l'anno dei suicidi, ci dice della necessità di riformare il sistema"

brescia 7Il 2022 sta volgendo al termine è per il carcere verrà ricordato come l'anno dei suicidi. Sono stati ben 84 quelli avvenuti negli istituti di pena italiani. Uno ogni 5 giorni. In carcere, quest'anno, ci si è tolto la vita circa 20 volte in più di quanto non avviene nel mondo libero. Un detenuto ogni 670 presenti si è ucciso. Il precedente primato negativo era del 2009, quando in totale furono 72. Ma all'epoca i detenuti presenti erano oltre 61.000, 5.000 in più di oggi.   

"All'epoca - ricorda Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - eravamo alla vigilia del periodo che portò poi l'Italia alla condanna della Corte Europea dei Diritti Umani per violazione dell'art. 3 della Convenzione Europea, per il trattamento inumano e degradante. Alcune iniziative parlamentari furono prese. Non vedere negli 84 suicidi di quest'anno un segnale altrettanto preoccupante delle condizioni in cui versano le carceri del paese è ingiustificabile". Il sovraffollamento, dopo la deflazione delle presenze a seguito della pandemia, sta tornando a livelli preoccupanti. I detenuti sono quasi 57.000. I posti regolamentari sono 51.000, anche se sappiamo che di quelli conteggiati circa 4.000 sono indisponibili. Possiamo dire, quindi, che ad oggi ci sono nelle carceri italiane circa 9.000 persone in più rispetto alla capienza regolamentare. Questo significa aggiungere letti in celle non pensate per ospitare quel numero di detenuti. Delle 99 carceri visitate nel corso del 2022 dall'Osservatorio di Antigone, nel 39% degli istituti sono state trovate celle dove il parametro minimo dei 3 mq di superficie calpestabile a testa non era rispettato. "Entrare anche solo pochi minuti in una cella dove non c'è neanche questo spazio minimo è un'esperienza claustrofobica - sottolinea Gonnella. Specie laddove le celle vengono condivise da 5-6 persone. Viverci quotidianamente rende la detenzione ulteriormente gravosa". Gravosa anche a fronte del fatto che nel 44% delle carceri Antigone ha rilevato celle senza acqua calda, nel 56% celle senza doccia (che sarebbero dovute non esistere più dal 2005), nel 10% c'erano celle in cui non funzionava il riscaldamento, e in ben 6 istituti (9%) c'era celle in cui il wc non era in un ambiente separato dal resto della cella da una porta.   

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Adulti e ragazzi, se la pena è la stessa che giustizia è?

f01-carcere-lpedi Patrizio Gonnella, su il manifesto del 27 dicembre 2022

Era il 1988 quando fu approvato il codice di procedura per minorenni, ispirato a principi di ragionevolezza, adeguatezza alla età in formazione dei ragazzi sotto processo, minimizzazione dell’impatto penale e carcerario, contrasto alla stigmatizzazione del processo e della condanna. Ogni ragazzo o giovane è una vita in evoluzione che non ha ancora portato a compimento il suo percorso di maturazione e responsabilizzazione. Il carcere fa male a chi lo subisce. Fa male come esperienza in sé. Crea dolore. È una pena. E può costituire un ostacolo alle successive tappe di vita in quanto inchioda, a volta anche per sempre, una persona a un momento della vita. 

Da quel 1988, fortunatamente, il sistema penitenziario minorile italiano si è contratto nei numeri. Da molti anni il numero complessivo dei ragazzi ristretti negli istituti penali per minori è intorno alle quattrocento unità, compresi coloro che hanno un’età tra i 18 e i 25 anni sempre che abbiano commesso il delitto quando erano minorenni. I fatti del Beccaria non devono essere strumentalizzati per giustificare passi indietro a una legislazione moderna, bensì per progettare ulteriori accelerazioni verso un modello sanzionatorio ancora più avanzato. Il campo della giustizia minorile è ricco di professionalità che ben possono chiarire come sono banalizzazioni argomentative quelle che spiegano i fatti di Milano come esito del sovraffollamento o dello scarso numero di poliziotti. Si tratta di interpretazioni fuorvianti. 

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Uno Stato forte ascolta e concede con ragionevolezza

29soc1-carcere-regina-coeli-foto-andrea-sabbadin-5di Patrizio Gonnella su il manifesto del 28 novembre 2022

La vicenda dell’anarchico Alfredo Cospito, in sciopero della fame contro il carcere duro del 41 bis, ci aiuta a fare alcune considerazioni intorno a ciò che dovrebbe essere la pena in una società democratica e ci porta ad affrontare questioni di grande rilievo giuridico ed etico. 

In primo luogo si pone il tema delle modalità di esecuzione della sanzione carceraria nei confronti di una certa tipologia di detenuti. I regimi differenziati – come ad esempio il 41-bis – incidono significativamente sulla vita e i diritti delle persone recluse. Riducono notevolmente le occasioni di socializzazione, le possibilità di partecipazione alle attività interne all’istituto penitenziario nonché le relazioni con il mondo esterno. Sostanzialmente intervengono eliminando ogni opportunità di aderire a progetti di reintegrazione sociale. 

La Corte Costituzionale, nella nota sentenza numero 376 del 1997, ha ben spiegato come anche nel caso del regime di cui all’art. 41-bis, pensato per contrastare la criminalità organizzata, sia necessario sempre tenere in adeguata considerazione l’articolo 27 della Costituzione, con i suoi riferimenti alla dignità umana e alla rieducazione del condannato. Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, nel suo rapporto rivolto alle autorità italiane relativo a una visita effettuata nel 2019, raccomandò alle stesse di effettuare sempre «una valutazione del rischio individuale che fornisca ragioni oggettive per la continuazione della misura». Il cosiddetto risk assessment deve essere fondato «non solo sull’assenza di informazioni che dimostrino che la persona in questione non è più legata a una determinata organizzazione».

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Ivrea. Altri 45 indagati per torture in carcere. Antigone: "serve una riforma generale del sistema penitenziario"

Copia di Copia di SuicidiPer le presunte torture nel carcere di Ivrea la procura della città piemontese ha notificato 45 avvisi di garanzia ad altrettanti indagati. Tra loro agenti, medici, operatori e funzionari che, a vario titolo, risultano indagati per diversi reati tra cui quelli di tortura, falso in atto pubblico e altri reati collegati. 

"Con queste 45 persone sono oltre 200 gli operatori penitenziari attualmente indagati, imputati o già passati in giudicato all'interno di procedimenti che riguardano anche episodi di tortura e violenza avvenuti nelle carceri italiane. Un dato che ci racconta di un problema evidente che si riscontra negli istituti di pena dove, con troppa frequenza, da nord a sud emergono fatti di questo tipo". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
"L'approvazione della legge sulla tortura, avvenuta nel 2017, ha certamente influito positivamente sull'emersione di queste condotte, aumentando la predisposizione dei detenuti a denunciarle e l'attenzione che la magistratura pone nell'indagarle e perseguirle. Tuttavia, ciò che occorre - continua Gonnella - è un attività di prevenzione che dovrebbe portare ad investire risorse nella formazione degli agenti penitenziari, nella costruzione di una vita interna agli istituti che sia più distesa, contrastando il sovraffollamento penitenziario e con i detenuti impegnati in attività, cosa che aiuterebbe a stemperare quel clima di tensione che si registra e che ravvisiamo in forma crescente anche con le visite del nostro osservatorio. Si dovrebbero poi offrire maggiori riconoscimenti per coloro che, in carcere, lavorano nel pieno rispetto delle proprie funzioni e della dignità della persona. Cosa che riguarda, occorre ricordarlo, la maggior parte degli operatori".

Presunte torture nel carcere di Bari. Antigone: Fondamentale si faccia chiarezza. Buon segno la collaborazione della direzione dell'Istituto

16616189218 441c0ed5e5 o15 persone sono indagate per le presunte torture ai danni di un detenuto avvenute nel carcere di Bari. Di queste, 9 agenti penitenziari sono accusati di "concorso in tortura" e tre di loro sono stati posti agli arresti domiciliari. 

Di seguito le dichiarazioni di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone:
"Come sempre avviene in questi casi ci auguriamo che la giustizia faccia il suo corso e si chiariscano le eventuali condotte e responsabilità. Da quando è stata introdotta la legge contro la tortura nel 2017 sono diversi i processi e le indagini in corso che vedono coinvolti appartenenti alla Polizia penitenziaria. Segno di un testo che era e continua ad essere fondamentale per prevenire e perseguire abusi in un luogo chiuso come il carcere. Ci auguriamo, altresì, che chiarezza venga fatta anche sul coinvolgimento del personale medico, più di una volta indagato o condannato in procedimenti simili, per la mancata refertazione di ferite e lesioni. Nel caso specifico di Bari la buona notizia è stata la collaborazione dei vertici del carcere - sia della direzione che della stessa Polizia Penitenziaria - per individuare i presunti colpevoli delle violenze e arrivare ad un primo accertamento dei fatti. Anche in questo caso, come ripetiamo, la legge sulla tortura può aiutare a rompere il muro di omertà che spesso si è creato in passato, garantendo ampio riconoscimento a chi porta avanti il proprio lavoro nel rispetto dei diritti e della dignità degli individui". 

A Patrizio Gonnella fa eco Maria Pia Scarciglia, presidente di Antigone Puglia:
"Quanto è accaduto è di assoluta gravità e chiediamo che si faccia chiarezza. Come associazione operiamo all'interno del carcere di Bari da qualche anno attraverso uno sportello di informazione legale rivolto ai detenuti e ben conosciamo il grande lavoro che svolgono la direttrice del carcere e la comandante della Polizia Penitenziaria. Non siamo dunque sorpresi della loro collaborazione alle indagini e continuiamo a riporre fiducia nel loro operato".

Raduni, non feste: lo dice la Treccani Il decreto è proprio contro le riunioni

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di Patrizio Gonnella su il manifesto del 4 novembre 2022

Chi si sorprende della violenza fa il gioco dei violenti. Chi si sorprende della nuova norma sui raduni fa il gioco di chi l’ha pensata, proposta, approvata. Neanche nel Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1931 si arrivò a scrivere qualcosa del genere. 

In primo luogo l’articolo è scritto in modo sciatto e in un italiano claudicante. Sarà un buon esempio per quei professori che a lezione di diritto vorranno spiegare agli studenti come non si deve scrivere una norma penale. Siamo molto lontani da quella necessità di chiarezza invocata da Cesare Beccaria nel lontano 1764. Con il nuovo articolo 434-bis siamo al primitivismo linguistico che potrebbe funzionare per la comunicazione social ma non per una legge che i giudici dovranno applicare. 

La norma parte con un’espressione tautologica. Si scrive letteralmente che l’invasione di terreni o edifici consiste in un’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui. Troviamo domanda e risposta all’interno della stessa norma, come se fossimo a un quiz. Ogni reato dovrebbe punire un’azione o un’omissione. In questo caso essa consisterebbe in un’invasione. Sarà la giurisprudenza a dover distinguere ciò che è ingresso da ciò che è invasione. Quest’ultima sembrerebbe rimandare a pratiche belliche. Se un certo numero di persone alla spicciolata, senza danneggiare cose o persone, entra in un terreno altrui per raccogliere i fichi e non per ascoltare musica techno, è accusabile di invasione? 

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Norma anti rave. Il pericolo è un'ampia repressione del dissenso e delle libertà costituzionalmente garantite

242501569 132096292489507 2785820700933617546 nLa norma penale introdotta per contrastare i rave party assomiglia ad una norma in bianco, una fattispecie non tassativa e non ispirata a principi di necessità, offensività e proporzionalità, che è ciò che dovrebbe invece accadere all'interno di un diritto penale di impronta liberale.
Ciò che si può ravvisare è una delega totale alle forze di Polizia che, sul campo, dovranno decidere se c'è violazione della norma o meno. Una discrezionalità ampia e pericolosa, perché ampie e pericolose sono le fattispecie che potrebbero finire sotto l'ombrello del nuovo articolo 434-bis: dall'occupazione di fabbriche da parte dei lavoratori a rischio licenziamento, a quello delle scuole superiori o università che i collettivi di giovani studenti organizzano per richiamare l'attenzione sulle problematiche che riguardano il mondo dell'istruzione.  

Le norma penali spesso vivono al di là delle intenzioni di chi la scrive e, se anche le intenzioni del governo fossero state realmente riferite alla sola fattispecie che riguarda i rave party, una norma così scritta porta invece alla criminalizzazione del dissenso e il restringimento dello spazio civico e democratico attraverso una serie di pene spropositate, comprimendo irragionevolmente le libertà di associazione, riunione e opinione, costituzionalmente tutelate. 

Inoltre, semmai dovesse essere se mai applicata, potrebbe portare all'ingolfamento di tribunali e ad accentuare il sovraffollamento penitenziario. Avremmo bisogno di ulteriori migliaia di posti nel sistema carcerario, con dei costi umani e economici intollerabili. Da spiegare ai cittadini quando si dice che si vuole ridurre il peso fiscale.

Il decreto legge sull’ergastolo ostativo non risponde alle sollecitazioni provenienti dalle Corti supreme

8196398253 b323a88bf7 oLa necessità di rivedere l'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario era nata a seguito della nota sentenza della Corte Costituzionale. La Consulta aveva chiesto una revisione delle norme sul divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti che non collaborano con la giustizia o che non sono nelle condizioni di collaborare con la giustizia. Deve esserci sempre una chance di ritorno in libertà, altrimenti la pena perde il suo scopo rieducativo. Il regime vigente è dunque incostituzionale in quanto ammette l’ergastolo senza speranza di uscita, evidentemente contrario ai principi di cui all’articolo 27 della Costituzione (pena umana e tendente alla rieducazione).

"La riforma approvata è un’occasione parzialmente persa", commenta Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. "Il governo è rimasto imprigionato nella paura di fare un regalo alle mafie, innovando in modo non sufficiente la legislazione penitenziaria. È mancato un generale ripensamento dell’attuale disciplina della concessione dei benefici ai condannati per una serie del tutto eterogenea ed illogica di reati anche ben distanti da qualsiasi matrice organizzata, mafiosa o terroristica. Nel decreto c’è finanche un inutile aggravamento di tale disciplina".

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74 persone si sono uccise nel 2022. Mai così tante da quando si registra questo dato

1Dall’inizio dell’anno 74 persone si sono tolte la vita all’interno di un istituto di pena. Mai così tante da quando si registra questo dato. Il precedente drammatico primato era del 2009, quando al 31 dicembre si erano suicidate 72 persone. Oggi, a fine anno, mancano ancora due mesi. 

Oltre al valore in termini assoluti, l’indicatore principale per valutare l’andamento del fenomeno è il cosiddetto tasso di suicidi, ossia la relazione tra il numero dei casi e la media delle persone detenute nel corso dell’anno. Non essendo ancora terminato il 2022, possiamo oggi calcolare il tasso di suicidi solo tra il mese di gennaio e settembre, ossia a quando risale l’ultimo aggiornamento sulla popolazione detenuta. Con un numero di presenze medie pari a 54.920 detenuti e 65 decessi avvenuti in questi nove mesi, il tasso di suicidi è oggi pari circa a 13 casi ogni 10.000 persone detenute: si tratta del valore più alto mai registrato. In carcere ci si uccide oltre 21 volte in più che nel mondo libero.
Quando nel 2009 si suicidarono 72 persone, i detenuti erano circa 7.000 in più. 

Un altro dato drammatico è quello dei suicidi nella popolazione detenuta femminile. Finora sono stati cinque. Con un tasso superiore a quello degli uomini, pari a quasi il 22%. Nel 2021 e nel 2020 "solo" due si erano tolte la vita. Nessuna nel 2019. 

Quasi il 50% dei casi di suicidi sono poi stati commessi da persone di origine straniera. Se circa un terzo della popolazione detenuta è straniera, vediamo quindi come l’incidenza di suicidi è significativamente maggiore tra questi detenuti. 

Dalle poche informazioni a disposizione, sembrerebbe che circa un terzo dei casi di suicidi riguardava persone con un patologia psichiatrica, accertata o presunta, e/o una dipendenza da sostanze, alcol o farmaci. 

Le Case Circondariali di Foggia e di Milano San Vittore restano i due istituti con il maggior numero di suicidi nel corso dell’anno, con quattro decessi ognuna. Seguono con tre decessi, gli istituti di Roma Regina Coeli, Monza, Firenze Sollicciano, Torino e Palermo Ucciardone. 

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